Antigiudaismo
religioso e antigiudaismo politico-sociale
«La
Civiltà Cattolica» e l’antisemitismo
Pio
XI e l’antisemitismo
Premessa
La
distinzione tra «antigiudaismo» e «antisemitismo» è
comunemente ammessa dalla maggioranza degli storici, cattolici
e non cattolici: Sergio Romano, ad esempio, parla di «giudeofobia»
per indicare il particolare atteggiamento tenuto dalla Chiesa
durante i secoli nei confronti degli ebrei(1).
I due concetti inoltre sono stati posti alla base del
documento sull’Olocausto pubblicato nel 1998 dalla
Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con
l’ebraismo, allora presieduta dal card. E. Cassidy,
intitolato Noi ricordiamo: una riflessione sulla
Shoah. Tale
documento distingueva nettamente l’antisemitismo razziale
— che la Chiesa ha sempre condannato, ritenendolo contrario
alla dottrina cattolica sull’originaria uguaglianza del
genere umano — dall’antigiudaismo, che nel corso della
storia si è andato di volta in volta strutturando sulla base
di elementi diversi e che nel secolo appena concluso ha
assunto «connotazioni più sociologiche e politiche che
religiose».
Dietro
la definizione di antigiudaismo non c’è da parte della
Chiesa, come invece sostengono alcuni(2),
alcuna volontà di forzare ideologicamente i fatti né tanto
meno di sminuire le proprie responsabilità storiche dietro
l’alchimia di definizioni giustificazioniste, ma soltanto la
volontà di esaminare i fatti storici valutandoli per quello
che sono (e su questo è possibile avere punti di vista
differenti) e senza intenti apologetici. All’opposto invece
si nota, dietro la pretesa di chi intende imporre determinate
definizioni (quella di antisemitismo per intenderci), la
volontà di strumentalizzare ideologicamente i fatti storici.
La tradizione cristiana, e in particolare quella cattolica, si
è del resto sempre «capita» su questo particolare problema
dentro la definizione di antigiudaismo o simili(3).
Antigiudaismo
religioso e antigiudaismo politico-sociale
Per
comprendere l’atteggiamento della Gerarchia ecclesiastica e
della Civiltà Cattolica sul problema ebraico è necessario
premettere alcune considerazioni storico. Da questo punto di
vista va distinto un antigiudaismo religioso o dottrinale da
un antigiudaismo per lo più dettato da considerazioni di
ordine socio-politico. Il primo era dovuto a motivazioni
teologico-dottrinali: esso considerava l’ebreo, uomo senza
patria, come un «dannato da Dio» a motivo del suo
accecamento per non aver riconosciuto il Messia, e la sua
condizione di esule era intesa e spiegata secondo particolari
categorie religiose. In questo rientravano le gravi accuse di
deicidio e di omicidio rituale. Alla divulgazione di tali idee
contribuì in epoca moderna anche La Civiltà Cattolica con
gli articoli del p. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano(4)
e successivamente, sebbene in forma più critica e moderata,
dei pp. Raffaele Ballerini e Francesco Rondina. Tale mentalità
antigiudaica, diffusa in ampi settori dell’opinione pubblica
europea e non soltanto tra i cattolici, condannava l’ebreo a
una condizione di emarginazione sociale. Frutto di tale
atteggiamento furono in epoca passata i ghetti, che avevano lo
scopo di tenere sotto controllo gli ebrei, sottoposti a una
legislazione sociale apertamente discriminatoria (emanata si
diceva più per «cautela preventiva che per provvidenza
punitiva»), ma anche quello di proteggerli contro possibili
pogrom popolari. In ogni caso l’ebreo, pure accolto per
motivi di carità cristiana, era tuttavia considerato parte
estranea della società.
L’antigiudaismo
moderno nasce invece con la Rivoluzione francese e in
particolare con l’emancipazione sociale e politica degli
ebrei, sancita dai Governi liberali. Tale legislazione
liberale, scriveva la nostra rivista, ha reso gli ebrei «baldanzosi
e potenti, facendo loro sotto pretesto di uguaglianza una
condizione sempre più preponderante di prestigio, massime
economico, nella società moderna»(5). Altro
motivo che spinse a lottare contro l’influsso che gli ebrei
andavano acquistando a livello sociale, oltre alla loro
preponderanza in campo economico e finanziario, fu il ruolo
primario che molti di essi ebbero nella massoneria
internazionale fortemente anticattolica e nei moderni
movimenti rivoluzionari e non solo nella Russia di Lenin, ma
anche negli Stati dell’Europa Occidentale. Tale modo di
pensare era alimentato dal fatto che molti capi dei partiti
comunisti europei erano ebrei: la gran parte dei membri del
Consiglio dei commissari del popolo, per esempio, istituito da
Lenin dopo la Rivoluzione russa del 1917 — cioè il Governo
rivoluzionario del Paese — era costituito da ebrei(6).
