Epilogo:
Punti di vista conclusivi
Dove ci porta il futuro? Gli editori hanno invitato George Lindbeck, uno
dei primi teologi cristiani ad essersi dedicato alla promozione del dialogo
ebraico-cristiano, a offrire la sua risposta a questo volume, L'opinione del
Prof. Lindbeck, con cui comincia questo epilogo, è di stimolo ai nostri
pensieri sulle promesse e le sfide di questa nuova epoca di relazioni
ebraico-cristiane.
Dove ci porta futuro?
Una risposta cristiana
George Lindbeck
Una risposta ebraica
Tikva Frymer Kemnsky -
David Novak -
Peter Ochs -
David Fox Sandmel -
Michael A. Signer
Una risposta
cristiana
torna su
Nelle varie parti di questo libro i cristiani sviluppano
nuovi atteggiamenti nei confronti dell'ebraismo, Qual è il futuro di questi
atteggiamenti? Si diffonderanno e perdureranno? O si affievoliranno come quelli
nei confronti dell'Olocausto? L'antisemitismo non fa parte del DNA del
Cristianesimo, che è inseparabile dalle sue fonti storiche di vitalità e di
identità? Queste sono domande che richiedono una risposta cristiana.
La proposta
La validità delle risposte che propongo dipendono da una
condizione: che il supersessionismo, la credenza che la Chiesa abbia preso il
posto di Israele, possa essere eliminato, anche se l'identificazione della
Chiesa con Israele fosse destinata a prevalere. Entrambi gli sviluppi sono
necessari. Eliminare l'anti-ebraismo elimina la radice principale dell'anti-ebraismo
cristiano; ma se succede solo questo, il cristianesimo moderno finirà per
essere ancora più separato di quanto già non sia dalla porzione ereditaria.
Questa eredità può fiorire senza antisemitismo - questo è ciò che i miei
argomenti presuppongono - soltanto se la moderna identificazione della Chiesa
in un certo senso come Israele verrà ristabilita e unita alla convinzione del
Nuovo Testamento, per molto tempo dimenticata - che l'Alleanza con gli Ebrei
non sia mai stata revocata.
Il versante anti-supersessionista di questa proposta
è familiare. Quasi tutti concordano con l'opinione che l'idea di Chiesa come
sostituta di Israele sia la fonte principale dell'anti-ebraismo cristiano. Le
autorità cattoliche romane, tra le altre, hanno attualmente dichiarato
pubblicamente che l'Alleanza con Israele non è mai stata revocata, e che gli
Ebrei rimangono il popolo eletto di Dio (anche se, è quasi superfluo dirlo,
non è più il solo). L'impressione generale è che questa dichiarazione
implichi che la Chiesa non possa essere Israele, il che sarebbe
supersessionista. La proposta successiva è invece così poco familiare e poco
discussa che debbo farla sotto forma di tentativo. Posso sembrare forse più
fiducioso di quel che sono realmente quando suggerisco che, spogliata del
supersessionismo, l'idea di Chiesa come Israele possa e debba essere
recuperata, così come deve essere recuperata la lettura di quello che i
Cristiani chiamano Antico Testamento come libro genuinamente e
tradizionalmente appartenente alla Chiesa (il che non nega che lo stesso
testo, letto come Tanak, sia anche di proprietà dell'Ebraismo).
Espropriare Israele
L'ostacolo fondamentale a questa proposta è la convinzione
profondamente radicata che il legame tra le concezione di Idea come Israele e
il supersessionismo sia indiscutibile. Questo legame viene accettato perfino
da quanti sanno che esso non era ammissibile per Paolo, il primo e, come molti
direbbero, il più autentico degli scrittori del Nuovo testamento. Secondo
Paolo, come è già stato notato più di una volta in questo libro, i
Cristiani convertiti dal paganesimo sono ramoscelli d'olivo selvatico innestati in
quell'olivo che è Israele; e, riferendosi ai non credenti tra gli ebrei,
Paolo dice: " I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,
29).
Paolo non sposava la teoria del supersessionismo. Ma ci sono, così si
afferma, dei passi che possono far pensare al supersessionismo in altri
scritti del Nuovo Testamento, il più noto dei quali è Matteo 21,43 che dice,
in contrasto con le altre versioni della parabola degli amministratori
malvagi, che la vigna sarà affidata a un altro ethnos (popolo).
Quasi tutti i
Cristiani, a partire dal periodo immediatamente posteriore alla stesura del
Nuovo Testamento fino alla metà di questo secolo, hanno interpretato passi
del genere come dichiarazioni di supersessionismo.
Già molto presto il
Cristianesimo è stato ritenuto una sostituzione così completa dell'Ebraismo
che - più o meno simultaneamente all'espulsione dalla sinagoga degli Ebrei
che credevano in Gesù - a tutti i Cristiani, tanto quelli provenienti
dall'ebraismo quanto quelli
provenienti dalle file del paganesimo, fu vietato dalla "Grande
Chiesa" (come ormai veniva chiamata) di mettere in atto pratiche
distintamente ebraiche. I cristiani ebrei, così, persero la loro identità di
gruppo, arrivando a non distinguersi più dai loro correligionari gentili.
Il
fatto che i primi Cristiani siano rimasti osservanti della Torah è stato
spiegato, sotto la spinta delle rivendicazioni veementi dei gentili, come un
permesso temporaneo che è stato in seguito revocato. In base a questo punto
di vista, la Chiesa - e solo la Chiesa - è Israele. Le promesse e le profezie
antico-testamentarie sono compiute non solo in Gesù (un'asserzione fondamentale
per l'identità cristiana della corrente principale della Chiesa [mainstream
Christian identity]), ma anche nella Chiesa, che in questo modo viene a
sostituire Israele. La Chiesa è il "Nuovo" Israele (espressione che
non si trova nel Nuovo Testamento), essendo arrivata ad essere l'unica erede
dell'interezza dell'eredità d'Israele. Da quando Gesù Cristo è venuto, le
profezie, le promesse, le prerogative e le scritture non appartengono più agli
ebrei miscredenti, bensì rimangono solamente ai cristiani. Poiché gli ebrei
non appartengono più al popolo della Bibbia, non la possono leggere
correttamente. La Torah orale e le sue elaborazioni midrashiche, talmudiche e
rabbiniche sono così condannate ad essere viste a priori non tanto come
semplicemente false, ma piuttosto come svianti. L'ebraismo rabbinico era, per
taluni cristiani, un'alternativa peggiore del paganesimo o addirittura
dell'ateismo. Le ultime due scelte potevano anche essere degli errori onesti,
mentre la prima era un simulacro deliberatamente ingannevole della
verità.
