1. Presenza di primo piano del Vangelo di Matteo nella letteratura cristiana dei primi secoli
«Il Vangelo di Matteo è il Vangelo della Chiesa primitiva. .. Sulla sua vita e sugli scritti che nascono fino al tempo di
Ireneo esso esercita l'influsso più esteso e più profondo».1
Mentre il Vangelo di Marco (= Mc) è praticamente assente, come influenza, dagli scritti cristiani dei primi due
secoli2 e il Vangelo di Luca (= Lc) è sì conosciuto, ma sempre in posizione secondaria e di complemento, soprattutto man mano che ci si avvicina alla fine del sec.
II, il Vangelo di Matteo (= Mt) è costantemente e generalmente presente nella Chiesa come il Vangelo normativo, specie per ciò che
concerne l'insegnamento fondamentale di Gesù (le sue "parole"), tanto che non si avverte il bisogno di distinguerne le citazioni, nominandolo esplicitamente, rispetto agli altri vangeli
scritti;3 nei suoi confronti poi ci si muove con molta libertà e spontaneità, specie nei primi tempi, badando alla sostanza
dell'insegnamento più che alla lettera.
Il Vangelo di Giovanni (= Gv) è conosciuto e sfruttato, non
però come Mt, e solo negli scritti del sec. II inoltrato e in ambienti gnostici
(per cui era il libro preferito); esso poi viene interpretato partendo da Mt,
che resta fuori discussione per l'autorità goduta.
L' epistolario paolino è conosciuto e sfruttato; però mai ci
si riferisce ad esso come ad una fonte essenziale del messaggio cristiano. Non
lo si segue quasi mai nei suoi profondi sviluppi teologici, bensì per i
consigli dell' Apostolo (considerati peraltro su un piano diverso da quello
delle parole del Signore), come autorità di conferma, soprattutto in contesto
morale.4
Nei secoli
successivi Mt risulta commentato abitualmente presso i Padri Greci e Latini, a
differenza di Mc (molto raramente, e solo tardivamente, commentato) e di Lc (discretamente commentato, però come complemento a
Mt).5
2. Giustificazione del fatto
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Questa presenza di primo piano e normativa
di Mt presso gli scritti cristiani dei primi secoli esige una giustificazione
pertinente ed adeguata. Comunemente si adducono, separate o congiunte, le seguenti motivazioni:
-
«il carattere di questo vangelo,
completo, ordinato, analitico, dottrinale»;6 la «grande ricchezza di
materiale, specialmente di discorsi di Gesù, non inferiore a quello di Luca»,
nei cui confronti ha conservato con maggior fedeltà l'odore della terra
palestinese;
-
il suo stretto rapporto con il V.T. e il
Giudaismo, per cui veniva adeguatamente incontro all'interrogativo dei cristiani provenienti dal Giudaismo circa il nuovo genere di vita da condurre;
-
l'indole antigiudaica, più o meno dichiarata,
della letteratura dei primi due secoli, per cui questa trovava in Mt un
adeguato appoggio nel dibattito apologetico sostenuto contro il Giudaismo ufficiale;
-
il fatto che nel canone dei quattro Vangeli quello di
Mt ha sempre Occupato il primo posto e che esso porta il nome di un Apostolo, a differenza di Mc e di
Lc, dovuti alla penna di discepoli
di apostoli.
Considerate sia singolarmente che cumulativamente, queste motivazioni non sembrano però offrire una giustificazione convincente
esaustiva del fatto sopra accennato. Anche Lc infatti risulta vangelo molto ricco di "parole" del
Signore; inoltre affronta anch'esso la questione dei rapporti fra Giudaismo e
Cristianesimo (risolvendoli però in chiave irenica e di consonanza, non già di
antitesi e di rottura polemica); non si vede pertanto come poté essere stato
relegato in posizione così secondaria, specie se lo si ritiene cronologicamente
anteriore a Mt greco. Il fatto poi che Mt sia dovuto alla penna di un Apostolo
non va anche esso troppo premuto in quanto Mc e Lc, secondo l'unanime
tradizione antica, riflettono la predicazione evangelica dei Principi degli
Apostoli, Pietro e Paolo. La constatazione infine che Mt, nel canone dei quattro
Vangeli, occupi abitualmente il primo posto esige una giustificazione più che
poter essere addotta come motivazione del preminente influsso di questo Vangelo
nella letteratura cristiana dei primi secoli.