Così
la figura dell’ebreo, nell’immaginario collettivo
cattolico, e non soltanto in esso, fu assimilata, da una
parte, al capitalista che sfruttava la popolazione cristiana,
dall’altra al rivoluzionario, che lottava per minare le basi
della vita associata. All’ebreo inoltre, in un’epoca di
nazionalismo esasperato, si rimproverava di non nutrire «amor
patrio», sentendosi egli, si diceva, non cittadino dello
Stato che lo accoglieva, ma semplicemente membro virtuale
della «nazione ebraica», che non aveva a quel tempo nessuna
terra da difendere. Molti esponenti della cultura cattolica
accettavano per motivi sia religiosi, cioè di difesa
dell’identità cristiana, sia patriottici e di tutela
dell’ordine costituito queste idee, e La Civiltà Cattolica
ebbe un ruolo non secondario nella loro divulgazione. Tale
stato di cose perdurò, come è noto, fino al Concilio
Vaticano II, sebbene già durante la seconda guerra mondiale
si levassero all’interno del mondo cattolico, soprattutto in
area francese(7), significative voci di
dissenso contro il tradizionale antigiudaismo professato in
ambienti cattolici.
Altro
problema è però l’antisemitismo, in particolare quello
razziale, che si sviluppò nei primi decenni del Novecento,
anche se le sue radici ideologiche sono ottocentesche e in
ogni caso, come è risaputo, non cristiane: esso trovò nelle
dottrine razziste professate dal nazismo prima e dal fascismo
poi (sebbene in forma più attenuata) il suo culmine, nonché
una ferma volontà di traduzione pratica da parte dei due
regimi dittatoriali. Contrariamente a quanto viene affermato
da alcuni studiosi contemporanei, il Magistero della Chiesa (e
con esso La Civiltà Cattolica) non professarono mai
l’antisemitismo razziale. D’altra parte l’antigiudaismo,
sia classico sia moderno, non è stato, come viene spesso
ripetuto, il terreno di coltura da cui poi si è sviluppato
l’antisemitismo razziale, anche nella sua forma più
popolare, sebbene, dal punto di vista socioculturale, esso in
alcuni casi possa aver favorito una forma di risentimento nei
confronti degli ebrei, soprattutto negli Stati in cui essi
erano più potenti e organizzati.
Tra
antisemitismo e antigiudaismo esiste in ogni caso una
differenza sostanziale che non va sottovalutata.
L’antigiudaismo rispondeva a un’esigenza di tutela
dell’antica societas christiana — che di fatto da tempo
non esisteva più in Europa, ma che nella mente di molti
uomini di Chiesa continuava ad essere ancora valida —, per
cui erano considerate legittime legislazioni civili, approvate
da Stati a maggioranza cattolica, che, facendo salvi i doveri
di moderazione e di carità cristiana verso tutti, trattassero
in modo differente cristiani ed ebrei. Questo è il senso di
alcuni articoli scritti dalla Civiltà Cattolica negli anni
Trenta in difesa di una legislazione statale che limitava in
qualche modo i diritti civili degli ebrei, commisurandone il
godimento ad alcune condizioni: ad esempio, fissando il numero
chiuso per l’accesso ad alcune professioni liberali,
ritenute vitali per la società. Questo fu il caso della
legislazione ungherese del 1938, che la nostra rivista
considerò con una certa simpatia a motivo della sua «moderazione»
e dell’assenza di ogni forma di violenza nei confronti degli
ebrei(8). Questo tipo di legislazione,
secondo La Civiltà Cattolica, aveva anche lo scopo di
difendere la stessa comunità ebraica da possibili
insurrezioni popolari, «allontanando da essa i mali e i
pericoli di ogni fatta».
L’antisemitismo
razziale era invece fondato su un elemento materialistico e
biologico: il principio della «razza ariana» quale stirpe
superiore e dominante, e quello del culto del sangue e della
terra(9). Chi conosce la teologia cristiana
sa che mai la Chiesa cattolica approvò teorie di questo tipo:
per essa non esiste nessuna razza eletta o superiore, ma un
solo popolo di Dio sparso su tutta la terra. Per la Chiesa un
ebreo convertito al cattolicesimo è semplicemente un
cristiano: di fatto, durante la deportazione nazista essa fece
di tutto per difendere anche gli ebrei cristiani,
considerandoli suoi fedeli al pari degli altri. Questo punto
della dottrina cristiana fu sempre difeso con tutti i mezzi
dalla Gerarchia cattolica e, nei tempi moderni (a motivo
dell’antisemitismo razzista), soprattutto da Pio XI e Pio
XII(10).