È come se Esaù (gli Ebrei) pretendesse di non aver venduto la
sua primogenitura, cercando di riottenerla con il furto da Giacobbe (i
cristiani) che l'avevano legittimamente espropriato. L'espropriazione - come
questo concetto può essere definito - non è l'unico aspetto del
supersessionismo, ma è quello legato alla concezione della Chiesa come
Israele.
Ma questo legame concettuale è un legame di possibilità,
non di necessità. Anche se, come abbiamo visto, San Paolo era convinto nel
considerare la Chiesa come Israele, ciò non implica la rivendicazione del fatto
che, dopo Cristo, solo la Chiesa sia Israele. Detto con altre parole, attribuire
identità israelitica alla Chiesa è una condizione necessaria ma non
sufficiente per l'espropriazione; è così logicamente possibile per i cristiani
riavere l'identità israelitica senza negarla agli ebrei.
La
contro-argomentazione afferma però che ciò che è logicamente possibile può
diventare, nel corso del tempo, storicamente necessario. Dato che le
rivendicazioni dell'identità israelitica erano di stampo supersessionistico
quasi fin dall'inizio, sembra a molti evidente che l'identità israelitica senza
supersessione non sia un'opzione possibile. Tuttavia, prima di prendere in
considerazione queste affermazioni, abbiamo bisogno di osservare l'opzione
inversa, la supersessione senza identità israelitica, che è stata la
situazione normale per alcuni degli ultimi secoli.
Scartare Israele
Nel periodo moderno è scomparsa l'enfatizzazione del
concetto di Chiesa come Israele, in parte come conseguenza delle controversie
del secolo diciassettesimo riguardo al modo ed al tempo in cui la Chiesa è
stata fondata. Il papato poteva essere meglio difeso - come credevano i
cattolici romani - individuando le origini della Chiesa nelle dichiarazioni di
Gesù (Mt 16,18). I vari gruppi protestanti contrastavano questa identificazione
in base ai loro singoli interessi ecclesiali, rivendicando il fatto che le
origini della Chiesa risiedessero nel battesimo di Gesù o nella vocazione degli
Apostoli e nella pentecoste. Un risultato inatteso di questi dibattiti era
costituito dal fatto che le varie immagini della Chiesa che ne scaturivano erano
contrassegnate dalla discontinuità anziché dalla continuità con
Israele.
Soltanto nell'opera di Giovanni Calvino e nel calvinismo il
riferimento alla Chiesa nell' "Antico Testamento" sopravvisse come concetto
fondamentale, ma questo riferimento ebbe poco spazio all'interno
dell'Illuminismo, se si eccettuano alcune sacche isolate come esempio il New
England.
Come conseguenza dell'Illuminismo l'attenzione si spostò
dalla Chiesa e Israele intesi come popoli al cristianesimo e all'ebraismo
concepiti come religioni nelle quali i singoli individui credevano e/o
praticavano.
Col tempo, questi spostamenti d'attenzione portati dalla
Riforma e dall'Illuminismo hanno aperto la strada alle teologie della
sostituzione attualmente prevalenti, le quali fanno qualcosa di più che
trascurare la visione delle Chiese come Israele: scartano direttamente
quest'ultimo. La liturgia e l'insieme degli inni sacri abbondano di riferimenti
scritturali, tratti specialmente dai Salmi, che menzionano Israele, Gerusalemme
e Sion, che vengono applicati come in passato alla Chiesa ma sono diventati
metafore morte destituite dell'eccezionale realismo tipologico che possedevano
un tempo. La nozione del compimento continua ad essere realisticamente
affermata, ma con un significato radicalmente differente. Il compimento non è
più concettualizzato nei termini della narrativa biblica di Dio che mantiene e
conferma promesse e profezie a persone e gruppi, bensì nei termini di detentori
impersonali del progresso evolutivo, progresso al quale una religione provvede
ponendo le condizioni per il sorgere di una nuova, più elevata religione. Il
compimento, ora, si applica alle religioni, non più ai popoli.
Le versioni meno censurabili di questa prospettiva potrebbero
essere considerate quelle che assimilavano l'ebraismo a una vigna fiorita che, una
volta resa piena di frutti dal clima favorevole, ha dato come suo raccolto il
cristianesimo, ma conserva ancora abbastanza fertilità per poter dare nuovo
frutto - anche se di tipo meno succulento - attraverso i millenni. Più
frequentemente, però, questa condiscendenza implicita è stata meno benigna.
L'ebraismo è stato considerato nei termini di un assioma progressista secondo
il quale ciò che è buono costituisce solo la premessa, la preparazione per il
meglio. Secondo Arnold Toynbee - per citare un pensiero che si serve di un
esempio esterno all'ambito teologico - l'ebraismo rabbinico sembra il fumo
residuo di una fiamma di propulsione il cui scopo era quello di lanciare in
orbita una navetta spaziale. Il culmine estremo di tali visioni fu raggiunto dai
Deutsche Christen (i cristiani tedeschi), compagni di viaggio dei nazisti, per i
quali gli ebrei e la loro religione erano un cancro nella carne del futuro.
Tutti questi tipi di supersessionismo, da quelli meno
offensivi, a quelli più viziosi, ripudiano con veemenza la somiglianza della
Chiesa con Israele, essi garantiscono che il cristianesimo è stato originato
all'interno dell'ebraismo, ma sostengono con fermezza che esso è diventato una
realtà radicalmente nuova. Nell'epoca moderna, alcuni stati sono stati pensati
come Israele. I cristiani - dagli israeliti britannici, agli olandesi, agli
svedesi e ai polacchi e, fuori dall'Europa, dai Boeri dell'Africa del Sud agli
americani - hanno presentato le loro nazioni, e non la Chiesa, come qualcosa
simile a Israele.