Un'adeguata spiegazione del fatto sembra poter essere solo
quella che tiene conto, congiuntamente, di queste tre motivazioni: la data di
composizione, l' " autoritatività ", la sistematicità
e completezza.
-
La data di composizione di Mt: esso va ritenuto
come sicuramente anteriore a Mc e Lc, composto in una data (verso il 44 d.Cr.)
che ne consenta l'opportuna conoscenza e diffusione nell'ambito della comunità
cristiana, al punto da essere da tutti riguardato come indiscusso termine di
riferimento: se Mt fosse stato preceduto da un altro dei Vangeli Canonici,
difficilmente il suo dominio si presenterebbe così netto ed incontrastato.
-
La sua "autoritatività": Mt non va
semplicemente considerato come una iniziativa edificante, dovuta alla buona
volontà di un individuo singolo, anche se stimolato dalla comunità;7 esso va
visto come un'iniziativa a livello di vertice della comunità cristiana, e cioè
a livello dei Dodici Apostoli, nel momento in cui stanno per lasciare la
Palestina e disperdersi per le varie regioni del mondo circostante. L' Apostolo
Matteo avrebbe assolto all'incarico perché particolarmente dotato per lo scopo, ma il libro rifletterebbe il comune pensiero degli Apostoli; esso
volle essere una sintesi organica ed ordinata della "dottrina dei Dodici
Apostoli".
-
La sua sistematicità e completezza: proprio perché
Mt fu concepito come autoritativa sintesi scritta del nucleo centrale della
predicazione e proclamazione apostolica, quasi pro-memoria e punto di appoggio
per gli evangelizzatori e i "maestri" nella loro azione d'insegnamento
orale, destinato pertanto primariamente ai capi delle comunità cristiane e non
già ai semplici fedeli, se ne può comprendere e la completezza nella
trattazione tematica e la robustezza e concisione di formulazione e l'ascendente
normativo goduto non solo nella letteratura cristiana dei primi secoli, ma anche
nell'ambito della stessa letteratura neotestamentaria. Quest'ultima infatti, a
ben considerarla, si presenta tutta come sviluppo, integrazione, variazione
dell'opera di Mt. Come l'esegesi dettagliata del testo evidenzia, non si tratta
di un libro semplice e facile, tipico della letteratura popolare minore, bensì
di un libro da iniziati e per iniziati, e cioè per persone
particolarmente addottrinate nella fede cristiana,8 convinto vettore di un
messaggio di salvezza unico e definitivo,9 pertanto quanto mai curato nella lingua e nella sua presentazione letteraria
formale.10
Per questa sua priorità cronologica, per la sua autoritatività
e per la sua completezza, come ci documenta indirettamente la testimonianza di
Papìa di Gerapoli a riguardo di Mc, Mt venne ritenuto dalle prime generazioni
cristiane il Vangelo-tipo per eccellenza.
3. L'autore di Mt secondo la Tradizione torna
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La Tradizione della Chiesa, come del resto risulta anche
dal titolo preposto al Primo Vangelo Canonico nei Manoscritti più antichi, è
sempre stata unanime nell'attribuirlo all' Apostolo Matteo.11 Essa intese
con ciò riferirsi al personaggio accennato non solo nell'elenco dei Dodici, ma
anche nell'episodio della chiamata sulle rive del mare di Galilea e denominato Levi
in Mc 2,14 e Lc 5,27, Matteo in Mt 9,9.