«La
Civiltà Cattolica» e l’antisemitismo
Com’è
noto, La Civiltà Cattolica, su indicazione di Pio XI, si
oppose con forza alla teoria neopagana e anticristiana
dell’antisemitismo razzista. Questo appare chiaramente,
oltre che dagli articoli pubblicati in quegli anni dalla
nostra rivista, anche da alcuni documenti inediti conservati
nel nostro archivio. Il 16 gennaio 1934 il Papa fece sapere al
direttore p. Enrico Rosa (uno dei bersagli del recente e
controverso libro di D. Kertzer) che «crede opportuno che si
parli nella Civiltà Cattolica della legge germanica per la
sterilizzazione»(11), e il 31 maggio 1938
si rallegrò dell’articolo della Civiltà Cattolica contro
il razzismo e «approvò il proposito [presentatogli dal
direttore] di illustrare in alcuni articoli le proposizioni
anti-razziste». Il che la nostra rivista fece prontamente.
Al
prof. D. Kertzer, che mi interpella su questo punto (in un
articolo pubblicato sul Corriere della Sera(12),
in risposta a un mio precedente intervento sullo stesso tema
dato ai microfoni della Radio Vaticana) chiedendomi: «Perché
il p. Sale non ha detto nulla a proposito del silenzio di Pio
XI nei confronti di queste leggi razziali?», rispondo che il
Papa in questa occasione, come in altre, denunciò il nuovo
indirizzo filo-tedesco intrapreso dal Governo italiano in
materia razziale, per mezzo degli articoli della Civiltà
Cattolica, che venivano da lui personalmente revisionati prima
di essere pubblicati. La Civiltà Cattolica, come è noto, fu
l’unica rivista italiana che si oppose, già nell’agosto
1938, alla legislazione razziale emanata da Mussolini nei
primi giorni del settembre dello stesso anno. Del resto anche
dal nostro archivio risulta che l’autore degli articoli, il
p. Antonio Messineo, fu contattato da un membro del Gran
Consiglio del fascismo, il quale gli chiese di scrivere contro
le teorie razziste, che il Duce era in procinto di applicare
anche in Italia, con la speranza che gli articoli riuscissero
a bloccare il progetto, che aveva oppositori anche
all’interno del fascismo. Gli disse, inoltre, che soltanto
La Civiltà Cattolica poteva fare questo servizio di civiltà
alla nazione italiana, poiché tutte le altre riviste e
giornali erano «imbavagliati» dal regime. Pio XI, al quale
l’articolo fu portato in revisione, diede il proprio
assenso. Dopo che il primo articolo uscì, il 4 agosto 1938,
sfuggendo alle maglie della censura politica, la questura di
Roma intimò, a nome del Ministero degli Interni, alla
tipografia che stampava allora la nostra rivista, di non
pubblicare più scritti contrari alle teorie razziste, pena la
chiusura dell’azienda.
L’articolo
condannava la teoria che riduceva la nazione alla razza, «difesa
— scriveva il p. Messineo — con una ostinatezza e un
fanatismo ideologico degno di migliore causa e con una povertà
di argomenti pseudo-storici e pseudo-scientifici, che fanno
poco onore alla scienza, da tutti gli scrittori che traggono
ispirazione dal mito razzista della nuova Germania»(13).
Tali teorie razziste, oltre che «antiscientifiche, sono
mostruosamente illogiche». Qualche mese prima il p. Rosa (che
pure in passato aveva assunto posizioni antigiudaiche, per
motivi religiosi) pubblicò sulla rivista un articolo molto
forte contro le teorie razziste divulgate in Germania. Egli
vedeva come infatuazione o follia collettiva quelle teorie che
volevano esaltare «la stirpe o la razza germanica al di sopra
di tutte le altre, come la più perfetta […]. Laddove tutte
le altre stirpi del genere umano sarebbero ad essa inferiori,
comprese le mediterranee, e più o meno spregevoli, tutte da
posporsi o asservirsi alla “grande Germania”, ovvero anche
da sterminarsi, come l’ebraica»(14).
Vanno inoltre ricordati i numerosi interventi che La Civiltà
Cattolica pubblicò dopo l’adozione delle leggi razziali da
parte del fascismo, anche in difesa dei «matrimoni misti»
(cioè tra cattolici ed ebrei), e questo nonostante la rivista
fosse tenuta sotto stretto controllo dall’occhiuta censura
del regime; quelle norme erano considerate da Pio XI lesive,
nel loro stesso spirito, della dignità umana e inoltre del
Concordato stipulato dall’Italia con la Santa Sede.
A
proposito di queste vicende censorie si legge nel Diario delle
consulte del 18 ottobre 1938: «Il p. Direttore informa
compendiosamente sui principali avvenimenti dei mesi passati
[dall’inizio dell’estate, infatti, si sospendevano le
consulte degli scrittori]: 1. Circa il divieto comunicato
dalla Prefettura il 5 agosto di pubblicare il discorso del
Santo Padre del 28 luglio, restrizione toltaci poi dal
Ministero della Cultura Popolare, e la proibizione di
pubblicare commenti sulla questione razziale divergenti dal
senso del Governo nazionale. 2. Circa la proibizione fatta
l’8 agosto dalla Questura alla nostra tipografia di stampare
articoli contro il razzismo italiano e tedesco [si tratta
della vicenda dell’articolo del p. Messineo], anche se
riportati sull’Osservatore Romano. Tutte queste proibizioni
vennero notificate dal p. Direttore alla Segreteria di Stato,
anche per nostra giustificazione»(15).