L'alleanza non revocata
Il rifiuto del carattere israelitico della Chiesa non ha
eliminato il supersessionismo. Forse, pertanto, il recupero della concezione
pre-moderna della Chiesa come Israele completerà ciò che le teologie moderne,
progressiste, ancora non hanno. E ancora, gli orrori delle teologie pre-moderne
di sostituzione non erano da meno di quelle moderne, progressiste,
(eccettuate quelle perpetrate dal nazismo, le quali, in ogni caso, erano un
dualismo manicheo più che una eresia supersessionista cristiana: invece
di vedere gli ebrei come un trampolino verso beni maggiori, che un tempo è
stato utile ma ora viene scartato, i nazisti li consideravano come malvagi ab
initio).
I massacri del secolo undicesimo nella Renania e all'epoca della
prima crociata possono essere stati perpetrati - come la storia generale mostra
- da bande selvagge, disapprovate dalla Chiesa, composte di contadini illetterati
agitati da false notizie come quella secondo la quale erano stati gli ebrei a
consegnare Gerusalemme (che essi volevano riscattare) al Turchi; ma anche se
tali notizie fossero state vere, l'ecclesiologia della Chiesa era responsabile.
I massacri hanno avuto luogo in una cultura satura - iconograficamente e
verbalmente, dai livelli più alti a quelli più bassi - dell'idea che solo la
Chiesa era Israele. A causa di questa storia, l'idea che la Chiesa sia Israele -
a meno che non la si consideri più come l'unico Israele - rimane indecente,
sussistendo il fondato timore che essa possa essere nuovamente sfruttata per
negare a Israele il suo diritto di nascita, come è sempre stato fatto nelle
epoche successive al Nuovo Testamento.
La critica storica è la principale fonte di garanzia che
questa idea non venga più sfruttata in questo modo negativo. Persino i membri
più conservatori del Vaticano - per non menzionare i protestanti - si stanno
persuadendo, anche se con un po' di riluttanza, del fatto che gli studi biblici,
storici e teologici dimostrano che il Nuovo Testamento, preso in blocco, non
insegna il supersessionismo. Può darsi che le emozioni che hanno motivato il
rifiuto del supersessionismo ai nostri giorni siano state portate principalmente
dall'orrore suscitato dalla Shoà, ma questo rifiuto non sarebbe stato
possibile senza un chiarimento dello sfondo storico critico.
Ci si può aspettare che questo consenso sopravviva fin
quando persistano i moderni metodi d'indagine. Gli interpreti critici discordano
sull'identificazione o meno della Chiesa con Israele da parte della Bibbia, ma
concordano sul fatto che la Bibbia stessa, presa in blocco, non insegna il
supersessionismo né nella sua forma pre-moderna, né in quella moderna.
Questo
consenso scientifico permette ai cristiani di recuperare la loro fede storica
nell'elezione degli ebrei da parte di Dio, rifiutando la teologia della
sostituzione: l'Alleanza con Israele non è stata revocata; il che significa che
gli sforzi della Chiesa di identificarsi con Israele non portano necessariamente
al supersessionismo. Non solo gli individui, ma anche intere comunità
cominciano ad affermare che l'Alleanza con Israele resta in vigore, estendendosi
agli ebrei e all'ebraismo contemporanei. Nella misura in cui questa tendenza
continuerà ad esistere, l'affermazione che anche la Chiesa è Israele resterà
- per così dire - innocua. Rompendo il legame col supersessionismo, questa
stessa tendenza trasforma lo sforzo della Chiesa di identificarsi con Israele in
un'impresa inoffensiva e non minacciosa.
L'appropriazione: l'identità israelitica compartecipativa.
Ma il fatto che sia innocente non è una ragione sufficiente
per lanciarsi in questa difficile impresa; lo sforzo non dovrà essere soltanto
innocuo nei confronti degli ebrei, ma dovrà anche essere positivo per i
cristiani. Per valutare ciò che i cristiani hanno da guadagnare, basta
ricordare i benefici generali dell'assunzione della concezione di Chiesa come
Israele descritti precedentemente in questo libro.
Innanzitutto, se la Chiesa è
Israele, ne segue che tutto l'Antico Testamento è essenziale, tanto quanto il
Nuovo, per l'auto-comprensione della comunità cristiana. Così, la Chiesa non
può essere intesa, nel pensiero moderno, come una corporazione a
responsabilità limitata, formata da individui che si associano liberamente per
la sviluppo dei propri progetti personali. Al contrario, la Chiesa è un popolo
che Dio ha radunato da molte nazioni differenti per portare testimonianza,
insieme a Israele, della promessa fatta ad Abramo e Sarah; vale a dire che la
loro discendenza sarebbe stata una benedizione per tutta l'umanità.
In secondo
luogo, questo nuovo modo di considerare l'Antico Testamento da parte della
Chiesa sfida la tendenza cristiana di creare delle polarizzazioni tra
collettivismo e individualismo, tra questo e quell'altro mondo, tra il
riferimento esterno all'umanità come un tutto e l'attenzione interna alla
comunità eletta.
Infine - e soprattutto - l'enfasi dell'Antico
Testamento
sull'elezione corporativa incondizionata è vitale nella lotta contro le
rivendicazioni cristiane del fatto che l'elezione di Israele fosse meramente
condizionata, sia stata abrogata e sostituita dall'auto-elezione operata dalla
Chiesa. Sono questi i benefici generali del considerare la Chiesa come Israele;
mi si permetta ora di ritornare agli esempi specifici contemporanei.
L'uso dell'Antico testamento - da cui dipendeva in gran parte
la vitalità della Chiesa - tende ad avere effetti negativi quando qualcos'altro
all'infuori della Chiesa viene identificato con Israele.
Riconosco che, a volte, associare Israele a qualcosa di
diverso dalla Chiesa ha delle conseguenze buone ma, alla resa dei conti,
limitate, come nel caso degli evangelici sociali che si sono identificati con i
profeti ebraici o in quello dei neri statunitensi e dei movimenti di liberazione
dell'America Latina che si sono appropriati della storia dell'Esodo. Più
frequentemente, però, simili appropriazioni dell'ebraismo hanno finito per
essere semplicemente disastrose. Come quando sono state predicate sotto forma di
"Cristianesimo" o di nazione "cristiana" o, ancor peggio, di
una razza, come nel caso dell'apartheid da parte dei boeri dell'Africa
del Sud.
