Nei libri di testo usati in
Iran, la carta geografica del Medio oriente non
mostra lo stato di Israele: i confini tracciati
nel '48 non sono mai stati registrati dai
cartografi ufficiali (né tantomeno i confini
ridisegnati nel '67 dalla stessa Israele con
l'occupazione di Cisgiordania e Gaza e del Golan).
Nel linguaggio ufficiale di Tehran, Israele non
compare mai: è «l'entità sionista». Del resto
«morte al sionismo», insieme a «morte
all'America», è uno degli slogan preferiti del
regime nato dalla Rivoluzione islamica:
generazioni di iraniani sono ormai abituati a
sentirlo a ogni occasione ufficiale, senza più
farci molto caso. Non avevano fatto molto caso
neppure quando il presidente Mahmoud Ahmadi-Nejad,
un anno fa, ha prima dichiarato che Israele è «un
tumore» da cancellare dalla mappa della regione,
poi ha dichiarato che l'Olocausto degli ebrei è
«una leggenda», suscitando l'indignazione
generale in Europa e negli Stati uniti.
Domani a Tehran si terrà un nuovo atto di
quest'offensiva politico-propagandistica: comincia infatti una conferenza
internazionale, più volte annunciata e rinviata, dal titolo «Discutere
l'Olocausto». Durerà due giorni, presso l'Institute for Political and
International Studies (già reputata istituzione di studi), e secondo il
presidente iraniano sarà un «serio dibattito storico» per valutare fatti e
prove del genocidio degli ebrei commesso dai nazisti durante la seconda
guerra mondiale, distinguere i fatti dalle «esagerazioni» e rispondere
alla domanda se l'Olocausto abbia davvero avuto luogo oppure no - come se
non fosse un fatto già ampiamente studiato e documentato negli ultimi 60
anni. Alla conferenza sono stati invitati 67 ricercatori stranieri,
informa l'agenzia di stampa iraniana Irna, da 30 paesi (pare ci sia almeno
un italiano), che potranno «esporre le proprie opinioni in tutta libertà».
La conferenza di Tehran ha già suscitato proteste di vari paesi
occidentali; gli ambasciatori dell'Unione europea in Iran hanno declinato
l'invito a partecipare e il ministero degli esteri tedesco ha convocato
l'incaricato d'affari iraniano a berlino per chiedere «spiegazioni». In
Italia la Farnesina respinge, in una nota, «ogni tentativo di negare o
minimizzare la portata della immane tragedia storica e umana» che è stato
l'Olocausto.
La pretesa scientificità della conferenza organizzata a Tehran non
inganna. Le implicazioni antisemite sono chiarissime - poco vale
l'argomento spesso usato a Tehran, che in Iran vive tranquillamente la
comunità ebraica più numerosa in un paese musulmano: è vero, ma è anche
vero che si tratta di una libertà sempre condizionata. E' evidente anche
la sottolineatura propagandistica: l'Occidente, è sottinteso, vieta di
esprimere liberamente opinioni contrarie alla verità ufficiale e infatti
condanna coloro che negano l'Olocausto, in barba alla «libertà
d'espressione» che professa... Così era stata presentata anche
l'esposizione di vignette sull'Olocausto inaugurata lo scorso agosto a
Tehran, «risposta» alle vignette sul Profeta pubblicate in Europa.
Quando auspica di «cancellare» Israele, il presidente Ahmadi-Nejad non
aiuta la causa del popolo palestinese, come proclama di voler fare; e
quando nega l'Olocausto, avvalendosi anche dei rigurgiti di negazionismo
presenti in Europa, fa ancora peggio: non è proprio l'establishment dello
stato di Israele che ha sempre bollato di «antisemita» ogni critica alla
sua politica? Diceva Ahmadi-Nejad in un'intervista l'anno scorso: «Se
l'Olocausto non ha avuto luogo, perché sarebbe giustificato questo regime
di occupazione ? Perché i paesi europei lo difendono?» (su Der Spiegel).
L'obiettivo del presidente iraniano e dei suoi pretesi storici è
«smontare» la legittimità dell'esistenza di Israele: perfino al di là di
quanto ormai accettato dai palestinesi stessi - salvo dal leader di Hamas
e premier palestinese Haniyeh.