Alla
luce di questa nota si capisce bene perché La Civiltà
Cattolica non condannò in modo esplicito — come alcuni
studiosi contemporanei avrebbero voluto che facesse — la
legislazione antisemita promulgata nel settembre 1938 dal
Governo italiano. Essa però precedentemente in alcuni
articoli, come abbiamo visto, aveva preso le distanze dalle
dottrine antisemite e anticristiane con le quali si intendeva
dare giustificazione teorica alla nuova normativa anti-ebraica.
La Civiltà Cattolica, dal canto suo, dava notizia nella «cronaca»
delle leggi razziali italiane (sia di quelle emanate il 1° e
il 2 settembre 1938, sia di quelle del 6 ottobre dello stesso
anno) senza però commentarle(16). Qualche
autore interpreta questo fatto come un’accettazione tacita
da parte della rivista delle nuove direttive razziali dettate
dal regime, che secondo la propaganda fascista altro non erano
che l’applicazione pratica di quei princìpi antigiudaici
che la Chiesa aveva predicato, mentre in realtà esse avevano
la loro causa in quelle promulgate da Hitler in quello stesso
anno. Il Duce del fascismo anche in questa materia non voleva
essere da meno del suo collega e amico tedesco.
Il
significato vero del «silenzio» osservato dalla nostra
rivista sulla legislazione anti-ebraica è da ricercare invece
nella disposizione ministeriale sopra ricordata, che le
imponeva «la proibizione di pubblicare commenti sulla
questione razziale divergenti dal senso del Governo nazionale».
Essa preferì «tacere», non scrivere nulla su quella
legislazione — che riteneva apertamente discriminatoria,
lesiva dei diritti umani e dei diritti della Chiesa, in
particolare quelle dell’ottobre in materia di matrimoni
misti — anziché commentarla, come i fascisti avrebbero
voluto, nel senso impostole dal Governo. Il solo fatto che la
rivista pubblicasse l’intero testo della legge (fatto questo
non comune) senza il consueto commento era sufficiente a far
capire ai cattolici italiani quanto queste disposizioni si
allontanassero, nei loro stessi presupposti, dalla genuina
dottrina della Chiesa e dal senso comune di umanità. Questo
fatto non sfuggì all’anziano p. Rosa che scrisse in un
articolo(17), sfuggendo alle maglie strette
della censura di regime: «In Italia, udiamo ripeterci da più
parti, ed è confermato anche dalla più autorevole voce della
politica italiana, non si vuole imitare la Germania in genere,
né l’acerbità nazista in particolare contro gli
oppositori, venuti dal giudaismo. Ma, anche fra noi, gravi
provvedimenti furono decretati contro gli ebrei, o sono già
in corso, e la stampa quotidiana li commenta, com’è suo
costume, e a suo modo li giustifica, con una vivacità di
linguaggio e una così ardimentosa facilità di logica e di
storia, di citazioni e di polemica che noi, senza forti
riserve, non potremmo accettare»(18).
Va
ricordato infine, che La Civiltà Cattolica — contrariamente
a quanto si legge in alcuni lavori storici, anche recenti —
non riconobbe mai l’autenticità dei cosiddetti Protocolli
dei saggi di Sion (redatti da una penna ferocemente antisemita
per diffamare gli ebrei) e li considerò «leggende»; molti,
scriveva il p. Rosa già nel 1928, «godono di spargerle tanto
più inopportunamente quanto meno sono criticamente fondate»(19).
Qui il gesuita si riferiva ad alcuni ecclesiastici
intransigenti che, d’accordo con i fascisti, si facevano
propagatori dell’antisemitismo più bieco. Tra essi
ricordiamo l’enigmatico mons. Umberto Benigni, fondatore nei
primi anni del Novecento del sodalitium pianum (sorta di
agenzia segreta di informazioni per la lotta al modernismo) e
successivamente agente della polizia politica fascista. Ci
furono inoltre alcune riviste cattoliche integraliste (come,
ad esempio, Fede e Ragione, L’Araldo, L’Unità Cattolica)
che sposarono le idee di Benigni e del fascismo in materia di
razzismo. Ma tra queste non può essere annoverata La Civiltà
Cattolica, che anzi a partire dagli anni Trenta fu guardata
con sospetto dal regime fascista; fra l’altro, la sua sede
nel 1931 fu devastata, per ordine di Mussolini, da alcuni
facinorosi. Era questo un segnale chiaro che la rivista non
era gradita al regime e che si continuava a tenerla in vita
soltanto per non inimicarsi, anche su questo punto, la Santa
Sede.