Un esempio singolare ma attuale di questo pericolo è dato
dai fondamentalisti "dispensazionalisti", come vengono chiamati, che
si trovano principalmente, ma non esclusivamente, in America del Nord. Essi
interpretano l'Antico Testamento non con l'immaginazione tipologica che si può
incontrare ad esempio nella predicazione dei neri, ma in modo estremamente
moderno, letterale. Ripudiano ogni identificazione - anche quelle più
immediatamente metaforiche - con il mondo ebraico, ripetendo che tutti gli ebrei
e solo gli ebrei sono Israele, l'unica corporazione eletta da Dio per essere il
suo popolo eletto, tanto nel passato quanto nel presente.
All'interno di questa
visione, le Chiese cristiane della linea principale non hanno alcun ruolo,
perché la vera chiesa è quella invisibile; saranno gli ebrei che, negli ultimi
giorni, dopo la loro conversione a Cristo, regneranno a un livello più elevato
degli stessi fedeli di origine gentile nel regno messianico. I
dispensazionalisti sono frequentemente - anche se non sempre - sionisti in
politica, ma sono pur sempre dei supersessionisti che espropriano l'Antico
Testamento per il loro fini. Il miscuglio di teorie che essi hanno prodotto
sembra folle a tutti gli ebrei e alla maggior parte dei cristiani, ma attrae
milioni di persone. L'Antico Testamento letto senza la prospettiva di una
Chiesa-come-Israele è un libro pericoloso.
Un secondo esempio contemporaneo che si riferisce al
dissociare la Chiesa da Israele è una inversione del trionfalismo che il
cristianesimo ha avuto storicamente. In alcuni gruppi, l'auto-flagellazione ha
acquisito l'aura di virtù. La menzione di tutti gli errori che si trovano nel
cristianesimo è accettabile e degna di lode, mentre gli aspetti positivi del
cristianesimo stesso passano sotto silenzio.
Questi attacchi a mali reali, come
l'euro-centrismo, il patriarcalismo, l'antisemitismo e l'oppressione che la
Chiesa ha esercitato per molto tempo, perdono regolarmente la loro efficacia a
causa dell'atteggiamento del tipo io-sono-più-santo-di-te col quale vengono
fatti. Chi giudica si pone sempre al di fuori del proprio contesto e dei dati
scritturali; l'alienazione dalle comunità storiche di fedeli (o - per usare una
fraseologia tipica - dalla religione organizzata), è una conseguenza comune di
tutto ciò.
Di fronte a tali critiche del cristianesimo è necessario ricordare
ai cristiani che gli ammonimenti biblici rivolti al popolo di Dio in entrambi i
Testamenti sono stati formulati, a differenza delle critiche contemporanee, da
profeti che erano saldamenti uniti alla comunità. Considerare la Chiesa come
Israele significa recuperare tali voci critiche. I profeti costituivano
un'opposizione leale, non avversaria. Come delle vedette, non hanno abbandonato
le loro posizioni, ma hanno continuato ad ammonire, a rischio delle loro stesse
vite, coloro che erano sordi ai loro avvertimenti e che vi si opponevano. Al
contrario - così sembra a chi osserva - i contestatori cristiani contemporanei
tendono a distaccarsi dai loro oppositori. Quello di cui i cristiani hanno
bisogno è un senso di appartenenza a un popolo comune - simile a quello che ha
Israele - atto a sostenere le opposizioni leali che rendano possibile la
persistenza nel tempo di quelle argomentazioni a volte amare senza le quali le
comunità divise non possono sopravvivere.
Un ulteriore esempio di ciò che i cristiani possono
guadagnare dal concetto della Chiesa come Israele inteso in termini non
supersessionisti, è che esso li rende liberi di ascoltare la parola di Dio non
solo attraverso gli israeliti dell'Antico Testamento, ma anche attraverso i
giudei post-biblici; questa libertà procede dalla fede nel fatto che l'alleanza
con Israele non è stata revocata. Gli ebrei rimangono il popolo eletto di Dio,
e vengono così a costituire la prima fonte utile ai cristiani per comprendere
il volere di Dio. Nell'evoluzione dei tempi che il Cristianesimo si trova oggi
ad affrontare, è sempre più importante che le chiese si rivolgano all'Ebraismo
per essere istruite.
Gli ebrei hanno imparato molto a proposito del sopravvivere
fedelmente all'interno di società ostili durante il lungo Galuth (esilio); i
cristiani necessitano oggi, di insegnamenti analoghi, dato che anche loro stanno
diventando una diaspora sparsa per il mondo intero che, tramite il movimento
ecumenico, cerca di porre fine alla propria dispersione creando un universo
comune, istituzionalmente decentralizzato, di dialogo e - si spera - di
testimonianza.
Naturalmente la Chiesa non può e non deve assimilarsi
all'Ebraismo rabbinico del primo o del Secondo tempio, ma alcune strategie
elaborate dai rabbini, non ultime quelle ermeneutiche, sono di insegnamento per
le chiese del periodo post-cristiano. Si consideri, per esempio, la pratica
talmudica di giustapporre opinioni autorevoli contrarie fra di loro, invece di
armonizzarle delicatamente o di respingere brutalmente l'una o l'altra di esse,
come i cristiani usavano fare. Ma nel complesso, i ruoli delle due Torah e dei
commenti rabbinici provenienti dall'Ebraismo sono preziosi per appianare le
differenze che dividono le chiese a proposito dei rapporti tra i due Testamenti
e la tradizione ecclesiastica.
Per una trattazione del ruolo delle due Torah e dei
commenti rabbinici all'interno dell'Ebraismo, si veda David Weiss Halivni,
"Revelation restored. Divine writ and critical responses" [La
rivelazione restaurata: scritto divino e risposte critiche] (Boulder, Colo.:Westview
Press, 1997). Quale sarà il numero dei cristiani che trarranno profitto da tali
pratiche ebraiche nella costruzione della comunità, rimane un quesito aperto,
ma nella misura in cui essi diverranno capaci di apprendere, il disprezzo nei
confronti dell'Ebraismo sarà definitivamente bandito dal Cristianesimo. Ma un
tale sviluppo potrà essere positivo per gli ebrei? Permettetemi di affrontare,
per ultimo, questo interrogativo.
