I due emisferi cerebrali dell’essere umano non solo soltanto due
parti di un medesimo organo, ma le sedi di due ben distinti modi di
pensare, capaci di interpretare la realtà secondo modelli quasi
opposti. Tale fatto, scoperto dalla neurologia soltanto qualche
decina di anni fa’, era ben noto ai Saggi dello Zohar e
degli altri testi di mistica ebraica. Non a caso essi chiamano il
cervello col nome "mochin", lett. "i
cervelli", quindi più di uno. Nella terminologia della Cabalà
si tratta di Chokhmà
(Sapienza) e Binà (Intelligenza).
La prima ha sede nell’emisfero destro, ed è la capacità di
concepire idee complesse ed elevate, racchiuse in un singolo lampo
di genio, in un piccolo punto di intuizione. Si tratta di una facoltà
al di sopra della logica, una facoltà per la quale il simbolo, il
mito, il paradosso, l’enigma, il lato artistico e romantico di una
data situazione, sono pane quotidiano.
La seconda facoltà, Binà,
risiede a sinistra, e costituisce la capacità di afferrare il lampo
di Chokhmà (che altrimenti lascerebbe rapidamente la
consapevolezza) e di dargli forma e concretezza, spiegandolo ed
analizzandolo secondo concetti logici. Grazie a Binà, le
rivelazioni di Chokhmà vengono assimilate dall’intelletto,
trasmesse e comunicate, trasformate in progetti pratici e concreti. Binà
è raziocinio, linguaggio, rigorosità e senso pratico. Per quanto
il Creatore ci abbia fatto in modo tale da poter usarle entrambe,
ogni essere umano è più incline ad utilizzare una o l’altra
delle due facoltà descritte. Inoltre, l’intera società moderna
occidentale ha una spiccata preferenza per le funzioni tipiche
dell’emisfero sinistro.
La stessa Torà
possiede una struttura duplice, simile a quella descritta prima. Ed
è questo uno dei motivi per cui viene data su due tavolette, una a
destra e l’altra a sinistra. Nel campo della Torà le due
funzioni precedenti operano come segue.
Chi possiede più Binà
è attratto soprattutto dalla parte rivelata della Torà, il niglè,
gli insegnamenti dell’Halakhà, le discussioni della Ghemarà,
le riflessioni sulla filosofia ebraica.
Viceversa, chi è incline più
verso Chokhmà si rivolge in particolare alle haggadot
e ai midrashim, agli insegnamenti misteriosi della Cabalà
(nistar), a volte così
apparentemente contraddittori, alle vette superne del Chasidut.
"Torat Ha-Shem temimà", dice il Salmo, "meshivat
nafesh". "La Torà di Ha-Shem è
completa, fa rivivere l’anima".
Spiegano i Maestri del Chasidut
che soltanto quanto la Torà è completa di entrambi gli aspetti
citati è in grado di "far ritornare l’anima", di farci
rivivere, di farci fare una teshuvà completa.
Abbiamo così parlato
dei due cervelli noti nel corpo fisico come "emisfero destro ed
emisfero sinistro", e della necessità di sviluppare ed
utilizzare entrambe le funzioni che vi hanno sede. Si tratta però
di un compito alquanto difficile, per effettuare il quale è
indispensabile l’opera riconciliatrice di un terzo
"cervello", posto a metà strada tra i due.
La
consapevolezza che vi risiede ha il compito di mostrare come i loro
due modi di percepire il mondo non siano affatto contradditori e
mutuamente esclusivi, ma complementari e reciprocamente necessari.
La scienza non è ancora in grado di identificare un organo fisico,
posto nella parte mediana del cervello, in grado di svolgere un
ruolo del genere. La Cabalà invece già da lungo tempo ci
parla di un terzo cervello, chiamato Da’at, o
Conoscenza unificante. Si tratta della sede di un’intensa attività
spirituale, che rimane però misteriosa ed elusiva se espressa nei
termini della consapevolezza quotidiana.
È la percezione del
sottile legame che unifica le varie situazioni ed eventi della vita,
è la capacità di sentirsi un tutt’uno con quanto capiamo e
conosciamo con la mente. A livello psicologico, Da’at è
quella potenza dell’anima grazie alla quale è possibile unificare
pensiero ed emozione, cuore e cervello.
Tra tutte le facoltà
dell’intelletto, Da’at è quella che ha subìto la
menomazione più grave come risultato del peccato di Adam,
dell’essersi cibato dell’albero della conoscenza (etz
ha-da’at), un "peccato" che ripetiamo
ogni qualvolta preferiamo l’intelligenza umana e naturale alla
sapienza della Torà, che è chiamata etz
ha-chaim, l’Albero della Vita. Un atteggiamento
particolarmente utile per riportare Da’at alla sua integrità
primaria è quello di dare la massima priorità al Shalom
Bait, all’armonia famigliare, cioè al portare un
maggior senso di unione tra marito e moglie, in tutti i campi e in
tutti i momenti possibili. Ecco il senso del versetto;
"ve-Adam
yad’a et Chava ishto",
"e
Adamo conobbe Eva sua moglie",
intepretato dal Chasidut
come il momento in cui Adamo fece teshuvà dal peccato
dell’albero. A livello di società e di storia, la rettificazione
finale di Da’at verrà operata dal Mashiach, come
dice il verso:
"va-imale
ha-aretz de’a et Ha-Shem",
"e
la terra si riempirà della conoscenza di Dio".
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[Fonte:cabala.org]