Pio
XI e l’antisemitismo
Alla
luce dei fatti sopra ricordati, leggiamo con grande meraviglia
nel libro di Kertzer che Papa Ratti fu antisemita e che non
fece nulla per ostacolare la legislazione antiebraica. Già
nel 1928 un decreto del Sant’Uffizio, per esplicito
desiderio del Pontefice, condannò esplicitamente le moderne
teorie antisemite, deprecando con forza «l’odio diffuso
[dal nazismo] contro un popolo già eletto da Dio,
quell’odio cioè che oggi volgarmente suole designarsi
antisemitismo»(20). Ma soltanto a partire
dal 1937 assistiamo a un vero e proprio cambiamento di rotta
in Vaticano sulla percezione del problema ebraico. Il Papa
negli anni precedenti era stato completamente assorbito dalla
dolorosa questione della persecuzione contro la Chiesa
cattolica da parte dei nazisti, iniziata già all’indomani
della firma del Concordato con il Reich nel 1933.
Sottoscrivendo quell’accordo la Santa Sede sperava di porre
qualche limite allo strapotere del regime (che già iniziava
ad assumere caratteri anticristiani), almeno nelle questioni
religiose o in quelle concernenti l’istruzione e la
formazione dei giovani.
Nell’enciclica
Mit brennender Sorge (14 marzo 1937) diretta ai vescovi
tedeschi — redatta nella parte dottrinale dal card.
Faulhaber, arcivescovo di Monaco, e in quella concernente le
denunce sulle violazioni del Concordato dal card. Pacelli, a
quel tempo Segretario di Stato — Pio XI condannò il
nazionalismo esasperato e il culto della razza, nonché le
aberrazioni del nazismo e le dottrine anticristiane da esso
sostenute. In essa si leggono, a questo proposito, parole
molto forti: «Chi, con indeterminatezza panteistica,
identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo
e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti»(21),
e subito dopo: «Solamente spiriti superficiali possono cadere
nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione
nazionale e intraprendere il folle tentativo di imprigionare
nei limiti di un solo popolo, nelle ristrettezze etniche di
una sola razza, Dio creatore del mondo, re e legislatore dei
popoli»(22). L’enciclica denuncia, poi,
senza mezzi termini le cosiddette «rivelazioni arbitrarie che
alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così
detto mito del sangue e della razza», e minaccia l’ira
divina contro «colui» [cioè Hitler] che predica o permette
che siano predicate tali aberranti dottrine(23).
Il
Papa, inoltre, durante un’udienza concessa agli operatori
belgi delle radio cattoliche, nel settembre 1938, con le
lacrime agli occhi per l’emozione, pronunciò, in modo
informale, alla fine del suo discorso(24) la
celebre frase: «L’antisemitismo è inammissibile. Noi siamo
tutti spiritualmente semiti». Qualche mese prima, il 29
luglio, nella residenza pontificia di Castelgandolfo,
rivolgendosi agli alunni del Collegio romano di Propaganda
Fide, disse: «Il genere umano non è che una sola e
universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze
speciali […]. La dignità umana consiste nel costituire una
sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana.
Questo è il pensiero della Chiesa». Il messaggio del Papa fu
molto criticato dalla stampa tedesca; esso fu considerato
contrario alla cultura e alla dignità della Germania nazista,
poiché negava l’esistenza di «razze speciali», e fu
accolto dai capi del nazismo come un’aperta dichiarazione di
guerra da parte del Papato contro il nazionalsocialismo.
Nel
giugno dello stesso anno Pio XI aveva dato l’incarico allo
statunitense p. John Lafarge (che fu aiutato in quest’opera
da due suoi confratelli gesuiti: il tedesco p. G. Gundlach e
il francese p. G. Desbuquois) di scrivere una bozza di
enciclica contro il razzismo, che il Papa avrebbe poi emanato.
Lo schema fu discusso con Pio XI, a quel tempo già molto
malato, e da lui approvato. Il documento che ci è pervenuto,
e che è stato anche pubblicato(25), si può
perciò dire che corrisponda in linea di massima al progetto
originario voluto dal Papa. Gli studiosi considerano in due
modi opposti quest’enciclica mai emanata (che probabilmente
avrebbe avuto come titolo Humani generis unitas), poiché il
Pontefice morì nel febbraio 1939, ed essa non piacque ad
alcuni superiori gesuiti che la ebbero in esame, compreso il
Generale. Secondo alcuni(26), essa
riproponeva i vecchi modelli «dell’antisemitismo cattolico»
e della cosiddetta «segregazione amichevole», in ogni caso
non rispondeva alle urgenze del tempo e alla gravità del
momento. Secondo altri invece(27), essa
avrebbe segnato un punto importante nella storia del magistero
pontificio: per la prima volta in un documento solenne della
Chiesa l’antisemitismo razzista sarebbe stato condannato, e
questo avrebbe alla lunga indebolito il tradizionale
antigiudaismo cattolico(28). Secondo noi
invece il progetto di enciclica raccoglieva in sé ambedue le
istanze, frutto anche della mentalità delle persone che la
redassero: quella tradizionale, che ripeteva i soliti temi
dell’antigiudaismo religioso(29), e quella
più moderna, più vicina alla sensibilità di Papa Ratti,
tendente alla denuncia pubblica dell’antisemitismo razziale(30).