I contestatori potrebbero obiettare che quanto più la Chiesa
è simile a Israele quanto meno essa è anti-ebraica, tanto maggiore sarebbe la
minaccia assimilazionista a cui essa darà vita. Alcuni direbbero che la dissimiglianza commista a un po' di ostilità contribuisce di più alla
sopravvivenza dell'Ebraismo di quanto non lo facciano la somiglianza e
l'amicizia. Ma è anche plausibile uno scenario del tutto differente. La sfida
più grande all'identità di una minoranza non viene più dalle maggioranze
stabili dell'Illuminismo e del Cristianesimo, ma piuttosto da un consumismo
pluralistico pervasivo, distruttore di tutte le tradizioni e di tutte le
comunità permanenti. Tanto i cristiani quanto gli ebrei sono travolti da
quest'onda assimilazionista; la resistenza più efficace che i cristiani vi
possono opporre è il riavvicinamento delle radici della Chiesa e Israele alle
Scritture di Israele senza espropriare Israele. Per raggiungere questo obiettivo
i cristiani hanno bisogno dell'aiuto dei detentori originari delle Scritture, e
entrambe le parti si accorgeranno del fatto che tanto la distinzione quanto la
profondità delle rispettive radici saranno aumentate e non diminuite dalla
condivisione di questo testo. Non v'è qui alcun rischio di sincretismo, dato
che ciascuna delle due tradizioni è ben radicata nella sua maniera peculiare in
questo testo condiviso.
Il pericolo maggiore sono le dispute infantili, dal
momento che gli ebrei e i cristiani hanno bisogno della Grazia di Dio per
portare avanti il dialogo che hanno ora cominciato. Devono fare ciò a causa
delle rispettive comunità di fede che sono chiamati a servire, e lo possono
fare perché condividono una speranza comune nella venuta del Messia, attorno
alla quale gravitano tutti i loro disaccordi, e nella quale tutte le loro
divisioni saranno superate. La fede chiama i cristiani a preferire questo
secondo scenario, senza tuttavia dimenticare i pericoli assimilazionisti. Se
questo sia lo stesso futuro per il quale gli ebrei vogliano sforzarsi, spetta a
questi ultimi deciderlo.
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Oltre il supersessionismo
Micheal Signer : Nel corso degli ultimi cinquant'anni, dopo
una seria autoanalisi, molti cristiani sono arrivati alla conclusione che i loro
atteggiamenti supersessionisti nei confronti degli ebrei e dell'ebraismo li
hanno allontanati dalle esigenze più profonde della loro fede. Per più di
trenta anni, a partire dal Concilio Vaticano Secondo (1965), molti cristiani di
tutto il mondo hanno cominciato a rivolgersi con amicizia al mondo ebraico.
Papa
Giovanni Paolo II ha ribadito, in molte prediche, che l'Alleanza di Dio con il
popolo ebraico è tuttora in vigore, dal momento che gli ebrei hanno un rapporto
permanente con la Nazione di Israele. Papa Giovanni Paolo ha invitato i
cristiani a impegnarsi nella teshuvah - ha utilizzato la parola ebraica
che designa il "pentimento" - per il trattamento rude che gli ebrei
hanno ricevuto da parte dei cristiani nel corso degli ultimi due millenni. Altri
gruppi cristiani hanno espresso iniziative simili finalizzate all'amicizia e al
dialogo con gli ebrei.
Il perché del cambiamento
David Sandmel : La Shoah, in quanto avvenimento pieno di
implicazioni tanto per le relazioni giudaico-cristiane quanto per l'umanità
intera, ha fornito agli ebrei e ai cristiani l'imperativo morale di andare oltre
il tradizionale antagonismo e ha fatto del dialogo interconfessionale una
necessità; abbiamo bisogno di parlare con i nostri vicini. Il fatto che gli
ebrei e i cristiani parlino gli uni con gli altri e imparino gli uni dagli altri
non è una novità.
Ciò che costituisce una vera novità è che ci cerchiamo
attivamente per raggiungere degli obiettivi condivisi: la tolleranza e il
rispetto, certamente, ma anche l'approfondimento della nostra esperienza
religiosa e l'auto-comprensione. Questo dialogo, più che essere uno sforzo
intellettuale, potrà anche porre le basi di una nuova modalità di cooperazione
costruttiva tra diverse tradizioni nel contesto del cambiamento dell'ambito
religioso all'interno della società contemporanea.
David Novak : Il mondo che gli ebrei e i cristiani si trovano
oggi ad abitare non è né ebraico né cristiano. Per questo motivo, gli ebrei e
i cristiani che vogliono far sopravvivere la loro identità all'interno di
questo mondo, hanno bisogno di diventare più genuinamente religiosi.
Bisogna
considerare i cambiamenti nelle relazioni ebraico-cristiane anche sullo sfondo
di un fatto più sorprendente: nell'ultima metà del secolo scorso, il potere
politico degli ebrei è cresciuto, mentre il potere politico dei cristiani è
diminuito. Esso è diminuito nella misura in cui la nostra società e la nostra
cultura - che precedentemente erano state considerate "cristiane" -
non guardano più in maniera significativa al Cristianesimo come base per la
loro giustificazione. Questa diminuzione di potere ha colto molti cristiani come
uno choc, e spiega ampiamente perché i cristiani non si possono più
relazionare con gli ebrei con le stesse modalità del passato.
Nonostante l'Olocausto, il potere ebraico nel mondo secolare
è cresciuto enormemente. Il popolo ebraico è sopravvissuto all'Olocausto con
una determinazione maggiore nell'essere più attivo e meno vulnerabile in questo
mondo. Gli ebrei sono arrivati ad essere cittadini non solo uguali, ma anche
leaders nelle democrazie occidentali. E, naturalmente, la rifondazione dello
Stato di Israele ha fornito agli ebrei una presenza nel contesto politico
mondiale che essi non avevano più già dai tempi biblici. Molti ebrei hanno
visto nella crescente secolarizzazione del mondo la fonte del loro potere
recentemente conquistato.
Gli ebrei che hanno questo atteggiamento mentale sono
abitualmente anti-cristiani, dal momento che considerano i cristiani i primi a
desiderare il nostro ritorno nei ghetti - o ancor peggio. Ma un numero crescente
di ebrei comprende attualmente che considerare la secolarizzazione come la fonte
del nostro successo significa fare di essa il nostro dio. Ma, dato che la
secolarizzazione non ha bisogno dell'Ebraismo, essa non ha nemmeno bisogno di
ciò che rende gli ebrei innanzitutto ebraici, ed è pertanto un contesto che
può provocare la nostra scomparsa, minandola alle basi o piagnucolando.
