I
TERRORISTI E LA SOGLIA DELL'ODIO
di Elie Wiesel*
È stato un anno fa. Nel giro di un'ora, il mondo si è ribaltato.
Nell'orrore d'una maledizione nuova che trascenderà le frontiere
nazionali e territoriali. Ed essa avrà per nome: terrorismo. Prima
eravamo piuttosto ingenui. Credevamo che il secolo appena nato avrebbe
lasciato nella sua scia di cenere e di sangue tutto ciò che avrebbe
potuto mettere in discussione e in pericolo tanto l'avvenire degli uomini
che le loro speranze.
Avendo imparato le lezioni della Storia recente - le promesse menzognere e
pericolose delle dottrine totalitarie, le lacune delle democrazie logore e
addormentate, la vulnerabilità dei sistemi politici al potere - pensavamo
che l'umanità, assetata di cultura civilizzatrice, anche di giustizia
sociale, avrebbe saputo evitare trappole e ostacoli per impedire al Male e
alla Morte d'imperversare. Era tale la nostra quasi certezza, che genitori
e insegnanti la vestivano come un'armatura destinata a proteggere giovani
e adulti da ogni tentazione maligna.
Orbene, avevamo appena finito di celebrare festanti l'inizio della nuova
era, che la brutale realtà ci ha colpiti al volto. Impossibile non
ammettere il nostro errore. I crimini assoluti che hanno caratterizzato il
ventesimo secolo - il fascismo, il nazismo, il comunismo - sono ormai
scomparsi.
Ma l'odio che li ha motivati, quello è sopravvissuto. Odio razziale, odio
etnico, odio religioso, odio dell'Ebreo, odio dello straniero, odio
dell'altro, odi assurdi, insensati: sono ancora tutti vivi. E contagiosi.
Uccisori suicidi, giovani fanatici portatori d'esplosivi, animati da un
idealismo perverso che si nasconde sotto un'abietta codardia, omicidi in
serie, catastrofi umane, paesaggi coperti di detriti: dall'Arabia
all'Italia, da Gerusalemme a New York, da Amburgo a Djerba, i nuovi
terroristi abbattono persone innocenti. In nome d'una vendetta ancestrale?
In nome del loro dio, ch'essi rendono complice di assassinio.
Nuovi, i terroristi d'oggi lo sono davvero. Non possono essere paragonati
ai rivoluzionari o agli anarchici europei di una volta che, romantici fino
alla fine, rifiutavano di prendersela con i bambini, non più di quanto li
si possa paragonare ai resistenti antinazisti che, nell'Europa occupata,
non uccidevano che i Tedeschi in uniforme. Fu lo stesso in Palestina,
durante il mandato britannico: i movimenti ebraici clandestini non hanno
mai preso di mira i civili, e di sicuro non i bambini.
Dopo lo scorso settembre, sappiamo che il terrorismo ha varcato una soglia
ed è diventato globale. Se prima raggiungeva soprattutto gli ebrei
d'Israele e, in una certa misura, quelli della Diaspora, oggi si è
rivoltato contro l'intera società occidentale e colpisce, in completa
cecità, bambini e vecchi, uomini e donne, ricchi e poveri, Ebrei,
cristiani e liberi pensatori tutti mescolati assieme.
Questo terrorismo nulla lo può giustificare, né come mezzo, né come
fine. Allora, come spiegarlo? Con l'odio, certamente. Il terrorismo ne è
intriso. Si nutre d'odio. Esso lo rende forte. E ottusamente orgoglioso.
Ma non è tutto. C'è anche, nel terrorista, una volontà d'imporre la
propria legge a comunità grandi e piccole, svergognandone i leader
impotenti. E un desiderio di far tremare folle ed individui per timore
dell'ignoto. E' certo che, dopo il crollo delle Twin Towers di Manhattan,
gli abitanti delle grandi città paiono più prudenti. Non si è smesso di
portare il lutto per gli scomparsi, lo si porterà ancora per molto. Si
viaggia di meno, ci si preoccupa per qualunque cosa. Una tragedia aerea
con numerose perdite umane così venne commentata dalla stampa: «Grazie a
Dio, è stato soltanto un incidente».
In aereo oppure al cinema, si guarda il vicino con sospetto. Ma i
ristoranti sono pieni, i parchi anche, le spiagge pure. I bambini vanno a
scuola, giocano ai giardini pubblici. Se i terroristi pensavano di poterci
paralizzare, hanno commesso un errore. Non dimentichiamolo: New York s'è
ripresa alla svelta. In uno splendido slancio di generosità e di
compassione, la città è diventata il simbolo del coraggio e della
grandezza umani.
Al contrario, il terrorista rimarrà a priori mascherato, vile, nel suo
tentativo di perdersi nell'anonimato. È pronto a morire? La sua stessa
morte è frutto di vigliaccheria. Egli muore per meglio uccidere uomini,
donne e bambini indifesi che non gli hanno fatto nulla, che lui neppure
conosce. Coloro che l'hanno educato, invelenito, condizionato sono
altrettanto colpevoli. Glorificando mattina e sera il suo cosiddetto
martirio, l'hanno motivato, armato e spinto alla morte e all'assassinio.
Sottomettersi a costoro, in qualunque grado, significherebbe abdicare non
soltanto alla nostra sovranità nazionale, ma anche alla nostra coscienza
etica.
*Nobel per la Pace
(traduzione di Laura Toschi)
Elie Wiesel (dal Corriere della Sera)
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