Il
nuovo Pontefice, Pio XII, non pubblicò l’enciclica, che era
ancora in elaborazione. Ma ciò non significa che egli non
fosse sensibile ai problemi da essa affrontati. Era stato
Segretario di Stato del suo Predecessore e ne aveva condiviso
tutte le più importanti e coraggiose iniziative di governo.
Nel frattempo però era cambiato il contesto storico-politico
nel quale l’enciclica era stata pensata (Hitler si preparava
a occupare la Polonia): il problema grave da risolvere era
ormai quello della guerra da evitare e in particolare quello
di limitarne i danni. Il Papa nella sua prima enciclica, Summi
Pontificatus (20 ottobre 1939), indicava ai credenti un nuovo
modello di società cristiana da realizzare, fondata sul
diritto naturale e sul rispetto di tutti gli uomini
indipendentemente dalla loro nazionalità o razza.
L’enciclica in realtà era capita e interpretata dai suoi
contemporanei come un atto di condanna di ogni forma di
totalitarismo. I capi nazisti compresero che il documento
pontificio era una forte denuncia contro la loro politica di
aggressione e di violazione dei diritti umani e, per questo
motivo, ne impedirono la diffusione nel Reich. Migliaia di
copie però furono paracadutate in Germania e in Polonia dagli
Alleati: e questo dice molto sul valore che essi attribuivano
al documento pontificio. Lo stesso Pio XII chiese alla nostra
rivista di tener presente negli articoli di commento «gli
errori condannati dall’enciclica, in particolare si difenda
l’unità del genere umano contro i razzismi, e la dipendenza
dello Stato dalla legge morale»(31).
In
conclusione, va detto chiaramente che la Chiesa non intende
nascondersi dietro definizioni di comodo o strumentali, quale
sarebbe, secondo alcuni studiosi, la distinzione tra
antigiudaismo e antisemitismo, per non riconoscere le proprie
responsabilità nei confronti degli ebrei. Al contrario, essa
non ha difficoltà ad affermare che l’antigiudaismo
professato da molti cattolici durante i secoli ha fortemente
contribuito alla discriminazione delle comunità ebraiche
della diaspora — condannandole a una forma spesso disumana
di segregazione e di aperta discriminazione sociale — e
quindi a chiedere perdono per gli errori commessi dai suoi
figli contro i loro «fratelli maggiori», come del resto
Giovanni Paolo II ha già fatto a Gerusalemme davanti al Muro
del Pianto. Ma gli storici non possono addossare alla Chiesa
responsabilità di fatti (come l’antisemitismo razziale) che
non ha commesso e che anzi ha combattuto e condannato.
1.
Cfr S. ROMANO, I volti della storia. I protagonisti e le
questioni aperte del nostro passato, Milano, Rizzoli, 2001,
456-458.
2.
Cfr D. I. KERTZER, I Papi contro gli ebrei. Il ruolo del
Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno, Milano,
Rizzoli, 2002; R. TARADEL - B. RAGGI, La segregazione
amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione ebraica:
1850-1945, Roma, Editori Riuniti, 2000; R. TARADEL, L’accusa
del sangue. Storia politica di un mito antisemita, ivi, 2002;
ID., «L’antisemitismo ci fu. Perché nasconderlo?», in
Liberazione, 17 marzo 2002; M. PHAYER, La Chiesa cattolica e
l’Olocausto, Milano, Newton & Compton, 2002; S.
ZUCCOTTI, Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Milano, Bruno
Mondadori, 2001.
3.
La Civiltà Cattolica, specialmente negli anni Trenta e
Quaranta, utilizza spesso questa definizione per indicare il
proprio atteggiamento nei confronti degli ebrei, mentre
all’opposto fa uso della nozione di «antisemitismo» per
indicare le moderne dottrine razziste, che essa condannava
apertamente come anticristiane.
4.
Il p. Oreglia nel 1881 ripropose all’attenzione
dell’opinione pubblica il caso ormai dimenticato del
presunto omicidio rituale del piccolo Simoncino (che fu
inoltre venerato come santo) avvenuto nel Medioevo e di cui il
gesuita aveva trovato gli atti del processo (tenutosi a Trento
nel 1475) nell’Archivio Segreto Vaticano. Il p. Oreglia
riteneva che gli ebrei «per obbedire a una loro legge e rito
rabbinico-talmudico e perciò per ispirito di pietà, di
devozione e religione nefanda» (Civ. Catt. 1881 IV 225)
usassero celebrare la pasqua impastando gli azzimi con sangue
cristiano. La questione, oltre che suscitare molta curiosità,
fece molto rumore tra i cattolici e non soltanto in Italia: da
più parti fu ripetuta l’accusa, che sembrava ormai da tempo
dimenticata, di omicidio rituale nei confronti degli ebrei (cfr
R. TARADEL, L’accusa del sangue…, cit., 215).
5.