La mostra di vignette sull'Olocausto aveva attirato poco pubblico a Tehran,
salvo autorità e stampa straniera. E' da immaginare che il congresso
sull'Olocausto non avrà più risonanza interna. Tra retorica ufficiale e
opinioni (e comportamenti) diffusi in Iran c'è un abisso che non finisce
di stupire.
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[Fonte: Il Manisfesto 11 dicembre
2006]
La propaganda non può riscrivere la storia
Andrea Lavazza, su Avvenire 12 dicembre 2006
Quanto pesa, al di là delle doverose
esecrazioni occidentali, la Conferenza sull'Olocausto in corso a Teheran? Poco,
se si considera quanto sconosciuti o squalificati siano i 67 «scienziati» di 30
Paesi, tra cui - purtroppo - anche un italiano, convenuti e generosamente
accolti in Iran. Molto, quando invece si valuti la luciferina abilità con cui il
presidente Ahmadinejad sta usando il Soft power per perseguire i suoi obiettivi.
Mentre la sostanziale impasse Usa in Iraq fa considerare provvisoriamente
fallito il tentativo di esportare con le armi la democrazia in Medio Oriente, la
strategia del regime degli ayatollah sembra recepire il concetto teorizzato
dallo studioso americano Joseph Nye: l'attrattiva ideologica e culturale che una
nazione sa costruirsi e, di converso, la repulsione che può indurre per altri
Paesi hanno un enorme rilievo nelle relazioni internazionali.
L'odio e l'avversione verso Israele in ampi settori del mondo arabo-islamico
sono di lunga tradizione, ma non hanno quasi mai cercato di ammantarsi di una
giustificazione storiografica che avesse pretesa di obiettività. La Shoah -
recita il lugubre teorema ripetuto anche ieri dal leader iraniano - è una
«leggenda» e Israele, nato su quella base, «va cancellato dalla mappa
geografica». Nessun rischio che una tesi simile attecchisca negli Stati Uniti o
in Europa (in Germania, Austria e Francia negare lo sterminio degli ebrei
costituisce un reato); ben diversa la situazione nei Paesi della regione.
Nel suo discorso di apertura, il capo dell'Istituto per gli Affari politici e
internazionali del ministero degli Esteri iraniano ha affermato che si intende
dare «l'opportunità di discutere gli interrogativi lontano dai tabù e le
restrizioni imposte in Occidente». Il tutto senza escludere preliminarmente che
nei lager si sia compiuto un genocidio. Tra i relatori prevalgono i negazionisti
- compreso il ben noto Robert Faurisson - e, soprattutto, manca chi possa dare
un veritiero quadro della ricerca attuale. Un po' come organizzare un convegno
che metta in dubbio che la Terra sia sferica senza invitare un docente di
astronomia di qualche autorevolezza.
Il Soft power, che nella versione originale non spacciava falsità ma soltanto
l'american way of life, qui assume un volto mistificatorio: mette sì in
circolazione idee, ma saldando pregiudizi con pseudo-scientificità, facendo
coincidere ciò che si vuole sentirsi dire con ciò che si ritiene vero. Di fronte
alle opinioni pubbliche che punta a conquistare, l'Iran può da oggi vantare la
(presunta) obiettività di un confronto intellettuale internazionale con cui
continuare a soffiare sul fuoco del radicalismo.
È una lezione che Ahmadinejad ha imparato in fretta. Come ha convinto il premier
palestinese Haniyeh, suo ospite nei giorni scorsi, a proclamare che mai
riconoscerà lo Stato di Israele? La risposta è giunta quarantott'ore dopo: 250
milioni di dollari in aiuti alla disastrata amministrazione dell'Anp per il
2007.
Se è vero che negli stessi momenti in cui si apriva la Conferenza un gruppo di
studenti ha clamorosamente contestato il presidente all'università Amir Kabir di
Teheran, ecco un'altra indicazione che bisogna spingere più sul pedale delle
idee che su quello delle sanzioni. Le seconde accendono il nazionalismo e
ricompattano la gente intorno al regime, le prime possono ridisegnare
un'immagine di Usa ed Europa ben più credibile di un improvvisato convegno. E
far crescere l'opposizione a chi cerca di smerciare menzogne come Storia.