Per non dimenticare: nel Palazzo della
Ragione, a Milano, una mostra parla dell'infanzia mai vissuta dei piccoli
ebrei...
Tra il 1933 e
il 1945 i nazi-fascisti uccisero quasi sei milioni di ebrei. Cosa avevano
fatto per provocare un simile trattamento? Proprio niente. Semplicemente,
erano ebrei. Il 27 gennaio il nostro Paese dedica a tutti loro e alla
shoah (in ebraico significa disastro) un giorno «della memoria»: non
dimenticare mai cosa successe serve a far sì che non ricapiti mai più.
Lo sapevate che di quei sei milioni di morti, un milione e mezzo erano
bambini? Scritti così, sulla carta, questi numeri enormi non dicono
molto.
Sono,
appunto, solo numeri... Ma, adesso, provate a immaginare che tutti quei
bambini potessero prendersi per mano e formare una fila: il primo starebbe
fermo in piedi tra la neve di Aosta, l'ultimo vedrebbe il Vesuvio, a
Napoli. Mille chilometri e anche di più. A questo punto provate a
immaginarvene uno: ha i capelli chiari o scuri? Gli occhi verdi o
nocciola? È grassoccio oppure mingherlino, maschio o femmina, è un
piccolino o un adolescente? Tra quel milione e mezzo di bambini ebrei, uno
sarà certo somigliato all'immagine che avete in testa adesso: prima che i
nazisti negassero loro ogni diritto e, infine, anche la vita, abitavano in
tutti i Paesi d'Europa.
Nei campi di
concentramento dei nazisti finirono gli ebrei della Grecia, con la
carnagione olivastra e i ricci scuri, e gli ebrei olandesi pallidi e
biondi, gli ebrei tedeschi (chissà che occhi azzurri...) e quelli
jugoslavi, quelli, polacchi, russi, ungheresi, francesi, italiani...
Erano proprio
come voi: giocavano se appena potevano e magari si dimenticavano di fare i
compiti, ridevano e piangevano, andavano a spasso con la mamma e papà,
litigavano con i fratelli. «Immaginate uno di loro - ha detto a Popotus
Pia Jarach che ce l'ha messa tutta perché questa mostra riuscisse bella
come è - portatevelo appresso, nel cuore, verso la vita».
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[Fonte: "Avvenire" del 24
gennaio 2004]