La
percezione dei pericoli insiti nel secolarismo ha motivato un numero sempre più
grande di ebrei a tornare all'interno del contenuto religioso della tradizione
ebraica temporale. E, anche se alcuni di questi ebrei che tornano alla religione
considerano il Cristianesimo e i cristiani come un vecchio nemico, alcuni altri
si stanno accorgendo del fatto che i cristiani stanno affrontando sfide simili a
quelle che stiamo affrontando noi, e per gli stessi motivi. In quest'epoca di
secolarismo, tanto i cristiani quanto gli ebrei hanno bisogno di imparare ad
essere i cantori del cantico del Signore Dio dell'Israele del nuovo esilio (Galuth)
nella terra straniera della società contemporanea.
La nostra relazione,
pertanto, è qualcosa di ancor più grande della relazione 'interreligiosa' nel
senso abituale del termine. Nel bene o nel male, non siamo mai stati gli uni
separati dagli altri. E adesso abbiamo bisogno gli uni degli altri in modalità
nuove e sorprendenti.
Il nuovo dialogo Ebraico-Cristiano
David Novak : Il nuovo dialogo doveva essere iniziato dai
cristiani a causa della lunga storia del potere cristiano sugli ebrei. Questa
iniziativa cristiana è stata positiva tanto per gli ebrei quanto per i
cristiani, poiché riduceva la partecipazione cristiana all'antisemitismo.
L'antisemitismo nuoce a noi ebrei, pregiudicandoci politicamente e persino
fisicamente; l'antisemitismo nuoce ai cristiani perché è immorale e quindi
spiritualmente distruttivo.
Questa iniziativa cristiana giova tanto all'Ebraismo
quanto al Cristianesimo, perché ha riportato alla luce le radici ebraiche del
cristianesimo. Dimenticare queste radici nuoceva ai cristiani, perché li ha
portati ad essere tentati da varie idolatrie; nuoceva agli ebrei, poiché
offuscava la nostra unica relazione storica con il Cristianesimo. Fino ad oggi,
questo dialogo si è sviluppato particolarmente tra studiosi cristiani ed ebrei. Gli
studiosi ebrei, trovandosi a stretto contatto con gli studiosi cristiani nel
corso del loro lavoro, sono i più zelanti e qualificati nell'impegnarsi in
questo scambio religioso e teologico. Nessun'altra cosa potrà essere più utile
di questo interscambio affinché gli ebrei recuperino la propria identità
ebraica in un mondo secolarizzato, e nessun'altra cosa è altrettanto degna di
quanto non sia la profondità intellettuale della tradizione ebraica.
David Sandmel : Ma sono anche profondamente consapevole - e
ciò mi viene continuamente ricordato - del fatto che questo nuovo dialogo sta
prendendo forma tra un gruppo relativamente piccolo di ebrei e cristiani. La
diffidenza e i malintesi tradizionali sono ancora molto vivi all'interno di
ciascuna comunità.
Per quanto sia importante l'indagine teologica
pionieristica - e
io credo che essa sia della massima importanza -, uguale importanza riveste
l'allargamento di questo circolo. Tale espansione non sarà facile, poiché la
nostra tradizionale cautela nei confronti dei cristiani e del cristianesimo e la
nostra lotta attuale per la difesa delle peculiarità e della vitalità
ebraiche rendono difficile l'apprezzamento del valore insito nell'ampliamento
dei ricorsi comunitari limitati all'interno di uno sforzo che ci metta a
confronto con persone che abbiamo temuto e evitato per tanto tempo. Ma il
dialogo tra le "fedi", tra ebrei, deve condurre a una crescente
comprensione del fatto che il dialogo con il Cristianesimo "fa bene agli
ebrei".
I cristiani che hanno rifiutato il supersessionismo, che sono
ansiosi di un cambiamento profondo, possono rimanere frustrati dal ritmo
rallentato del dialogo e possono sorprendersi del fatto che gli ebrei che essi
incontrano non partecipino al loro entusiasmo e se ne sentano di fatto
addirittura minacciati. Questa frustrazione è un altro indizio della novità di
questo sforzo.
Nonostante singoli individui di entrambe le comunità siano
riusciti a raggiungere un nuovo modo di intendersi, potendosi relazionare con
reciprocità e integrità, una tale intesa non è la norma per quanto riguarda
l'una o l'altra delle due comunità. Mentre permangono i vecchi antagonismo -
che sono la regola all'interno di entrambe le comunità - quanti coltivano il
desiderio di spingersi avanti nel territorio inesplorato, devono avere la
pazienza e l'impegno necessario a trascinare avanti il resto della loro
comunità.
Tikva Frymer Kensky : È germogliato un dialogo serio che
coinvolge molti ebrei religiosamente immersi in tutte le sfere dell'ebraismo.
Oggi, in un'epoca in cui il nostro imperativo etico che fa riferimento al tiqqun
'olàm ci spinge a rimuovere ogni disuguaglianza, laddove è possibile, e
ogni iniquità basata sulla disuguaglianza stessa in qualsiasi luogo, tanto gli
ebrei quanto i cristiani sperimentano la tensione tra il passato e il futuro; il
che è molto importante per la vita di ciascuna delle due religioni. Il
cambiamento responsabile esige che noi ampliamo le nostre prospettive.
A livello
interno, questo ampliamento richiede il nostro studio attento di molte fonti del
passato: testi biblici indipendenti dall'ambiente rabbinico, testi cabalistici e
gli altri testi rimanenti della tradizione popolare. A livello esterno,
l'impegno serio col Cristianesimo ci fornisce un'ulteriore prospettiva che non
è del tutto la nostra ma non è nemmeno tanto remota da essere Altra e
contrastante. A volte, questo impegno intenso aiuta a illuminare i nostri
dilemmi reciproci.
Ad esempio, per quanti tra di noi sono impegnati nel
riformare il sistema dei rapporti tra i sessi all'interno dell'Ebraismo, è
illuminante scoprire che le idee rabbiniche su ciò che gli uomini e le donne
dovrebbero essere sono spesso completamente diverse tanto dalle idee cristiane
in merito quanto dalle idee contemporanee. L'esplorazione congiunta di Ebraismo
e Cristianesimo ci fa comprendere fino a che punto le nostre religioni sono
state influenzate da convenzioni culturali, consentendoci così di diventare
flessibili e dinamici nel nostro ravvicinarci.
