Il 10 settembre 2004 ha preso avvio l'annuale incontro di studio promosso dalla rivista «Il
Regno» dei Dehoniani di Bologna dal titolo «Dove dimora il tuo Nome, Gerusalemme? Conflitti, dolore, riconoscimento in
nome della religione», organizzato presso il monastero di Camaldoli (AR), e in corso fino a domenica 12 settembre.
Ad aprire i lavori è stato il cardinale Achille Silvestrini, Prefetto emerito della Congregazione delle Chiese
orientali, il quale, dopo il saluto del direttore de «Il Regno», padre Lorenzo Prezzi, e del priore generale dei
Camaldolesi, don Emanuele Bargellini, ha pronunciato un intervento sul tema «Gerusalemme, il simbolo».
«Gerusalemme» ha esordito Silvestrini, secondo un comunicato diffuso dagli organizzatori «è l'unica città al mondo
simultaneamente santa per tre distinte religioni: ebraismo, cristianesimo ed islam».
«Città amata e contesa, Gerusalemme è il simbolo e l'oggetto di una competizione aspra e crudele tra ebrei d'Israele
e arabi palestinesi».
La riflessione del cardinale si è poi spostata sulla situazione attuale: «Questo nostro incontro, queste nostre
riflessioni avvengono nel tempo del lutto e del dolore. Gerusalemme è insanguinata, il mondo intero è attraversato da
una nuova grande ondata di odio».
«È doloroso dirlo, ma il terrorismo, ancor più quello che cerca strumentali quanto aberranti giustificazioni
religiose, comincia a condizionare le nostre vite e le nostre società. Esso sta distruggendo il corpo delle persone e
il corpo delle società», ha quindi commentato.
«Da sola la risposta bellica ha mostrato la sua inefficacia. E vi è un compito primario della responsabilità politica
che va ristabilito», ha affermato il cardinale invitando a non farsi prendere da «ottimismi facili» o dalla «disperazione».
«Guardare a Gerusalemme assume il significato simbolico: religioso, culturale e politico di dichiarare prioritaria la
pace nelle terre da dove si sta diffondendo il grave incendio dell'odio», ha ricordato.
«La Santa Sede ritiene che una soluzione alla definizione della sovranità di Gerusalemme debba essere condivisa tra
arabi palestinesi ed ebrei d'Israele, debba cioè essere il frutto di una ricerca comune e di un accordo politico tra le
due parti».
«La Santa Sede si è posta piuttosto il tema della piena e pari libertà delle tre fedi a Gerusalemme » ha quindi
chiarito il cardinale « e del contributo positivo che esse possono dare al problema della pace in tutto il Medio
Oriente, a cominciare proprio da Gerusalemme».
Ricordando poi che esiste «un contributo che deve essere dato da tutte e tre le religioni abramiche», in un momento
storico in cui non ci si può più limitare «ad una azione di dialogo interreligioso che si svolga fuori di
Gerusalemme, per così dire all'estero».
«È tempo che ci si incontri dentro le mura di Gerusalemme, che i rappresentanti delle tre fedi diano insieme una
testimonianza inequivocabile a tutti gli uomini, compresi gli uomini dell'odio, della repressione violenta, delle
guerre: Dio non è strumentalizzabile, non è accettabile che si uccida nel Suo Nome», ha affermato.
«Anche da questo nostro piccolo incontro, anche da Camaldoli può nascere la proposta che gli esponenti delle tre fedi
si incontrino a Gerusalemme in modo permanente, dando vita a un organismo definito», ha aggiunto.
«A Gerusalemme dobbiamo dare una testimonianza religiosa purificata; lì dobbiamo stare insieme, parlare insieme,
pregare insieme, insieme abbattere il muro d'inimicizia, di paura e di odio che ci sta dividendo»,
ha poi sottolineato.
Nel concludere il porporato ha infine ricordato «la responsabilità comune che non trova precedenti nella storia» a
cui sono chiamate oggi «le tre fedi che guardano ad Abramo, l'amico di Dio (come lo definisce il Corano IV,125)».
«Il luogo più vero del loro incontro non può essere che Gerusalemme, in quel nome si trova anche un fondamento
autentico della loro non effimera speranza», ha così concluso.