Elia Benamozegh Prefazione «L'importanza dell'opera di Elia Benamozegh è pari
all'occultamento di cui è stata vittima a partire dal XIX secolo» (1).
Solo negli ultimi anni in Italia, negli Stati Uniti, in Israele, in
Francia si è assistito a un risveglio d'interesse per la sua opera, ma
molto lavoro di edizione e di traduzione di testi {scritti in ebraico, in
francese, in italiano) resta ancora da fare. Tale lavoro sui testi è la
premessa di un lavoro interpretativo, che ha comunque già iniziato a dare
i suoi frutti (2). Rav Elia Benamozegh è una tra le maggiori figure
dell'ebraismo italiano dell'Ottocento, è un grande maestro dell'ebraismo
sefardita, è un pioniere del dialogo ebraico-cristiano, Nacque a Livorno il 24 aprile 1823 da una famiglia
originaria di Fez, in Marocco. Perso ben presto il padre, Avraham, venne
educato dalla madre Clara e dallo zio materno Yehudah Coriat, rabbino e
cabbalista. Nella sua autobiografia, egli ricorda come nelle lunghe notti
invernali, alla fioca luce di una candela, leggessero insieme lo Zohar. A sedici anni Elia vide stampate le sue prime
pagine: la prefazione al Maor wa-shemesh l'opera cabbalistica dello
zio. Qualche anno dopo venne ordinato rabbino, e iniziò a predicare e a
insegnare nella sua città. A Livorno rimase fedele per il resto dei suoi
giorni, conducendovi una vita interamente dedicata agli studi, in
compagnia della moglie, dei figli e degli allievi dell'allora prestigioso
Collegio rabbinico. Da liberale, partecipò alle vicende del
Risorgimento, al punto che nel 1850 il delegato del Granduca di Toscana
intendeva processarlo per "soverchia italianità". Egli salutò
con entusiasmo l'emancipazione degli ebrei e considerò con ottimismo i
nuovi orizzonti che essa apriva. Scrisse in tre lingue: in ebraico, in
italiano e in francese. Del 1855 è l'Emat mafgyia una confutazione
di Ari Nohem, un'opera anticabbalistica di Leone Modena, del 1862 Em
laMiqrah, un commento alla Torah, del 1865 la Storia degli
esseni, del 1867 Morale juive et morale chrétienne. Quella che
è considerata la sua opera maggiore, Israel et l’humanité, rimase
incompiuta e inedita. Verrà pubblicata a Parigi ne11914, a cura di Aimé
Pallière: Elia Benamozegh aveva lasciato questo mondo il 6 febbraio 1900. Nel 1860 l'«Alliance Israelite Universelle» bandì
un concorso in cui chiedeva di esaminare quali fossero, dal punto di vista
della dogmatica e della morale, gli elementi che l'ebraismo ha trasmesso
alle religioni che l'hanno seguito. Dopo molte incertezze, Benamozegh decise di
concorrere e nel 1863 spedì a Parigi un manoscritto intitolato Essai
sur !'origine des dogmes et de la morale du christianisme. La
Commissione giudicatrice dell'«Alliance» decise di premiare la «Parte
terza», che venne pubblicata con il titolo Morale juive et morale
chrétienne, le prime due parti vedono qui per la prima volta la luce
in traduzione italiana (3). L'opera che egli intendeva scrivere doveva
comprendere quattro parti: la prima sul dogma {nella quale avrebbe
trattato la Trinità, l'Incarnazione, l'abolizione della Torah); la
seconda sul culto {nella quale avrebbe trattato tutto ciò che, avendo
un'origine evangelica, poteva essere ricondotto alle radici ebraiche); la
terza sulla storia {nella quale avrebbe trovato posto una Vita di Gesù);
e la quarta sulla morale. L’ intero piano dell'opera non poté però essere
realizzato alla data fissata dall'«Alliance», e Benamozegh decise di
inviare solo le parti che erano pronte, sull'origine del cristianesimo,
sulla Trinità e sulla morale. Nello scrivere quelle pagine, egli era compenetrato
dalla convinzione di stare per afferrare il filo che unisce il
cristianesimo all'ebraismo, e che questo avrebbe reso forse un giorno
possibile preparare una revisione del cristianesimo non in base a criteri
esterni, ma sulla base di una tradizione della quale il cristianesimo
stesso costituisce un’emanazione. «Vedevo aprirsi davanti ai miei occhi orizzonti
sempre più vasti», scrive Benamozegh nella prefazione alla parte
dell'opera che poteva allora pubblicare (e che si è ritenuto opportuno
ripresentare qui di seguito, nella traduzione di E. Piattelli) ricordando
i giorni e le notti di indefesso lavoro. La principale accusa che Benamozegh rivolge al
cristianesimo riguarda quella abolizione della Tòrah che venne ben
presto proclamata. Considerata da Paolo fonte della morte, del peccato,
della schiavitù, venne contrapposta alla fede, creando una dualità
estranea all'ebraismo. Ma la consapevolezza di quale pericolo mortale abbia
costituto la cristianità per l'ebraismo (attraverso l'insegnamento del
disprezzo, culminante nel mito del popolo deicida, la teologia della
sostituzione e la concomitante prassi discriminatoria e persecutoria) non
lo porta a disconoscere il valore del cristianesimo e della sua morale:
In che modo il rigoroso monoteismo ebraico può aver dato origine al cristianesimo della Trinità e dell'Incarnazione? Il problema resta senza soluzione finché si rimane sul terreno dell'ebraismo essoterico, Se invece si entra nell'ebraismo esoterico, si rivelerà una straordinaria affinità di linguaggio, di simbolismo spirituale. Nell'intraprendere un'analisi cabbalistica della dogmatica cristiana, Benamozegh era consapevole di affrontare un discorso pericoloso, ma, come avrebbe scritto, accanto al pericolo vi è la speranza:
Benamozegh riteneva possibile una riforma della cristianità attraverso un vero e proprio percorso di teshuvah, compiuto il quale il cristianesimo «si spoglierà di tutto ciò che ha di contrario alI'ebraismo, deporrà le vesti prese in prestito, i brandelli di paganesimo, che lo hanno reso irriconoscibile ai suoi genitori, che lo fecero espellere dalla casa paterna, che produssero e perpetuarono il divorzio, l'inimicizia, la lotta fratricida tra ebraismo e cristianesimo, di cui il mondo piange ancora» (infra, 187). Di fronte alla millenaria accusa rivolta all'ebraismo di essere una religione particolaristica, Benamozegh si chiede: come sarebbe mai possibile che da una religione così particolaristica siano nate due religioni universali (o meglio: aspiranti all'universalità) come il cristianesimo e I'islamismo? Israel et l'humanité sviluppa la dottrina secondo la quale l'ebraismo ha in sé una struttura duplice: la legge d'Israele, con le sue 613 mitzvot, e la legge noachide, con i suoi 7 precetti (6). Che rapporto esiste tra la riproposizione della dottrina noachide e l'idea di una riforma, di un tiqqun, della cristianità condotta sul modello originario da cui deriva? Forse l' Essai sur l’origine des dogmes et de la morale du christianisme contiene un programma giudicato in seguito troppo azzardato e temerario? Oppure riforma della dogmatica e noachismo sono complementari riguardando l'una la teoria, l'altro la prassi? Siamo di fronte a una questione la cui importanza non potrebbe essere sopravvalutata, considerando anche i problemi che la proposta noachide ha posto ad Aimé Palliare (7) e le attuali prospettive del movimento noachide, soprattutto se messe a confronto con le prospettive alternative del dialogo ebraico-cristiano. Degli stessi anni de L'origine des dogmes chretiens è anche la Storia degli esseni, opera con la quale Benamozegh intende scrivere una sorta di storia unitaria della spiritualità ebraica. Sotto nomi diversi infatti (recabiti, hassidim, esseni, terapeuti, cabalisti) vi è una medesima realtà, quella di persone che cercano con tutte le loro forze di vivere secondo la Torah, che non è solo scritta, ma in primo luogo orale, e che dal Sinai è giunta fino a noi attraverso una catena ininterrotta. Questa continuità rende possibile la speranza che essa non sia definitivamente scomparsa, ma si sia solo temporaneamente occultata, e prepari il suo riaffiorare:
Per coloro che cercano di articolare il rapporto tra ebraismo e cristianesimo in modo diverso rispetto a quello della sostituzione (e dell'imitazione, che ne è una conseguenza), il riconoscimento che la Torah non è stata abolita e che vi è un modo ebraico di concepire la Trinità e l'Incarnazione apre scenari nuovi. In questi nuovi scenari, la tensione esistente nella «e» che unisce e separa ebraismo e cristianesimo acquista un nuovo significato, che consente di liberarsi dalla duplice prospettiva di una storia che non ha salvezza e di una salvezza che non ha storia. L'origine dei dogmi cristiani, soprattutto nella sua ultima parte, è anche una straordinaria introduzione allo Zohar, e Benamozegh cita il detto cabbalistico secondo il quale lo Zohar aprirà la strada al Messia. Possiamo anche ricordare che il Maharal di Praga interpreta il passo talmudico in cui si parla del Messia che siede alle porte di Roma nel senso che il Messia sorgerà quando Edom farà teshuvah (9). Se la testimonianza messianica delle nazioni non annuncerà più l'esilio e l'asservimento d'Israele, ma la sua liberazione, allora «la terra sarà piena della conoscenza di D., come le acque ricoprono il mare» (Is 11, 9). Marco Morselli 1. SH TRIGANO, Les politiques du salut, prefazione alla nuova edizione di Morale juive et morale chrétienne, In press, Paris 2000, 7 2. Vanno ricordati il convegno di Gerusalemme del 1997 (i cui Atti sono pubblicati da «La Rassegna Mensile di Israel" 1997/3), il convegno di Livorno del 2000 (i cui Atti sono in corso di pubblicazione presso l'editore Thalassa De Pas di Milano) e il primo libro dedicato a Benamozegh dopo quello di G. Lattes nel 1901: A. Guetta. Philosophie et Cabbale. Essai sur la pensée d'Elie Benamozegh, L'Harmattan, Paris-Montréal 1998 (tr. It. Thalassa De Pas, Milano 2000). 3. L’edizione francese, a cura di B. Grandsagne e M. Morselli, sta per essere pubblicata dalle edizioni In press di Parigi 4. E. BENAMOZEGH, Morale ebraica e morale cristiana, pref. di A. Guetta, tr. it. Di E. Piattelli, Marietti, Genova 1997, 69 5. E. BENAMOZEGH, Théosophie, Presso l'Autore, Livorno 1897, 7. 6. I precetti noachidi prevedono l'istituzione di tribunali e la proibizione del sacrilegio, del politeismo, dell'incesto, dell'omicidio, del furto, dell'uso delle membra di un animale vivo (ossia della crudeltà verso gli animali). 7. Sul quale si può ora vedere: R. FONTANA, Aimé Pallière. Un cristiano a servizio di Israele, Ancora, Milano 2001. 8. E. BENAMOZEGH, Storia degli esseni. Le Monnier, Firenze 1865, 517. 9. Il Maharal di Praga, Neshah Israel, cap. 28 su Sanhedrin, 98a | home | | inizio pagina | |