E. ROSA, «Il pericolo giudaico e gli “Amici d’Israele”»,
in Civ. Catt. 1928 II 340.
6.
Cfr Civ. Catt. 1922 IV 112-121.
7.
Ricordiamo i 16 numeri dei Cahiers du témoignage chrétien
pubblicati a partire dal
novembre 1941 dal p. G. Fessard, il celebre L’impossible
antisémitisme di J. Maritain, pubblicato già nel 1937, nonché
alcuni scritti di quello stesso tempo del poeta P. Claudel e
del teologo p. H. de Lubac.
8.
L’appoggio alle leggi razziali emanate in Ungheria nel 1938
da parte della Civiltà Cattolica è da comprendere sulla base
di elementi non antisemitici. Il p. A. Barbera, autore
dell’articolo, sosteneva che era dovere di uno Stato
cattolico tutelare i cittadini cristiani e che
l’equiparazione giuridica tra cattolici ed ebrei, oltre che
danneggiare lo Stato magiaro (in quanto si sarebbe allontanato
dalla sua gloriosa tradizione cristiana), alla lunga avrebbe
anche danneggiato gli stessi ebrei, i quali, ricoprendo
cariche importanti nella società, avrebbero alimentato
l’animosità dei «locali» nei loro confronti. L’Autore
lodava il modo non violento con cui fu elaborata tale
legislazione e guardava con simpatia al fatto che l’accesso
alle cariche più importanti avvenisse attraverso il sistema
dei numero chiuso (20% di posti riservati agli ebrei, che
erano il 5% dell’intera popolazione). Altra cosa è però
dire che la rivista sposò tesi antisemite e che anzi si fece
propugnatrice di un antisemitismo razziale, come si afferma da
alcune parti (cfr A. BARBERA, «La questione dei giudei in
Ungheria», in Civ. Catt 1938 I 146-153).
9.
Sul rapporto tra «razzismo biologico» e nazismo si veda il
lavoro dello storico ebreo D. DINER, Raccontare il Novecento.
Una storia politica, Milano, Garzanti, 2001.
10
C’è inoltre un altro elemento, a nostro avviso, che prova
come la teoria razzista professata dal nazismo non avesse come
proprio fondamento culturale la dottrina o la tradizione
cristiana e neppure il suo secolare antigiudaismo. Ciò è
dimostrato dal fatto che il culto razzista della «pura razza
ariana» oltrepassa in realtà perfino l’antisemitismo vero
e proprio. Classifica i non ariani come uomini di stirpe
inferiore, che devono essere forzatamente o asserviti, come
gli slavi e i mediterranei, o sterilizzati, come i neri, o
addirittura sterminati come gli ebrei e gli zingari. Ora è
certo che la tradizione cristiana non ha mai creato gerarchie
tra popoli o razze diverse: per essa tutti gli uomini
indistintamente sono chiamati a divenire «membra» della
stessa Chiesa di Cristo (cfr M. A. CHARGUERAUD, Les Papes,
Hitler et la Shoah, Genève, Labor et Fides, 2002, 66).
11
Cfr ARCHIVIO CIVILTÀ CATTOLICA (ACC), Diario delle consulte,
16 gennaio 1934. In un’altra parte si legge: «Il Santo
Padre nell’ultima udienza si è intrattenuto intorno alla
disputa cui hanno dato luogo le nuove teorie di eugenetica
applicate dal Governo nazional-socialista in Germania, in seno
al recente Congresso internazionale dell’Ospedale che si è
tenuto a Roma. Il Santo Padre ha dimostrato la sua viva
soddisfazione per l’atteggiamento assunto dalla grande
maggioranza dei congressisti contro la mozione presentata
dalla rappresentanza tedesca» (ivi, 11 giugno 1934).
12
Cfr D. KERTZER, «La Chiesa e la trappola del “sano
antisemitismo”. Dopo gli attacchi di Civiltà Cattolica lo
storico Kertzer rilancia le accuse a Pio XI», in Corriere
della Sera, 26 febbraio 2002. Come risposta a quest’articolo
vedi G. SALE, «Altro che leggenda nera, i gesuiti non furono
mai antisemiti», ivi, 28 febbraio 2002.
13
A. MESSINEO, «Gli elementi costitutivi della nazione e della
razza», in Civ. Catt. 1938 III 216. Sulla questione trattata
si veda anche C. CAPIZZI, «Marxismo e scienza delle
religioni. In margine ad una nuova enciclopedia», ivi, 1978 I
469.
14
E. ROSA, «”La teoria moderna delle razze” impugnata da un
acattolico», ivi, 1938 III 63.
15
ACC, Diario delle consulte, 18 ottobre 1938.
16
Cfr «Cronaca contemporanea», in Civ. Catt. 1938 III 558-561;
IV 269-271.
