Elia Benamozegh
a cura di Marco Morselli

Marietti, 2002


Prefazione

«L'importanza dell'opera di Elia Benamozegh è pari all'occultamento di cui è stata vittima a partire dal XIX secolo» (1). Solo negli ultimi anni in Italia, negli Stati Uniti, in Israele, in Francia si è assistito a un risveglio d'interesse per la sua opera, ma molto lavoro di edizione e di traduzione di testi {scritti in ebraico, in francese, in italiano) resta ancora da fare. Tale lavoro sui testi è la premessa di un lavoro interpretativo, che ha comunque già iniziato a dare i suoi frutti (2).

Rav Elia Benamozegh è una tra le maggiori figure dell'ebraismo italiano dell'Ottocento, è un grande maestro dell'ebraismo sefardita, è un pioniere del dialogo ebraico-cristiano,

Nacque a Livorno il 24 aprile 1823 da una famiglia originaria di Fez, in Marocco. Perso ben presto il padre, Avraham, venne educato dalla madre Clara e dallo zio materno Yehudah Coriat, rabbino e cabbalista. Nella sua autobiografia, egli ricorda come nelle lunghe notti invernali, alla fioca luce di una candela, leggessero insieme lo Zohar.

A sedici anni Elia vide stampate le sue prime pagine: la prefazione al Maor wa-shemesh l'opera cabbalistica dello zio. Qualche anno dopo venne ordinato rabbino, e iniziò a predicare e a insegnare nella sua città.

A Livorno rimase fedele per il resto dei suoi giorni, conducendovi una vita interamente dedicata agli studi, in compagnia della moglie, dei figli e degli allievi dell'allora prestigioso Collegio rabbinico.

Da liberale, partecipò alle vicende del Risorgimento, al punto che nel 1850 il delegato del Granduca di Toscana intendeva processarlo per "soverchia italianità". Egli salutò con entusiasmo l'emancipazione degli ebrei e considerò con ottimismo i nuovi orizzonti che essa apriva. Scrisse in tre lingue: in ebraico, in italiano e in francese. Del 1855 è l'Emat mafgyia una confutazione di Ari Nohem, un'opera anticabbalistica di Leone Modena, del 1862 Em laMiqrah, un commento alla Torah, del 1865 la Storia degli esseni, del 1867 Morale juive et morale chrétienne. Quella che è considerata la sua opera maggiore, Israel et l’humanité, rimase incompiuta e inedita. Verrà pubblicata a Parigi ne11914, a cura di Aimé Pallière: Elia Benamozegh aveva lasciato questo mondo il 6 febbraio 1900.

Nel 1860 l'«Alliance Israelite Universelle» bandì un concorso in cui chiedeva di esaminare quali fossero, dal punto di vista della dogmatica e della morale, gli elementi che l'ebraismo ha trasmesso alle religioni che l'hanno seguito.

Dopo molte incertezze, Benamozegh decise di concorrere e nel 1863 spedì a Parigi un manoscritto intitolato Essai sur !'origine des dogmes et de la morale du christianisme. La Commissione giudicatrice dell'«Alliance» decise di premiare la «Parte terza», che venne pubblicata con il titolo Morale juive et morale chrétienne, le prime due parti vedono qui per la prima volta la luce in traduzione italiana (3).

L'opera che egli intendeva scrivere doveva comprendere quattro parti: la prima sul dogma {nella quale avrebbe trattato la Trinità, l'Incarnazione, l'abolizione della Torah); la seconda sul culto {nella quale avrebbe trattato tutto ciò che, avendo un'origine evangelica, poteva essere ricondotto alle radici ebraiche); la terza sulla storia {nella quale avrebbe trovato posto una Vita di Gesù); e la quarta sulla morale.

L’ intero piano dell'opera non poté però essere realizzato alla data fissata dall'«Alliance», e Benamozegh decise di inviare solo le parti che erano pronte, sull'origine del cristianesimo, sulla Trinità e sulla morale.

Nello scrivere quelle pagine, egli era compenetrato dalla convinzione di stare per afferrare il filo che unisce il cristianesimo all'ebraismo, e che questo avrebbe reso forse un giorno possibile preparare una revisione del cristianesimo non in base a criteri esterni, ma sulla base di una tradizione della quale il cristianesimo stesso costituisce un’emanazione.

