Il
26 novembre 2003 il Patriarca di Venezia ha visitato la comunità
ebraica: «il nostro legame, terreno fecondo per incontrare le altre religioni».
Il gesto: in dono al Rabbino capo, Elia
Richetti, un antico libro di preghiere ebraiche.
«La
coscienza cristiana si trova nella necessità di ripensare in profondità
i suoi rapporti con il popolo ebraico. Una semplice risposta solidale
non può, infatti, considerarsi ultimamente risolutiva». Il ghetto
ebraico di Venezia sembra piegato nella malinconia di un pomeriggio
piovoso, ma le cinque sinagoghe accolgono, in tutto lo splendore della
loro storia, il patriarca Angelo Scola e una autorevole delegazione
della Chiesa di Venezia. È il seguito, concordato in primavera, delle
due visite rese dai rappresentanti della Comunità ebraica in
Patriarcato. Ma i tragici attentati di questi giorni caricano di
significato «questo gesto di squisita accoglienza».
Di questi tempi l'aria che si respira in ghetto è pesante. Carabinieri
e guardie di finanza tengono d'occhio calli e campielli. È proprio
questo, infatti, l'obiettivo più "sensibile" in laguna.
Eppure, «da più di cinque secoli - sottolineerà, nel suo saluto, il
presidente della comunità Dario Calimani -, noi ebrei veneziani ci
sentiamo non solo testimoni, ma soggetti e protagonisti di una storia
che ha dimostrato la possibilità, qui a Venezia, della convivenza nella
diversità». Diversità che è ricchezza. Ma che, come tale, presuppone
di coniugare la carità con la verità.
«Non ci sfuggono le responsabilità storiche di taluni figli della
Chiesa nel favorire oggettive ingiustizie contro i membri del popolo
ebraico», riconosce il cardinale. Evidente il richiamo al Papa. Ce ne
saranno altri. «Motivati dalla legge evangelica della verità e
dell'amore: queste parole del Santo Padre, ci aiutano a comprendere che
il rapporto tra il popolo di Israele e la Chiesa chiama in causa il
dovere alto della carità che, secondo il comandamento biblico, è
indisgiungibile dalla verità stessa della nostra fede cristiana».
Verità che va cercata da parte di tutti. «Al di là delle
comprensibili divergenze interpretative talora assai marcate, sono lieto
- dice Scola - del movimento di pensiero che ha condotto molti studiosi
ebrei ad occuparsi della figura di Gesù Cristo». E l'evoluzione della
Chiesa nei confronti della religione ebraica, se «da una parte chiude
la strada ad ogni opposizione tra cristianesimo ed ebraismo»,
dall'altra «costringe a stare umilmente di fronte a tutta la portata
della loro differenza».
Il cardinale, per spiegarsi, si concede un ricordo personale: un
incontro con Hans Urs von Balthasar, nel 1985. «Una delle questioni più
difficili alla quale forse solo Dio è in grado di rispondere
correttamente - gli confidò il teologo svizzero e il colloquio finì in
un libro-intervista - è quella dello "scisma" originario
dell'unico popolo di Dio (poiché non si possono dare due popoli di Dio)
provocato da Cristo stesso: Lui ne è responsabile, la Chiesa non
dovrebbe far finta di conoscere la soluzione e di poterlo risolvere. Noi
vediamo solo dei frammenti della verità intera dai quali non sappiamo
ricostruire la totalità». Così Von Balthasar.
Oggi Scola: «L'incontro
ed il dialogo tra ebrei e cristiani non può non partire dalla coscienza
di questa "singolare ferita" il cui mistero spinge la libertà
di ciascuno a riflettere in profondità sul disegno di salvezza di Dio
su tutti gli uomini». Peraltro, le tragiche vicende di questi giorni,
impongono che il «legame» tra ebrei e cristiani sia «terreno fecondo»
in cui mette le radici e si sviluppa anche l'incontro con le altri
religioni, a partire dall'islam. Passando, in prima istanza, per la
testimonianza, «autentica cifra del dialogo interetnico, interculturale
ed interreligioso». «Essa realizza quel "possesso nel
distacco" che, nel suo vertice, si chiama martirio - attualizza il
patriarca -. Solo il martirio è in grado, tra l'altro, di smascherare
l'insidiosa caricatura di martire proposta dagli uomini bomba. La loro
è una falsa e nichilistica testimonianza».
Qui entriamo nell'attualità. Con Scola che rilancia il pensiero del
Papa e della Santa Sede sulla Terra Santa. E con Calimani che si
sintonizza: «Sentiamo il dovere quotidiano di riattualizzare la
ribellione contro il male fatto a noi come ribellione contro il male che
si compie ai danni di ogni altra minoranza, ai danni dell'altro».
Francesco
Dal Mas
In dono al rabbino
libro di preghiere
L'incontro si è concluso con un dono da parte del cardinale Scola: un
antico libro di preghiere in ebraico, ricevuto da un sacerdote. «Pensi
eminenza - ha confessato Dario Calimani, presidente della comunità -,
che già 25 anni fa eravamo disposti di spendere qualsiasi cifra per
averlo. Lei realizza il nostro sogno». Il rabbino capo, Elia Richetti,
lo sfoglia e scopre che risale al 1597. E gli ebrei, nel ghetto, ci sono
dal 1516. La commozione prende un po' tutti. «Benedetto colui che viene
nel nome del Signore», era stato, del resto, il significativo saluto di
Richetti al patriarca.
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[Fonte: Avvenire del 27 novembre 2003]
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