È vero che questa discordanza, nella consonanza di
tutti gli altri elementi scenici, indusse già Clemente Alessandrino12 e
Origene13 a ritenere che si tratti di due personaggi diversi, posizione questa
seguita da vari commentatori moderni; tuttavia una spiegazione adeguata e
soddisfacente della discordanza si può trovare, avendo presente da un lato la
diversa tematica dottrinale perseguita da Mt e da Mc e Lc con lo stesso episodio e dall' altro il valore di epiteto e soprannome da attribuire al nome Matteo
().14
Il nome Matteo ()
presenta una duplice possibilità etimologica:
-
dono di Yahveh: abbreviazione popolare di Maththania,
dal verbo nâtan (= dare) e IHWH; è l'interpretazione
accettata più comunemente;15
-
verace, fedele: ebraico 'amittai,16
dalla
radice 'emeth (=verità) con la caduta (aferesi) della 'aleph iniziale.17
La particolarità di un personaggio con due nomi non fa
difficoltà nei testi del N.T.18 La formulazione poi di Mt 9,9 (: «un uomo... Matteo detto» ) fa pensare ad un soprannome, se vista nel
contesto terminologico del libro.19
Da Mc 3,16ss. sembra potersi ricavare che Gesù (come
del resto erano soliti fare i rabbini del tempo) amò dare ad ognuno dei Dodici
un epiteto o soprannome, in coerenza con il loro temperamento20 o con la loro
futura missione e funzione.21 Che debba così intendersi il nome Matteo, con
riferimento alla felice capacità di Levi di ritenere a memoria l'insegnamento
del Maestro, capacità che avrebbe in seguito giustificato l'incarico di
redigere, a nome dei Dodici, il Primo Vangelo Canonico?22
È un fatto che la scena di Mt 9,9, nella sua laconicità e a
motivo dell'omissione del nome proprio Levi, se rapportata a Mt 10,5,
dove Matteo viene posposto a Tommaso,23 con l'aggiunta di «il
pubblicano» (), sembra colorirsi, nella sua marginalità, di
una sfumatura autobiografica.24 L 'Evangelista tralascerebbe il proprio nome e
quello del padre25 per limitarsi, pieno di commozione e gratitudine, al
soprannome impostogli da Gesù e rimasto a lui tanto caro.26
L 'unanimità della Tradizione, vista nel contesto della
diffusione ed autorità unica goduta dal Primo Vangelo nei primi due secoli di
vita della Chiesa, ed avendo parimenti presente la marginalità della figura di
Matteo nella vicenda evangelica prima e poi nella storia dei primi tempi
cristiani,27 diventa una prova fortissima a favore della sua attendibilità
storica. Sarebbe stato, infatti, decisamente più comodo e redditizio attribuire
il Primo Vangelo a Pietro o a Giacomo o a qualche altra figura di primo piano
del cristianesimo primitivo.
Le difficoltà che Studiosi recenti e contemporanei
sogliono muovere a questa convinzione della Tradizione antica sembrano potersi
risolvere soddisfacentemente, se si tiene
presente:
-
il concetto di "autore" nel contesto
culturale dell'epoca;28
-
l'indole essenzialmente dottrinale e di compendio
organico (o pro-memoria) in funzione della predicazione e della vita liturgica
cristiana, e non già preminentemente di testimonianza storico-cronistica,
propria di Mt;
-
la sua collocazione in un contesto spazio-temporale,
in cui i testimoni oculari ed auricolari di Gesù e della sua attività
salvifica erano ancora numerosissimi ed autoritativi al massimo: il libro,
concepito principalmente come "sussidio di unità" ad utilità dei
responsabili della primitiva comunità cristiana in un particolare momento di
crisi, dà per scontata, o ben nota per altra parte, presso i suoi destinatari
primi la "cronaca" o vicenda storica di Gesù.
