LISBONA. Ed
eccola di nuovo tutta lì, schierata, la famiglia dei «cercatori
di pace» Sono loro a definirsi così nell'appello
finale che firmano e regalano a tutti, credenti e uomini
di buona volontà del mondo intero. «È una comunità
fatta di religioni, storie, lingue, sensibilità
diverse. È la nostra ricchezza, e il nostro futuro».
Eccola di nuovo lì, dopo l'esordio di domenica mattina
al Mosteiro dos Jeronimos. Dopo altre dodici occasioni
uguali a questa in giro per il mondo, da Roma a
Gerusalemme, da Varsavia a Bucarest, da Firenze a
Venezia. Dopo, soprattutto, la preghiera delle religioni
per la pace di Assisi 1986. Tutto cominciò da lì, come
ricorda il Papa stesso nel suo messaggio. E tutto
continua, anche nel nuovo secolo.
Cercano la pace innanzitutto accettando di essere
diversi. E diversi lo sono davvero, sul palco azzurro in
piazza del Municipio, tra la Baixa e il Chiado, nel
ventre accogliente di una Lisbona che per tre giorni ha
regalato sole e brezza di mare, una delizia. Diversi con
i loro abiti diversi, le facce diverse, le lingue
diverse. Diversi i nomi che danno a Dio, diverse le
forme con cui lo onorano. Eppure dicono: questa diversità
«è la nostra ricchezza».
E nell'appello spiegano: «Il dialogo, l'amicizia, il
rispetto reciproco hanno fatto emergere le differenze e
le ricchezze di ognuno: questo non ci ha allontanato,
anzi ci ha resi più vicini». Nessuna alchimia
misteriosa. Ma l'interpretazione corretta della parola
«dialogo». Che non è cedimento, debolezza, rinuncia,
fino a ridurre tutto, fedi e religioni comprese, a
un'indistinta marmellata.
Al
contrario, il dialogo è privilegio di chi possiede a tal
punto un'identità da non aver paura a confrontarla e
metterla in gioco.
L'appello,
a questo proposito, è chiaro: «La via per superare la
diffidenza e i conflitti è il dialogo. Il dialogo non
indebolisce l'identità di nessuno, ma provoca ogni uomo e
ogni donna a vedere il meglio dell'altro e a radicarsi nel
meglio di sé. Nulla è mai perduto con il dialogo. Tutto
è possibile con il dialogo. Il dialogo, lo ripetiamo, è
la medicina che cura le ferite della divisione e rigenera
in profondità la nostra vita, mentre radica ognuno nella
verità, nella testimonianza reciproca, nella carità e
nell'amicizia».
Prima, erano intervenuti il primo ministro portoghese
Antonio Guterres, il patriarca di Lisbona José da Cruz
Policarpo e Andrea Riccardi.
Il
cardinale Cassidy aveva letto il messaggio del Papa. Dopo,
a sfidare il tramonto, la liturgia della luce con le
fiaccole accese a significare: grazie, ricorderemo,
arrivederci.
Arrivederci dove? «Uomini e religioni» edizione 2001 ha
tre candidate. La prima è Palermo, dove Sant'Egidio
vorrebbe fermarsi da tempo. La seconda è Barcellona, per
un invito del presidente della Generalitat de Calalunya,
Jordi Pujol, presente a Lisbona. Dove era presente il
principe giordano El Hassan bin Talal, in qualità di
moderatore della World Conference on Religion and Peace,
che vorrebbe ospitare i «cercatori di pace» nella sua
Amman.
Riccardi e amici, probabilmente, saranno felici
dell'imbarazzo. Tutti li cercano. Perfino Bartolomeo I,
patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha inviato un
cordiale messaggio al vescovo Vincenzo Paglia, presidente
dell'incontro.
I
portoghesi, sensibili assai al destino delle loro due ex
colonie africane, non dimenticano che cosa Sant'Egidio
fece per la pace in Mozambico e vorrebbero che ripetessero
il prodigio in Angola. Riccardi fa un passo, indietro
senza però spegnere del tutto le speranze lusitane («Non
vorremmo far da diversivo alle trattative, però seguiamo
la situazione attentamente»). E tutti gli chiedono più
volte, in più lingue nonostante la puntuale traduzione
simultanea: ma la Dominus
Jesus non vi ha davvero creato problemi? E l'inziatore
della Comunità a spiegare, rispiegare, fino a
sintetizzare così: «Noi non facciamo i pompieri. Qui da
noi il clima è sempre sincero, le cose ce le diciamo
tutte. Ma abbiamo anche un linguaggio comune, che non è
gridato né conflittuale. L'ecumenismo e il dialogo?
Diciamo che hanno tempi geologici. Possono verificarsi
aggiustamenti e ripensamenti.
Ma il cammino è irreversibile». A proposito di sincerità:
al documento accenna anche, al mattino, il segretario
della Federazione luterana mondiale, Ishmael Noko: «Disappunto?
Sì, un po'. Ma per abbandonare il dialogo ci vorrebbe ben
altro. L'ecumenismo è un dovere, non una possibilità.
Una necessità, non un'opzione tra le tante». E
riprendeva a parlare, in termini quasi commossi, del
cammino che ha condotto luterani e cattolici alla firma
del documento della giustificazione.
Accanto a lui sedevano il cardinale Cassidy, il
metropolita ortodosso Jeremias, presidente del Kek e il
vescovo ortodosso Innokentij del Patriarcato di Mosca. Un
vero poker d'assi ecumenico.
|