Quest'anno la Giornata verrà celebrata domenica 20 settembre, collocata tra
le feste ebraiche del
Rosh ha-shanà, il capodanno ebraico che segna l'inizio
di un tempo di penitenza e di riconciliazione con Dio (19-20 settembre), e
del
Kippur, il giorno dell'espiazione che chiude il capodanno ebraico e che
è dedicato al digiuno, alla preghiera e alla riparazione delle colpe (28
settembre). I due giorni del
Rosh ha-shanà vengono generalmente considerati
dagli ebrei come un solo giorno, chiamato anche del Ricordo, del Giudizio e
del Suono.
"Quando, al concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica ha aperto la strada a
una riscoperta del popolo ebraico nella sua vocazione unica - spiega padre
Jean Dujardin, già segretario del Comitato episcopale per le relazioni con
l'ebraismo e oggi membro della direzione dell'
Amitié judéo-chrétienne de
France (Ajcf) - essa non l'ha fatto per ragioni di circostanza, anche se gli
avvenimenti della guerra hanno giocato un ruolo essenziale in questa presa
di coscienza. L'ha fatto perché la Chiesa ha compreso, meditando sulla
propria vocazione, che il Signore non aveva respinto il suo popolo, gli
israeliti, che per san Paolo - Lettera ai Romani (9, 4-5) - "hanno
l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le
promesse". A loro "appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo
secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa (...)"".
Dujardin sottolinea
che "Gesù è ebreo, lo è dalla nascita e lo resterà fino alla morte", ed è
"al centro del disegno di salvezza di Dio per il mondo, della Chiesa corpo
di Cristo, Messia d'Israele, che noi dobbiamo collocare il popolo ebraico".
(1)
In questo senso - conclude - la giornata di attenzione, di sensibilizzazione
all'ebraismo non è che un "risveglio". Tra l'altro il Salmo 54 (53) letto
per la liturgia di domenica 20 settembre (xxv del tempo ordinario), così
come il passo del Vangelo (Marco 9, 30-37), evocano, da una parte, il Nome
che dà la salvezza al credente e, dall'altra, l'accoglienza fatta nel nome
di Gesù. Questa giornata - si legge nel comunicato diffuso dall'Ajcf - "si
propone di aiutare i cristiani a percepire l'importanza della rivelazione
dell'Antico Testamento come Parola vivente e ad essere più attenti alla
presenza" e all'accoglienza dei vicini ebrei.
L'Amitié judéo-chrétienne de France, fondata nel 1948 da Jules Isaac ed
Edmond Fleg, ha come compito essenziale di "fare in modo che, tra ebraismo e
cristianesimo, la conoscenza, la comprensione, il rispetto e l'amicizia si
sostituiscano a malintesi secolari e a tradizioni di ostilità". Essa opera
"non solo per sradicare l'ancestrale antiebraismo ma anche affinché ebrei e
cristiani aiutino la società moderna a orientarsi, attraverso una presenza
civile e spirituale".
In Francia è attiva anche "Yahad-In Unum", associazione che si occupa dei
rapporti fra ebrei e cristiani presieduta da padre Patrick Desbois,
direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l'ebraismo e
consultore della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo
(organismo interno al Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei
Cristiani).
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2009)