17
In esso p. Rosa rimproverava Farinacci di aver utilizzato in
un suo articolo del 30 agosto 1938, pubblicato sul Regime
fascista, articoli della Civiltà Cattolica scritti nel 1890
dal p. R. Ballerini (in verità di sapore antigiudaico) per
dare una qualche legittimazione alla nuova legislazione
antisemita, interpretandoli poi in senso diverso dal loro
tenore letterale (cfr E. ROSA, «La questione giudaica e La
Civiltà Cattolica», ivi, 1938 IV 3-16).
18
Ivi, 3. Le ultime parole riportate nel Diario delle consulte
del tanto vituperato «antisemita» p. Rosa furono le
seguenti: «Il P. Rosa propone che si parli nella nostra
rivista del nuovo Codice Civile (libro I) dove sono delle
disposizioni poco conformi all’etica naturale e chiede, poi,
che si scriva qualche cosa sulla presente controversia
razzistica, soprattutto in ordine al Concordato violato» (ACC,
Diario delle consulte, 15 novembre 1938). Il p. Rosa morì
undici giorni dopo.
19
E. ROSA, «Il pericolo giudaico e gli “Amici di Israele”»,
in Civ. Catt. 1928 II 341.
20
Ivi, 338.
21
«Lettera enciclica di S. S. Pio XI sulle condizioni della
Chiesa cattolica nel Reich germanico», in AAS 29 (1937)
145-147 e in Civ. Catt. 1937 II 196.
22
Ivi, 197.
23
Ivi, 200. Sono note le vicende sulla divulgazione di questa
enciclica, che fu stampata di nascosto contemporaneamente in
sette tipografie ubicate in altrettante città della Germania
e letta dai pulpiti delle chiese nella stessa domenica. Le
copie ancora in commercio furono immediatamente confiscate dal
regime, che protestò energicamente in Vaticano. A questo
proposito si legge nel nostro Diario delle consulte: «Il
Santo Padre passò a parlare delle vicende religiose e
politiche in Germania per effetto della recente Enciclica che
riguarda quei fedeli e della inconcepibile pretesa espressa
nella protesta diplomatica del Governo del Reich, che dalla
Santa Sede non si sarebbe davvero dovuto fare quel passo,
senza preavvisarne il Governo» (ACC, Diario delle consulte,
12 maggio 1937).
24
La frase pronunciata dal Papa alla fine dell’udienza in modo
informale, non essendo riportata nel testo ufficiale che il
Pontefice lesse ai pellegrini, non fu poi riportata
dall’Osservatore Romano né dalla Civiltà Cattolica. Alcuni
studiosi hanno costruito su questo fatto leggende a dir poco
fantasiose. La celebre frase del Papa, subito divulgata dai
pellegrini (poi accuratamente riportata nel suo diario dal
capodelegazione belga), fece immediatamente il giro del mondo.
E ciò dispiacque molto ai nazisti.
25
Cfr G. PASSELECQ - B. SUCHECKY, L’enciclica nascosta di Pio
XI, Milano, Corbaccio, 1997. Su questa materia si veda G.
MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano, Rizzoli,
2000, 312-324.
26
Cfr D. KERTZER, I Papi contro gli ebrei…, cit.; M. PHAYER,
La Chiesa cattolica e l’Olocausto, cit.; R. TARADEL, «L’antisemitismo
ci fu. Perché nasconderlo?», cit.
27
Cfr G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, cit.,
312-324; R. MORO, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei,
Bologna, il Mulino, 2002, 88.
28
Secondo G. Miccoli la novità di questo progetto di enciclica,
rispetto alla Mit brennender Sorge, sta nel fatto che nel
primo non si condanna soltanto il razzismo neopagano e
anticristiano, ma l’antisemitismo in genere. Nel progetto di
p. Lafarge si dice chiaramente che il razzismo è un puro
pretesto per perseguitare gli ebrei: «Risulta chiaramente che
la lotta per la purezza della razza finisce coll’essere
unicamente la lotta contro gli ebrei» (G. PASSELECQ - B.
SUCHECKY, L’enciclica nascosta di Pio XI, cit., 284).
29
Si legge nel progetto di enciclica su questo punto: «La
pretesa questione giudaica nella sua essenza non è una
questione né di razza, né di nazione, né di nazionalità
terrena, e neppure di diritto di cittadinanza fra gli Stati.
È una questione di religione» (ivi, 243).
30
Significative sono le ultime parole che Pio XI, un mese prima
della morte, disse al direttore della nostra rivista. Come in
una profezia esse annunciavano alla Chiesa l’avvento di
giorni tristi e bui in un mondo devastato dalla guerra totale:
«Il Santo Padre si intrattenne a parlare sui giorni cattivi
che corrono per la religione, in particolare nella Polonia
colpita dalla recente morte del cardinale A. Kakowski, nella
Germania dove la persecuzione rinverdisce sempre più, e in
Italia nella quale si procede con poca lealtà da parte del
Governo su una via cattiva» (ACC, Diario delle consulte, 3
gennaio 1939).
31
Ivi, 30 ottobre 1939.
__________________
[Fonte:
La Civiltà Cattolica 2002 II 419-431]