Peter Ochs : Il dialogo può arricchire anche quelli che non
cercano il cambiamento. Circa quindici anni fa ho ascoltato Michael Wyschgorod,
il teologo ebraico ortodosso, nel corso di un incontro ebraico-cristiano. Il
professor Wyschgorod ha fatto un meraviglioso insegnamento sulle modalità in
cui la coincidenza parziale tra le fedi bibliche avvicini i religiosi ebrei e
cristiani e su come la sua osservanza dei comandamenti (mitzvòt)
arricchisca il suo dialogo con i cristiani.
Nella parte della conferenza
dedicata alle domande e alle risposte, un collega laico ha sostenuto che
l'ortodossia del professor Wyschgorod era di fatto un ostacolo al dialogo, così
come lo erano le ortodossie cristiane equivalenti: quelle fedi antiquate, disse,
spingono le persone ad allontanarsi tra di loro, non le avvicinano, rendendole
fedeli a sistemi che investono la fede e la prassi. "La sua protesta",
rispose il professor Wyschgorod (come riporto qui parafrasando), "mi
ricorda il racconto popolare dell'ape che non poteva volare. Osservando quella
creatura robusta dalle piccole ali,i dottori e gli scienziati del mondo degli
insetti, armati di tutti i loro strumenti di misura e dei registri di ogni
specie di equazione, arrivarono alla conclusione che 'quest'ape può volare'. Ma
certo che poteva volare!, più energicamente della maggioranza delle altre
specie! Ma la prova stava nel volo! Così, allo stesso modo, in questo caso, i
dialoghi più profondi e reciprocamente rispettosi nei quali sono stato
impegnato, sono stati quelli tra cattolici ortodossi ed ebrei (nel corso di
eventi patrocinati dal Vaticano) e tra scienziati ebrei ortodossi e cristiani
barthiani. Questi dialoghi hanno avuto successo, mentre molti sforzi liberali
sono falliti, perché in questi casi non vi è una forzatura a far diventare uno
i due punti di vista, e perché ciascuna fede ha visto nell'altra una
testimonianza di Dio, piuttosto che concetti diversi di Dio, anche se erano
testimonianze di Dio diverse tra loro. Il vero dialogo è quello che rispetta la
differenza ed è da essa animato".
Tikva Frymer Kensky : Il dialogo tra ebrei e cristiani ha un
senso perché condividiamo cose significative. In quanto monoteisti, vediamo il
mondo come un dialogo tra Dio e l'umanità. Entrambe le nostre religioni sono
degli "umanesimi religiosi" che comprendono il significato degli
esseri umani come "immagine di Dio", e cercano di comprendere chi e
che cosa dobbiamo essere.
Le nostre sono religioni basate sulla Bibbia che
"triangolano" la nostra esperienza vissuta con una Sacra Scrittura e
con una lunga tradizione. Dalle nostre storie secolari abbiamo molto da imparare
riguardo a come viviamo. Gli ebrei hanno primeggiato nello studio comunitario
del testo biblico e nella pratica quotidiana. I cristiani hanno acquisito, in
centinaia di anni, una grande raffinatezza nella riflessione teologica.
Stimolati dagli altri, possiamo allargare la sfera della nostra stessa
comprensione.
Peter Ochs : Ecco un esempio. Alcuni anni fa, un gruppo di
scienziati ebrei, cristiani e musulmani hanno fondato la Società per
discussione sulle Scritture (Society for Scriptural Reasoning), dedicata
all'integrazione tra le dimensioni accademiche e la pratica di questo tipo di
dialogo. Dopo aver condiviso saggi nel corso di un anno su un sito Web comune,
quaranta o cinquanta scienziati si riuniscono annualmente per studiare insieme i
testi della Scrittura in un ambiente sia religioso che accademico.
Uno degli
obiettivi della Società è accademico: l'approfondimento della propria
tradizione di studio della Scrittura da parte di ogni partecipante,
l'approfondimento della familiarità con altre tradizioni bibliche e la
partecipazione alle conoscenze della scienza contemporanea. Un altro obiettivo
è sia accademico che pratico. Nonostante gli atti di intolleranza religiosa
riempiano frequentemente le cronache internazionali, la maggior parte delle
persone non capisce quanti siano i religiosi, musulmani, ebrei e cristiani che
soffrono per i preconcetti antireligiosi della società secolare moderna.
L'università laica è spesso un ambiente oppressivo per quegli studenti che
considerano le tradizioni bibliche degne di un ampio studio scientifico tanto
quanto le tradizioni greco-romane o quelle europee moderne. Uno degli obiettivi
della Società è impegnarsi contro questo pregiudizio, promuovendo un ambiente
pluralista nel quale i religiosi ebrei cristiani e musulmani possano studiare
tutti gli aspetti delle branche umanistiche. Nel futuro, questo modo di studiare
potrà rappresentare un nodello per una università più tollerante, in cui
varie generazioni di studenti impareranno a studiare le nostre tradizioni di
sapienza e etica religiosa con il rispetto e l'attenzione con i quali
attualmente si dedicano principalmente - e molte volte esclusivamente - alle
tradizioni non bibliche.
Il lavoro della Società è cominciato sotto forma di
un dialogo ebraico-anglicano tra i teologi dell'Università di Cambridge, Daniel
Hardy e David Ford, e i pensatori ebrei Eliot Woolfson e Peter Ochs. La
Società, da allora, si è ingrandita, comprendendo tra i suoi leaders alcuni
degli autori che hanno scritto saggi per questo volume. In un certo senso,
l'attività della Società è stata anticipata dallo studio teologico cattolico
- protestante - ebraico, il quale è promosso dai teologi cattolici
Richard Newhaus e Avery Dulles SJ ora Cardinale. Alcune persone coinvolte in
questo programma hanno contribuito a questo libro: Robert Wilken, Stanley
Auerwas, George Lindbeck, David Novak, Peter Ochs e Shalom Carmy (il nostro
consulente editoriale).