«Vedevo aprirsi davanti ai miei occhi orizzonti sempre più vasti», scrive Benamozegh nella prefazione alla parte dell'opera che poteva allora pubblicare (e che si è ritenuto opportuno ripresentare qui di seguito, nella traduzione di E. Piattelli) ricordando i giorni e le notti di indefesso lavoro.

La principale accusa che Benamozegh rivolge al cristianesimo riguarda quella abolizione della Tòrah che venne ben presto proclamata. Considerata da Paolo fonte della morte, del peccato, della schiavitù, venne contrapposta alla fede, creando una dualità estranea all'ebraismo.

Ma la consapevolezza di quale pericolo mortale abbia costituto la cristianità per l'ebraismo (attraverso l'insegnamento del disprezzo, culminante nel mito del popolo deicida, la teologia della sostituzione e la concomitante prassi discriminatoria e persecutoria) non lo porta a disconoscere il valore del cristianesimo e della sua morale:

Mille generazioni si sono riparate sotto il suo tetto ospitale, mille sofferenze, mille dolori vi hanno trovato un sollievo quasi divino: mille virtù si sono sparse per il mondo, comunicando dappertutto il coraggio di fare il bene e il terrore di fare il male; mille geni hanno chinato la fronte davanti ad essa: inchiniamoci anche noi davanti a questo capolavoro di un pugno di ebrei, davanti a questo ramo del grande albero d'Israele innestato sul tronco dei gentili. Vi riconosciamo l'impronta dell'ebraismo, lo spirito dei patriarchi, dei profeti, dei rabbini (4).

In che modo il rigoroso monoteismo ebraico può aver dato origine al cristianesimo della Trinità e dell'Incarnazione? Il problema resta senza soluzione finché si rimane sul terreno dell'ebraismo essoterico, Se invece si entra nell'ebraismo esoterico, si rivelerà una straordinaria affinità di linguaggio, di simbolismo spirituale.

Nell'intraprendere un'analisi cabbalistica della dogmatica cristiana, Benamozegh era consapevole di affrontare un discorso pericoloso, ma, come avrebbe scritto, accanto al pericolo vi è la speranza:

Allo stesso modo in cui gli ebrei fondatori del cristianesimo sono passati di là, a nostro avviso, nel fondarlo, niente di più naturale che altri ebrei vi passino a loro volta, e quest'ultimo passaggio prova il primo; ma è come un ponte gettato sull'abisso, sul quale si può passare, ma anche ritornare (5).

Benamozegh riteneva possibile una riforma della cristianità attraverso un vero e proprio percorso di teshuvah, compiuto il quale il cristianesimo «si spoglierà di tutto ciò che ha di contrario alI'ebraismo, deporrà le vesti prese in prestito, i brandelli di paganesimo, che lo hanno reso irriconoscibile ai suoi genitori, che lo fecero espellere dalla casa paterna, che produssero e perpetuarono il divorzio, l'inimicizia, la lotta fratricida tra ebraismo e cristianesimo, di cui il mondo piange ancora» (infra, 187).

Di fronte alla millenaria accusa rivolta all'ebraismo di essere una religione particolaristica, Benamozegh si chiede: come sarebbe mai possibile che da una religione così particolaristica siano nate due religioni universali (o meglio: aspiranti all'universalità) come il cristianesimo e I'islamismo?

Israel et l'humanité sviluppa la dottrina secondo la quale l'ebraismo ha in sé una struttura duplice: la legge d'Israele, con le sue 613 mitzvot, e la legge noachide, con i suoi 7 precetti (6).

Che rapporto esiste tra la riproposizione della dottrina noachide e l'idea di una riforma, di un tiqqun, della cristianità condotta sul modello originario da cui deriva? Forse l' Essai sur l’origine des dogmes et de la morale du christianisme contiene un programma giudicato in seguito troppo azzardato e temerario? Oppure riforma della dogmatica e noachismo sono complementari riguardando l'una la teoria, l'altro la prassi?

Siamo di fronte a una questione la cui importanza non potrebbe essere sopravvalutata, considerando anche i problemi che la proposta noachide ha posto ad Aimé Palliare (7) e le attuali prospettive del movimento noachide, soprattutto se messe a confronto con le prospettive alternative del dialogo ebraico-cristiano.

