La festa di Chanukkà ricorda la fine
del conflitto che, nella terra d'Israele di circa 22 secoli fa, vide
gli ebrei opposti ai greci, o meglio agli ellenisti e al loro re
Antioco Epifane di Siria. Gli ebrei, se pur male armati e in minor
numero, ebbero la meglio. Guidati dai fratelli Maccabei, essi
ripresero possesso di Gerusalemme e inaugurarono nuovamente il
Santuario che i greci avevano profanato con i loro idoli e le loro
statue. Chanukkà, letteralmente, significa, appunto,
"inaugurazione".
Chanukkà è la storia quindi
dell'antica vittoriosa difesa degli ebrei dall'ellenizzazione
forzata, è la storia di una lotta per poter tornare alle proprie
leggi e alle proprie usanze. Non è tanto quindi una lotta a sfondo
nazionale, quanto religioso; non è l'indipendenza politica che gli
ebrei cercavano, quanto piuttosto la libertà di osservare le
proprie tradizioni, la libertà di essere ebrei.
La tradizione talmudica racconta che
quando gli ebrei entrarono nel Santuario di Gerusalemme per
purificarlo e per riaccendere il candelabro a 7 braccia, trovarono
solo una piccola ampolla di olio puro, sufficiente per l'accensione
dei lumi per un solo giorno. Per miracolo, dice il Talmud,
quell'olio durò invece per 8 giorni, giusto il tempo necessario per
produrre nuovo olio puro. In ricordo di quel miracolo, i Saggi del
Talmud istituirono una festa di lode e di ringraziamento al Signore
che dura appunto 8 giorni: la prima sera si accende un lume, la
seconda due lumi e così via. L'ottava sera si accendono 8 lumi.
L'uso è di accendere i lumi al primo calare della sera, quando c'è
ancora gente per strada, fuori della porta o vicino alla finestra
che si affaccia sulla strada: lo scopo è di rendere pubblico il
miracolo che avvenne a quel tempo, di manifestare a tutti che gli
ebrei riacquistarono miracolosamente la loro libertà e indipendenza
culturale.
Questa esigenza di comunicare a
quanta più gente possibile la storia del miracolo è il motivo per
cui, da qualche anno, si usa accendere un candelabro pubblicamente,
nelle piazze principali delle città, in Italia e nel mondo. A Roma,
per esempio, si accendono i lumi alla presenza delle autorità
cittadine a Piazza Barberini. Ma l'accensione pubblica, in piazza,
è un fenomeno recente: è vero che il Talmud specifica che i lumi
vanno accesi sulla soglia della porta, quindi pubblicamente, ma
aggiunge anche che in tempo di pericolo, quando è meglio non essere
riconosciuti come ebrei, o quando le persecuzioni impediscono di
osservare le tradizioni ebraiche, in quel caso i lumi vanno accesi
dentro casa.
Rabbì Yehudà Loew (il famoso
Maharal di Praga del XVI secolo, colui che la tradizione popolare
vuole abbia creato il Golem) si chiede come mai sia lecito
accendere i lumi dentro casa, quando c'è pericolo: se lo scopo
dell'accensione dei lumi è di pubblicizzare il miracolo, dice il
Maharal, non ha senso farlo dentro casa, di nascosto. Tanto varrebbe
annullare, almeno temporaneamente, la norma. Si risponde che
l'accensione dei lumi ha sì lo scopo di manifestare a tutti la
riconquistata libertà di quei tempi antichi, ma ha anche il fine di
riaccendere la speranza che alberga nel cuore di ogni ebreo. E
quindi, anche e tanto più nel momento del pericolo, quando si è
costretti a stare chiusi in casa e a farsi vedere il meno possibile,
è bene accendere i lumi e ridare la fiducia alle singole persone: i
tempi duri cesseranno, prima o poi, e il lungo esilio avrà fine.
Nell'oscurità delle persecuzioni, le fiammelle di Chanukkà hanno
sempre rappresentato una fonte di speranza e di ottimismo. Non è
senza significato che anche nei campi di concentramento nazisti gli
ebrei, in alcuni casi, riuscirono ad accendevano delle chanukkiot
di fortuna.
Abbiamo detto prima che l'olio
trovato nel Santuario bastava per accendere i lumi un giorno solo, e
miracolosamente durò invece 8 giorni: la festa durerebbe 8 giorni
per questo motivo. Tuttavia, il miracolo vero e proprio durò 7
giorni, perché per il primo giorno l'olio era sufficiente. Quindi
la festa dovrebbe durare 7 giorni, non 8. Come mai, quindi, i
maestri del Talmud fissarono la durata della festa in 8 giorni?
Questa è la domanda che si pose Rabbì Yosef Caro, che all'età di
3 anni circa fu cacciato dalla Spagna insieme alla sua famiglia nel
1492, giungendo dopo varie peregrinazioni a Zefat, nella terra
d'Israele, dove scrisse lo Shulchan Arukh, l'ultima grande opera di
normativa ebraica. Alla domanda di Rabbì Yosef Caro sono state date
decine di risposte, alcune da lui stesso, altre dai maestri delle
generazioni successive.
Rav Caro risponde che ogni sera i
sacerdoti versavano nel candelabro un ottavo della quantità di olio
richiesta, e questa quantità ridotta durava invece un giorno
intero: quindi già dal primo giorno avvenne il miracolo. Oppure che
dopo aver versato, la prima sera, tutto l'olio dall'ampolla,
trovarono questa ancora piena. O anche che al mattino, nonostante la
fiamma avesse bruciato tutta la notte, le tazze del candelabro erano
ancora piene d'olio. Anche in questi casi, dunque, il miracolo
avvenne già dal primo giorno, ed è quindi giusto osservare una
festa di 8 giorni totali.
Una risposta totalmente differente è
stata data nella nostra generazione da Rav Yosef Soloveitchik, che
è stato il Rav, il Maestro per eccellenza
dell'ebraismo americano (e non solo di quello), nella seconda metà
di questo secolo. Rav Soloveitchik dice che il vero miracolo che
avvenne in quel primo giorno fu che gli ebrei che entrarono nel
Santuario ebbero fiducia che, nonostante tutto, nonostante l'immane
profanazione del Tempio, avrebbero ancora potuto trovare un po'
d'olio, e che quell'olio sarebbe stato sufficiente. Questo è il
vero miracolo ed è il miracolo della sopravvivenza ebraica:
l'andare contro tutte le probabilità di riuscita per osservare la
Legge e la tradizione, il rimanere legati alla propria cultura e al
proprio popolo, e l'essere sicuri di avere successo.
David Gianfranco Di
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