4. La lingua in cui fu
scritto il Vangelo di Mt torna
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Le più antiche
testimonianze che possediamo, risalenti ai secc. II e III d.Cr., sono concordi
nell'affermare che Matteo scrisse il suo Vangelo originariamente nella lingua
propria degli Ebrei.29 Dette testimonianze tuttavia non precisano se si
trattò di lingua ebraica in senso stretto (all'epoca ancora usata per
i libri sacri e liturgici, nella redazione della Mishnah, negli scritti di
Qumran, ecc.) o di lingua aramaica (all'epoca comunemente parlata dal
popolo). Fra gli Studiosi vi furono, e vi sono tutt' oggi, sostenitori di
entrambe le posizioni, anche perché i dati di soluzione del problema sono
suscettibili di diversa accentuazione (specie in rapporto alla finalità
dell'opera che intendeva fare Matteo). Pare tuttavia che l'opinione che ritiene
la lingua aramaica come quella usata originariamente da Matteo goda di maggiori
probabilità. Ed invero:
-
Nel N.T. la locuzione , usata da
Papìa, designa ovunque la lingua parlata
in Palestina a quel tempo, cioè l'aramaico;30 lo stesso si riscontra presso
Giuseppe Flavio, che, fra l'altro, compose originariamente in aramaico la sua
Guerra Giudaica.31
-
La predicazione di Gesù si svolse
sicuramente e prevalentemente in aramaico palestinese, per cui sembra più probabile che Matteo ne abbia fissato gli insegnamenti in detta
lingua. Non
si dimentichi che a quell'epoca, nelle riunioni sinagogali, si era costretti a
tradurre in aramaico i Libri Sacri.32
-
Nella redazione greca a noi giunta del
Vangelo di Mt sono stati conservati non tradotti alcuni termini che risultano
aramaici più che ebraici, come ad es. raka (5,22), mamônâs (6,24),
ôsannâ
(21,9), korbanâs (27,6); inoltre si riscontrano costruzioni tipicamente
aramaiche come ad es. in inizio di frase senza
che dette forme verbali siano precedute dalla congiunzione
o seguite
dall'avversativa ,33 l'uso pleonastico del participio
,34 ecc.
Resta da dire che le testimonianze antiche
circa la lingua originaria di Mt difficilmente possono essere tutte ricondotte a
quella di Papia.35 D'altra parte alcuni scrittori antichi (Ireneo, Girolamo,
Epifanio, ecc.) parlano dei Vangeli secondo gli Ebrei, degli Ebioniti, dei
Nazarei, esistenti ai loro tempi, come di Vangeli identici (o quasi) al
testo originario di Matteo. Pur inclinando gli Studiosi contemporanei a
considerare detti Vangeli come rimanipolazioni secondarie (apocrife) e
posteriori del Vangelo originario di Matteo,36 si tratta pur sempre di prova
(ovviamente indiretta) dell'attendibilità storica di dette testimonianze
antiche sopra esemplificate.
Detto Vangelo "aramaico" di Matteo sarebbe
stato soggetto alle vicissitudini delle chiese-comunità giudeo-cristiane dei
primi secoli, la cui conoscenza è tornata oggi di grande attualità ed
interesse. Dette chiese-comunità, proprio a motivo della "angustia"
della lingua e ancor più delle vicende storico-politiche che contrassegnarono
la Palestina di quei primi secoli di fede cristiana,37 finirono o col chiudersi
sempre più in se stesse, degenerando spesso in manifestazioni dottrinali e
soprattutto rituali superstiziose ed eretiche e per questo votate dal loro
stesso interno a progressivamente scomparire, o con l'essere soffocate e
assorbite dalle chiese-comunità di lingua greca sempre più fiorenti. Così
anche il testo "aramaico" di Matteo finì con l'andare perduto, senza
lasciare traccia, almeno per quanto riguarda la documentazione manoscritta
giunta a tutt'oggi fino a noi.