Tikva Frymer Kensky : A volte, il dialogo può dare una luce
trasformante alla nostra tradizione. Gli scrittori ebrei sogliono sottolineare
il contrasto tra il sistema giudaico dell' "obbligo" con
l'avvicinamento ai "diritti" della tradizione giuridica occidentale,
enfatizzando il fatto che l'obbligo ha una spinta comunitaria e un senso
importante di impegno morale. Il dialogo con il Cristianesimo ci può portare a
mettere in risalto anche il "privilegio" di avere l'opportunità di
far qualcosa. Ciò non costituisce un'idea radicalmente nuova, dal momento che
il pensiero rabbinico considera un privilegio l'essere obbligato ad osservare i
comandamenti. Ma la cristianità, non avendo un proprio linguaggio relativo ai
comandamenti e non parlando molte volte di "obbligo" utilizza altri
termini per spiegare le proprie esigenze morali, a volte evidenziando il
privilegio di avere l'opportunità di fare qualcosa o il fatto che il principio
delle proprie azioni è situato nell'azione stessa di Dio.
Ad esempio,
nell'atteggiamento degli uomini nei confronti dell'ecologia, gli ebrei
sottolineano con insistenza che siamo obbligati a proteggere la terra. I
cristiani possono affermare che abbiamo il privilegio di avere il compito di
aver cura del mondo in base al principio dell'ospitalità, dato che siamo ospiti
nella terra di Dio. Da un certo punto di vista, la differenza di linguaggio è
irrilevante: secondo entrambi i concetti gli esseri umani hanno il compito di
prendersi cura della terra. Ma la varietà linguistica ci mostra un altro
aspetto del nostro mandato, dandoci un senso più pieno della natura del
"comandamento" e arricchendo la nostra visione della relazione tra
l'umanità, Dio e la terra.
David Novak : Penso che le relazioni ebraico-cristiane in
questo nuovo secolo cresceranno in impegno e profondità se gli ebrei e i
cristiani accetteranno il principio secondo il quale nessuna delle due comunità
può e deve controllare la sfera "secolare" e, quindi, l'altra. I
cristiani non possono e non devono riottenere il controllo su un mondo che hanno
perso e noi ebrei non possiamo e non dobbiamo tentare di ottenere il controllo,
che non abbiamo mai avuto, sul mondo. nella misura in cui ebrei e cristiani
saranno capaci di dire sempre più "sono uno straniero sulla terra, non
nascondermi i tuoi Comandamenti" (Sl 119), si accorgeranno di quanto hanno
bisogno gli uni degli altri per essere in grado di osservare tali comandamenti
qui e ora. Nel mondo ancora non redento siamo tutti stranieri. Quanti
riconoscono questo fatto, accettando le proprie responsabilità, diventeranno
meno estranei gli uni nei confronti degli altri.
Michael Signer : Il dialogo interreligioso serio non è
assimilazione. Quando i cristiani e gli ebrei si impegnano nel dialogo, si
riuniscono per parlare del modo in cui le proprie religioni e pratiche
particolari arricchiscano la loro esperienza di vita. Descrivono i riti compiuti
in Chiesa e in Sinagoga che li rafforzano nei momenti di prova e che trasmettono
la loro eredità da una generazione all'altra. Nel dialogo cerchiamo il
fondamento comune riconoscendo la nostra differenza.
Nei prossimi anni, gli
ebrei e i cristiani si devono impegnare in una ricerca di rispetto reciproco, di
giustizia e d'amore. Dobbiamo cominciare questo dialogo con una struttura
diversa da quella delle precedenti conversazioni. Ciascuna delle due comunità
deve porsi di fronte all'altra con l'idea che siamo gruppi di persone che hanno
vissuto le proprie storie personali cercando di vivere attraverso le parole, i
fatti e i messaggi della Bibbia Ebraica.
Nel corso dei secoli, entrambe le
comunità hanno fruito dell'insegnamento di menti brillanti e dell'azione di
persone comuni. Abbiamo bisogno di condividere queste esperienze e questi
insegnamenti gli uni con gli altri. Dobbiamo riconoscere sin dall'inizio che in
ciascuna tradizione vi sono elementi che l'altra non potrà mai comprendere
pienamente. Ci dobbiamo rallegrare del fatto che siamo diversi gli uni dagli
altri. Dobbiamo comprendere che la dolcezza della concordia e la delusione della
discordia fanno parte di un tipo di rapporto consistente nell'aver cura gli uni
degli altri e del mondo che il Creatore ci ha affidato.
Non vi sono compromessi
in questo incontro, perché non c'è una vittoria per una comunità o l'altra.
Non c'è altro che una condivisione di vita. Sarà una vita di "sì" o
"no", di comunità e di separazione e di ricerca continua. Il conforto
e la gioia per le nostre ricerche comuni e separate forniranno una motivazione
continua al nostro nuovo approccio. Non abbiamo bisogno di sapere tutto quello
che ci aspetta nel nostro cammino, il mistero della sorpresa porterà con sé
certamente più gioia di quanto non faccia l'idea pessimista che la crescita e
la comprensione comune non siano alla nostra portata.
Peter Ochs : Insieme possiamo celebrare quanto vi è di più
sacro prezioso e singolare nelle nostre fedi basate sulla scrittura. Tale
dialogo porterà benefici tanto a noi quanto al mondo che ci circonda. Noi ebrei
cominciamo a scoprire quanto il mondo ha bisogno di noi, quanto il mondo
secolare ha bisogno di riascoltare gli Insegnamenti che portiamo con noi come
una benedizione per le nazioni e quanto i cristiani e i musulmani hanno da
guadagnare dallo studio di tali Insegnamenti insieme a noi. Scoprendo questo
bisogno, gli ebrei sono obbligati a riscoprire il proprio ruolo tra le nazioni
con il rispetto di se stessi e il senso di responsabilità che provengono da
questa riscoperta, gli ebrei sono anche obbligati a risperimentare la grandezza
e il valore della propria eredità religiosa.
Noteremo che l'influenza sociale e
politica di questa eredità crescerà ancora di più quando collaboreremo
strettamente con i cristiani che hanno una mentalità simile alla nostra
riguardo agli argomenti che condividiamo e ci dobbiamo rallegrare nel vedere
come questo lavoro comune approfondisca e renda soavi le vite religiose di
entrambi i partner del dialogo.
_________________
[1]
Testo inglese: Epilogo: Punti di vista Conclusivi
(Pagg.
357-373) dal libro "La Cristianità in termini ebraici", edito nel
2000 da Tikva
Frymer-Kensky ed
altri, Westview Press, 5500 Central Avenue, Boulder, Colorado 80301-2877,
EUA e 12 Hid's Copse Road, Cumnor Hill, Oxford OX2 9, UK
[Traduzione per "Le nostre
Radici" di Antonio Marcantonio]