Gavriel
Levi
|
Nel giorno di chanukkà che capita di shabbath,
i lumi di chanukkà si accendono assieme con
quelli dello shabbath e, la sera dopo assieme con quello
dell’avdalà1. La vigilia di shabbath si accende
prima la chanukkà e dopo i lumi dello
shabbath;
alla fine dello shabbath si accende prima la
torcia dell’avdalà e dopo i lumi della chanukkà.
|
È evidente che questa
regola è collegata con il divieto di accendere il fuoco
durante lo shabbath: non si può accendere nessun
fuoco dopo che è cominciato lo shabbath; non si può
accendere nessun fuoco finché lo shabbath non è
veramente finito. Tuttavia, se ci riflettiamo sopra,
questa regola collega, con un significato più ampio e
più profondo, i tre fuochi e le tre luci che accendiamo
nelle nostre case e che, in modi diversi, rappresentano
la forza creativa dell’uomo e la vita di Israele.
Solo se si è acceso il
lume di chanukkà si può accendere il lume dello
shabbath; solo se si è acceso il lume dell’avdalà si
può accendere il lume di chanukkà.
Se si è lottato per
rimanere ebrei, se ci si è conquistati il miracolo,
allora si può rinunciare ad accendere ogni fuoco e si
può godere del lume che deriva direttamente dai giorni
della creazione e che riassume, già in sé, la luce del
Mashiach.
Se si è acceso il
fuoco che permette di accendere ogni fuoco nella
settimana, che è stato regalato da Dio al primo uomo e
che ci aiuta a distinguere, con i nostri mezzi, la luce
dal buio, allora si può accendere, senza più divieti,
il fuoco del miracolo.
Le luci della chanukkià
devono rimanere divise e distinguibili l’una
dall’altra: ogni giorno è un giorno completo di vita;
ogni generazione è completa in se stessa ed è
necessaria perché la generazione precedente possa
vivere nella successiva.
Le luci dell’avdalà
devono essere unite e indistinguibili l’una
dall’altra: ogni giorno, anche il più banale, è
parte del giorno completo che è tutto shabbath.
La luce dell’avdalà
è la luce di un fuoco che si accende dopo lo shabbath;
la sua benedizione è centrata nella creazione delle
"luci" del fuoco e sulla nostra azione di
guardarsi le mani, nel buio e alla luce.
La luce di chanukkà è
la luce che si accende per rendere manifesto il
miracolo; la sua benedizione riguarda l’obbligo di
ripetere il miracolo e di preparare la luce di un giorno
per farla ardere otto giorni.
Non può esistere la
festa di chanukkà senza dentro una vigilia di shabbath,
senza uno shabbath e senza un’uscita di shabbath.
Il miracolo di chanukkà
(e cioè la luce di un giorno che deve durare fino al
termine dei giorni, ed ancora un giorno di più)
contiene dentro di sé: a) la luce del fuoco che
esiste quando nessun fuoco può essere acceso
dall’uomo; b) la luce di un fuoco che deve
essere ricreato, per dividere il giorno umano
dalla notte umana; il giorno di shabbath dai sei giorni
dell’azione; le mani dell’uomo dalla creazione di
Dio.
Il miracolo di chanukkà
contiene anche due luci: la luce di un fuoco che non
esiste (perché è stato acceso prima); la luce di un
fuoco creato da D-o (ma acceso dagli uomini) perché
l’uomo possa uscire, senza paura, nel mondo degli
uomini.
Tra l’inizio di
chanukkà e l’inizio dello shabbath esiste un momento
di intervallo: noi ebrei abbiamo compiuto il nostro
miracolo, quando il sole non è ancora calato; a D-o
viene lasciato il tempo per compiere il suo miracolo,
finire la creazione e portare il Mashiach.
Tra la fine dello
shabbath e l’inizio di chanukkà esiste un altro
momento di intervallo: la storia di tutti i giorni si è
ripetuta; l’ebreo può accettare il dono del fuoco
direttamente da D-o e, ancora una volta, ripetere il
miracolo.
Se noi riusciamo a
conservare l’olio per un giorno, anche quando ci
sembra che il buio durerà più a lungo e quando ci
sembra che non ci sia nessun posto per accendere una
luce, D-o vedrà questa luce per otto giorni.
Se non conserviamo
l’olio nel buio (ma questo è impossibile perché in
fondo lo conserviamo anche senza saperlo) allora D-o
dovrà fare il miracolo da solo e dovrà riprendere il
fuoco di chanukkà da quello donatoci per l’avdalà.
Un cieco adempie al
precetto di chanukkià partecipando, se ne ha la
possibilità, con una perutà, all’accensione di un
altro ebreo e, se non può perché è solo, accendendo
la chanukkià, con qualunque aiuto, da solo.
Per quale luce accende
la chanukkià, un cieco?
___________
Fonte: morasha.it
La giornata dello Shabbat si apre e si chiude con un'
accensione di lumi. All’imbrunire del venerdì si
accendono due candele (in teoria ne basterebbe una)
recitando la benedizione che termina con "e ci
hai comandato di accendere il lume dello Shabbat".
Al termine dello Shabbat, nella cerimonia dell’Avdalà,
la separazione tra il giorno di festa e quello
feriale si accende una torcia formata da più luci che
intrecciandosi formano un'unica fiamma. Su questo lume
si benedice il Signore "creatore dei luminari di
fuoco". Nel Talmud Jeruscialmì (citato anche
dal compendio "Torà Temimà" ai primi
versi della Genesi) si ricerca la fonte del fatto che
nella Avdalà si dice la benedizione sul lume solo dopo
che il lume è acceso. Questo lascia supporre che
nell’altro caso, l’accensione dei lumi dello Shabbat,
prima si dica la benedizione e poi si accenda. In
effetti ciò avviene quasi esclusivamente secondo il
rito di Roma (quasi tutti gli altri oggi prima accendono
e poi dicono la benedizione).
|