L'insieme delle testimonianze della Tradizione antica risulta
al riguardo in ogni caso talmente consistente ed imponente da costringere a
ritenere come del tutto arbitraria e gratuita la posizione di quegli Studiosi
che tendono a negare l'esistenza di un Vangelo "aramaico" di
Matteo.
5. Il testo greco di Mt
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Resta ovviamente la questione dell'attuale testo
greco di Mt e dei suoi rapporti con l'originale semitico. È un fatto che il
Vangelo greco di Matteo risulta scritto in una lingua talmente corretta e pulita
da indurre più di uno Studioso a ritenere che esso sia stato composto
originariamente in greco e che pertanto non abbia alla base un originale
semitico.
È parimenti un fatto che la Tradizione antica
conosce un unico testo greco di Mt, quello giunto fino a noi e considerato
come canonico dalla Chiesa;38 ne mai la Chiesa ha manifestato dubbi o
esitazioni circa la sua sostanziale fedeltà rispetto all'originale semitico.
Pur essendo quest'ultimo andato praticamente perduto nel corso dei primi secoli,
la Chiesa non ha mai accusato tale perdita come un qualcosa di irreparabile,
proprio perché ne possedeva la "versione" greca.
Tale dato di fatto porta a rivedere la traduzione ed
interpretazione che comunemente viene data della testimonianza di Papìa, vescovo
di Gerapoli nella Frigia Minore, riportata da Eusebio, Historia Ecclesiastica
3,39,16, quasi che essa affermi l'esistenza di molte versioni greche (sia
pure orali) imperfette del Mt semitico.39
Tenuto conto della terminologia propria di Papìa e di
Eusebio, che ci ha conservato detta testimonianza, la frase, purtroppo
giunta a noi staccata dal suo contesto più ampio e pertanto esposta a facile
fraintendimento, dovrebbe essere tradotta cosi: «Queste cose dunque sono
raccontate da Papìa a riguardo di Marco. A riguardo poi di Matteo queste cose
stanno dette [da Papìa]: Matteo dunque compose i detti [del Signore] in lingua
ebraica; ciascuno poi [degli Evangelisti] li redasse come era capace» .
Si tratterebbe cioè di una valutazione critica
conclusiva di Papia nei confronti del Vangelo di Marco40 rapportato al
Vangelo-tipo di Matteo. Egli sottolineerebbe come Marco, nello scrivere le cose
dette e fatte dal Signore,41 non si sia attenuto alla disposizione ordinata e
sistematica che si ha in Mt: ciò però non va ascritto a difetto o
trascuratezza di Marco, perché egli ebbe per scopo di riprodurre la catechesi
di Pietro. Ciascuno degli Evangelisti agi secondo le sue possibilità, e cioè
secondo il contesto in cui si trovò a scrivere: Marco e Luca al seguito
rispettivamente di Pietro e di Paolo, e quindi condizionati dalla catechesi di
questi e dal fatto di non essere stati testimoni oculari autoritativi o
Apostoli; Matteo invece in qualità di Apostolo, con l'autorità e le possibilità
che gli provenivano e dalla sua dignità "apostolica" e dal compito
che gli era stato conferito.
Per comodità
del lettore e per meglio dilucidare questa importante questione, sembra utile
soffermarci maggiormente nell'analisi della terminologia propria della
testimonianza di Papìa.
(sott.
oppure »
è espressione che non può venir limitata ai "detti del Signore" in
senso stretto, come vollero, soprattutto nel secolo scorso, alcuni Studiosi per
ulteriormente fondare nella Tradizione antica la pretesa pre-esistenza della Quelle
o "Fonte" (=teoria delle due "Fonti" per la soluzione
della questione sinottica). L' obbiettiva analisi filologica del contesto
esclude chiaramente una simile interpretazione. Il termine infatti riprende
brachilogicamente la più diffusa espressione usata in precedenza da Papia a
proposito di Marco: . Si
veda del resto il titolo dell'opera di Papia: ,
che, dalla descrizione frammentaria fattane da Eusebio, non
conteneva sicuramente solo "detti del Signore" in senso stretto.
