A trent'anni dalla morte Jacques Maritain
(1882-1973) resta un autore con il quale è necessario confrontarsi su molti
temi. Come sull'antisemitismo. Un argomento di bruciante attualità e di cui ha
parlato Yves Chevalier al convegno romano del Centro culturale di San Luigi dei
Francesi.
Antisemitismo: tema d'attualità oggi, ma ovviamente anche nel mezzo secolo
(1921-1970) lungo il quale si collocano gli interventi di Maritain. E per il
cristianesimo tema attuale sempre, proprio perché problema spirituale. «Quanto
tempo dormiranno ancora» i cristiani, scrive nel 1947 alla conferenza di
Seelisberg dove s'affronta l'antisemitismo: «Quanto tempo ancora molti di loro
rifiuteranno nei fatti l'insegnamento di san Paolo (…) "Spiritualmente,
noi siamo Semiti", ha detto Papa Pio XI. Prima d'essere un problema di
sangue, di vita o di morte fisica per gli Ebrei, l'antisemitismo è un problema
spirituale, di vita e di morte spirituale per i Cristiani».
La riflessione di Maritain affonda nell'adolescenza, quando nel 1898 con
Psichari manifesta contro l'ondata antisemita scatenata dall'affare Dreyfus e
s'intreccia con le "grandi amicizie": da Péguy a Léon Bloy,
soprattutto, da Bergson e Berdiaev a Jean de Menasce, ebreo egiziano
convertitosi e divenuto domenicano. Fino alla compagna della sua vita, l'ebrea
russa Raïssa Oumançoff, socialista e atea, che nel 1909 scriverà così della
sua conversione al cattolicesimo: «dove avevo paura di trovare lotta e
opposizione non vidi, con gioia grande, che unità, continuità, armonia
perfetta».
Pur ancora vicino alle posizioni ultranazionaliste dell'Action Française, nel
1921 sostiene che sulla questione ebraica bisogna «illuminare l'opinione
pubblica e insegnarle a ragionare di queste cose senza odio», affermando come
sia «incomprensibile che alcuni scrittori cattolici parlino nello stesso tono
di Voltaire della razza ebrea e dell'Antico Testamento, di Abramo e di Mosè».
Negli anni Trenta l'Europa s'avvia verso gli anni più bui del Novecento e
Maritain lo avverte con dolorosa acutezza in uno scritto del 1937 (L'impossible
antisémitisme) - pagine poi incluse in Le Mystère d'Israël, del 1965 - e in
altri interventi negli anni della Shoah. I motivi dell'antisemitismo risiedono
in definitiva nella vocazione d'Israele, straniero rispetto al mondo. Come Bloy,
anche Maritain è convinto che gli ebrei costituiscano una diga per il fiume
della storia, costringendo le sue acque a innalzarsi di livello: Israele «non
lascia il mondo in pace, gli impedisce di dormire, gli insegna a essere
scontento e inquieto finché non ha Dio».
Nel 1944 rifiuta le nozioni di "colpa collettiva" e di
"deicidio" applicate a Israele e dopo la guerra, ambasciatore presso
la Santa Sede, in una lettera del 1946, dopo il terribile pogrom di Kielce
compiuto in Polonia, chiede invano una pronuncia del Papa sull'antisemitismo. Più
efficace sarà invece nel 1948 l'intervento di Maritain per modificare la
preghiera del Venerdì santo pro perfidis Judaeis ("per gli increduli
ebrei"). Anche se la vera svolta verrà con il Concilio, dopo il quale nel
1967 il filosofo scriverà "a un ebreo cristiano": sono «dei vostri,
(…) ebreo per amore».
Gian Maria Vian
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[Fonte: Avvenire del 6 dicembre 2003]