Degli stessi anni de L'origine des dogmes chretiens è anche la Storia degli esseni, opera con la quale Benamozegh intende scrivere una sorta di storia unitaria della spiritualità ebraica. Sotto nomi diversi infatti (recabiti, hassidim, esseni, terapeuti, cabalisti) vi è una medesima realtà, quella di persone che cercano con tutte le loro forze di vivere secondo la Torah, che non è solo scritta, ma in primo luogo orale, e che dal Sinai è giunta fino a noi attraverso una catena ininterrotta.

Questa continuità rende possibile la speranza che essa non sia definitivamente scomparsa, ma si sia solo temporaneamente occultata, e prepari il suo riaffiorare:

Meglio che scomparsa, meglio che estinzione, si dovrebbe chiamare questo sottrarsi degli esseni cabbalisti dalla scena del mondo un’eclissi temporanea, un ritiramento nelle più segrete latebre dell'ebraismo, un ascondimento precario a guisa di quei fiumi che ad un tratto avvallando e sprofondandosi nelle viscere della terra si aprono una via sotterranea per miglia non poche, onde erompere di nuovo alla superficie del globo e lo antico corso seguire alla luce del sole (8).

Per coloro che cercano di articolare il rapporto tra ebraismo e cristianesimo in modo diverso rispetto a quello della sostituzione (e dell'imitazione, che ne è una conseguenza), il riconoscimento che la Torah non è stata abolita e che vi è un modo ebraico di concepire la Trinità e l'Incarnazione apre scenari nuovi.

In questi nuovi scenari, la tensione esistente nella «e» che unisce e separa ebraismo e cristianesimo acquista un nuovo significato, che consente di liberarsi dalla duplice prospettiva di una storia che non ha salvezza e di una salvezza che non ha storia.

L'origine dei dogmi cristiani, soprattutto nella sua ultima parte, è anche una straordinaria introduzione allo Zohar, e Benamozegh cita il detto cabbalistico secondo il quale lo Zohar aprirà la strada al Messia.

Possiamo anche ricordare che il Maharal di Praga interpreta il passo talmudico in cui si parla del Messia che siede alle porte di Roma nel senso che il Messia sorgerà quando Edom farà teshuvah (9).

Se la testimonianza messianica delle nazioni non annuncerà più l'esilio e l'asservimento d'Israele, ma la sua liberazione, allora «la terra sarà piena della conoscenza di D., come le acque ricoprono il mare» (Is 11, 9).

Marco Morselli


1. SH TRIGANO, Les politiques du salut, prefazione alla nuova edizione di Morale juive et morale chrétienne, In press, Paris 2000, 7

2. Vanno ricordati il convegno di Gerusalemme del 1997 (i cui Atti sono pubblicati da «La Rassegna Mensile di Israel" 1997/3), il convegno di Livorno del 2000 (i cui Atti sono in corso di pubblicazione presso l'editore Thalassa De Pas di Milano) e il primo libro dedicato a Benamozegh dopo quello di G. Lattes nel 1901: A. Guetta. Philosophie et Cabbale. Essai sur la pensée d'Elie Benamozegh, L'Harmattan, Paris-Montréal 1998 (tr. It. Thalassa De Pas, Milano 2000).

3. L’edizione francese, a cura di B. Grandsagne e M. Morselli, sta per essere pubblicata dalle edizioni In press di Parigi

4. E. BENAMOZEGH, Morale ebraica e morale cristiana, pref. di A. Guetta, tr. it. Di E. Piattelli, Marietti, Genova 1997, 69

5. E. BENAMOZEGH, Théosophie, Presso l'Autore, Livorno 1897, 7.

6. I precetti noachidi prevedono l'istituzione di tribunali e la proibizione del sacrilegio, del politeismo, dell'incesto, dell'omicidio, del furto, dell'uso delle membra di un animale vivo (ossia della crudeltà verso gli animali).

7. Sul quale si può ora vedere: R. FONTANA, Aimé Pallière. Un cristiano a servizio di Israele, Ancora, Milano 2001.

8. E. BENAMOZEGH, Storia degli esseni. Le Monnier, Firenze 1865, 517.

9. Il Maharal di Praga, Neshah Israel, cap. 28 su Sanhedrin, 98a

| home | | inizio pagina |