, o la variante ,
ha, nella terminologia di Eusebio, il senso di compose, redasse: nello
scrivere un libro ci si deve preoccupare non solo della inventio materiae, ma
anche della sua dispositio e della elocutio: di qui i due termini
sinonimi.
: l' espressione è
stata recentemente interpretata da alcuni Studiosi come equivalente a «con
mentalità ebraica», riferendola non già alla lingua, ma al modo di
formulare i concetti e le tematiche, in opposizione alla mentalità greca.
Atteso il contesto storico offertoci dalla Tradizione in merito alla lingua
originaria di Mt ed anche atteso il significato di gran lunga più abituale del
termine , sembra difficile poter accogliere una simile proposta.
Essa mirerebbe a superare elegantemente la difficoltà derivante dalla
correttezza linguistica del Vangelo greco di Mt, per cui questo sembrerebbe
doversi considerare opera di getto e non già versione.
Detta difficoltà però si può ottimamente superare con
motivazioni più persuasive e fondate, come si cercherà d'illustrare in
seguito.
, nell'interpretazione proposta sopra,
dovrebbe riferirsi agli scrittori dei detti del Signore, e cioè agli
Evangelisti (in particolare a Matteo e a Marco) e non già ai supposti
traduttori del Vangelo di Matteo, di cui la Tradizione non ci ha conservato
traccia. Si tenga presente che nel greco "koiné" il duale è scomparso
quasi del tutto, per cui
potrebbe anche equivalere ad :
considerazione tuttavia non necessaria in questo contesto, dato che nel testo di
Eusebio in questione si parla anche almeno dell'Evangelista Giovanni, oltre che di
Matteo e di Marco.
, nella terminologia di Eusebio, vale,
prima e più ancora che tradurre da una lingua ad un'altra, tradurre
per scritto, e cioè trasferire la materia dalla sua manifestazione storica
alla sua fissazione per scritto tramite la composizione di un libro o documento.
In questo senso Marco viene detto "interprete" () di
Pietro, non già nel senso che egli tradusse in latino o in greco ciò che
Pietro andava esponendo in aramaico. Come ben si comprende, in quest'ultimo
caso, si sarebbe trattato di catechesi "impossibile", umanamente
parlando. Del resto, allorché uno fissa per iscritto un avvenimento, un
personaggio, un discorso, necessariamente finisce per "interpretarlo",
cioè per presentarlo dal suo angolo di visuale. È quanto appunto indica il
verbo .
Come
va spiegata allora l'indole letterariamente corretta del Vangelo greco di
Matteo? Lo si può comprendere in maniera adeguata e soddisfacente, se si
definisce con pertinenza la questione del luogo e della data di composizione di
detto Vangelo.
6. Luogo e data di composizione di Mt
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È attestazione costante ed unanime della Tradizione
antica che Matteo sia stato il primo degli Evangelisti a scrivere.
Così affermano ad es. gli Evangeliorum Prologi Vetustissimi,42
Ireneo (Adv. Haer. 3,1,2), Clemente Alessandrino (in Eusebio, Hist.
Eccl. 3,24,6), Origene (in Eusebio, Hist. Eccl. 6,25,4), Epifanio (Haer.
51,4,6), Girolamo (In Matthaeum, Prolog. ), ecc.43
Questo dato così imponente della Tradizione
non può essere né ignorato né sottovalutato, se si vuol restare
nell'obbiettività.44 Alle difficoltà e agli interrogativi che si presentano a noi ormai lontani nel tempo si deve cercare di dare
risposte che tengano conto adeguato di questo dato di fatto. Agire diversamente, ignorando cioè scientemente le attestazioni della Tradizione, è
cadere nell'arbitrarietà.
