In Italia per la prima volta il ricordo della Shoah vede protagonista il calcio. Quale è il significato?
«Non mi intendo di calcio, ma mi è stato detto che in un grande stadio italiano alcuni gruppi hanno mostrato sugli
spalti uno striscione in cui era scritto: “Auschwitz è la vostra casa”. Che cosa c’è dietro un evento come questo?
Si tratta di una frase orribile, che cela mancanza di memoria, disprezzo della vita e del prossimo, grave carenza di
educazione. Quando il sindaco di Roma, Walter Veltroni, in estate è venuto a casa mia a New York e mi ha spiegato l’iniziativa
mi sono trovato d'accordo, ho accettato. Se l’antisemitismo trova spazio sugli spalti degli stadi è negli stadi che
bisogna andare per combatterlo, contrastarlo, denunciarlo. Non ci devono essere zone franche nelle nostre società per chi
nega la Shoah, celebra il campo di sterminio di Auschwitz dove i nazisti uccisero milioni di esseri umani e predica l’odio
nei confronti del prossimo».
Gli stadi divengono troppo stesso il luogo dove si perde la memoria. Perché?
«L’antisemitismo negli stadi è limitato a piccoli gruppi ma non è un fenomeno che appartiene solo all’Italia, è un
problema europeo. In Germania un bambino può andare con il papà allo stadio per assistere ad un incontro e trovarsi
invece di fronte a bandiere uncinate e simboli del nazismo. Perché mai il padre deve portarlo in un posto simile? Il
razzismo travestito da tifo e passione sportiva per questa o quella squadra danneggia la gioventù, le fondamenta stesse
delle vivere comune».
Prima la presenza al Forum di Davos, poi il discorso di fronte al Parlamento di Stoccolma quindi questa sera l'arrivo a
Roma. Quale è il messaggio che porta in Italia ed in Europa?
«In Europa assistiamo a nuovi e ripetuti segnali preoccupanti di intolleranza nei confronti degli ebrei. È bene
precisare che non è un problema nuovo né di una singola nazione. In Paesi diversi l’intolleranza si esprime in forme
differenti. In Francia si tratta di aggressioni contro persone, incendi di proprietà e sinagoghe. In Italia un terzo
delle risposte ad un recente sondaggio indicano negli ebrei chi detiene il potere economico mondiale. Il problema è l’Europa
in sé. Lo è stato in passato e lo è ancora oggi. Si tratta di un continente dove l’odio nei confronti degli ebrei si
è sommato, radicato nel corso dei secoli, con origini e matrici differenti, e dove quindi resta urgente combatterlo,
denunciarlo, non abbassando mai la guardia. Appena l'Europa pensa di essere riuscita a sconfiggere l'antisemitismo questo
torna a manifestarsi in altre forme, per questo resta una frontiera cruciale della lotta contro l’intolleranza».
Se è vero che l'antisemitismo è un fenomeno costante nella storia europea cosa distingue le manifestazioni più recenti?
«È indubbio che la maggioranza degli atti anti-ebraici commessi ad esempio in Francia provengono da gruppi estremisti
che si annidano dentro le comunità islamiche composte in gran parte di immigrati da Paesi musulmani ed arabi. Non è mia
intenzione colpevolizzare una fede o un gruppo in particolare e non bisogna mai cedere a semplificazioni o
generalizzazioni di sorta e nei confronti di chiunque ma l'estremismo musulmano è portatore di un odio assoluto contro
Israele e contro gli ebrei che genera atti di intolleranza e di violenza. Le posizioni di una certa sinistra europea,
pregiudizialmente ostile a Israele al punto da paragonare gli israeliani ai nazisti, hanno creato un ambiente nel quale
gli estremisti islamici hanno ritenuto di trovare il sostegno di parte della popolazione nell'attaccare gli ebrei. Chi
giustifica un kamikaze palestinese che si fa saltare in aria in un ristorante israeliano facendo strage di bambini
contribuisce a creare un clima di intolleranza in Europa. Il sostegno politico ad atti di terrorismo è una radice
dell'odio contemporaneo».
Qual è la risposta possibile a questo nuovo tipo di odio?
«Sono un insegnante, credo profondamente nell'importanza dell'educazione, nel ruolo delle scuole, nella forza
dell'apprendimento, nel ricorso ai libri. Non c'è alternativa allo studio. La formazione delle nuove generazioni è il
momento in cui bisogna intervenire per creare gli anticorpi necessari, le difese dal contagio dell'intolleranza. Bisogna
investire nelle scuole di ogni ordine e grado. È nelle aule che i giovani possono e devono apprendere a non odiare il
prossimo».