La critica cosiddetta indipendente, trattando della data di composizione
di Mt, si limita (o si sofferma) unicamente all'attuale Vangelo greco di Mt, dal
momento che l'originale semitico non ci è pervenuto (e da alcuni è
semplicemente negato) ed inclina a datarlo, per motivi d'analisi interna
dell'opera, negli anni successivi alla distruzione di Gerusalemme, o dal
70 al 75 d.Cr. (e cioè subito dopo tale fatto) o dal1'80 al 90 d.Cr. È questa
la posizione sostenuta dai più degli Studiosi, e accettata anche da vari
commentatori cattolici, per ciò che concerne il testo greco di Mt.45
Tale datazione assoluta, specie
se considerata in connessione con l'asserita dipendenza di Mt greco dai testi di
Mc e di Lc, non sembra facilmente concordabile con la presenza di Mt greco
nella letteratura cristiana dei primi due secoli, oltre che con le affermazioni
in merito della Tradizione. Merita pertanto decisamente più considerazione la
posizione di quegli Studiosi, cattolici e non (ad es. Godet, Zahn, Allen), che
datano Mt anteriormente alla distruzione di Gerusalemme, cioè prima del 70
d.Cr. È vero che detti Studiosi così affermano soprattutto in rapporto
all'originale semitico di Mt; ma, da quanto si dirà, riteniamo che gli
argomenti addotti possano considerarsi validi anche per il testo greco di Mt.
A questo punto le posizioni
si dividono in base all'interpretazione e alla preferenza o meno che si dà alla
testimonianza di lreneo (da cui sembrano dipendere numerose altre): c'è chi
pone la composizione di Mt fra il 61 e il 67 d.Cr. echi fra il 42 e il 44 d.Cr.46
Chi propone la data fra il 61
e il 67 d.Cr. fa perno sulla testimonianza di Ireneo,
interpretandone il genitivo assoluto come complemento di tempo: «mentre Pietro
e Paolo evangelizzavano e fondavano la Chiesa in Roma». Detta contemporaneità
dei due Apostoli aRoma, in base ai dati in nostro possesso, poté avvenire solo
in detti anni.
Chi propone la data fra il 42
e il 44 d.Cr. intende il genitivo assoluto d'lreneo in senso
comparativo e non già temporale: «a differenza di Pietro e Paolo che invece
evangelizzarono e fondarono la Chiesa di Roma», quella Chiesa cioè che «propter
potentiorem principalitatem» aveva un peso determinante nella decisione
delle questioni che riguardavano la vita e la fede cristiana; inoltre dà peso
anche alle altre affermazioni della Tradizione, secondo cui Matteo avrebbe
scritto il suo Vangelo prima di lasciare la Palestina per andare ad
evangelizzare altri popoli: il che sarebbe accaduto all'incirca 12 anni dopo la
morte del Signore, e cioè tra il 42 e il 44, durante il regno (e la
persecuzione) di Erode Agrippa I.
Poiché è questo, almeno così mi sembra, punto molto
importante ai fini dell'interpretazione di Mt, si ritiene opportuno riportare
per disteso almeno le principali testimonianze della Tradizione antica.
-
Eusebio, Historia Ecclesiastica 3,24,5-6:
In
questo capitolo 24 si tratta dell'ordine dei Vangeli e, fra l'altro, si dice: «Non
inesperti per vero dunque furono delle medesime cose [quelle riguardanti la
scienza del Regno dei Cieli, in cui Paolo si mostra addottrinatissimo] anche gli
altri discepoli del Salvatore nostro, i dodici Apostoli, i settanta discepoli,
altri numerosissimi oltre ad essi: nondimeno però fra tutti solo Matteo e
Giovanni ci hanno lasciato memorie delle conversazioni del Signore (
): i quali anche si racconta che per
necessità vennero alla scrittura. Matteo infatti, avendo dapprima predicato
agli Ebrei, allorché stava per andare anche agli altri, avendo affidato alla
scrittura con lingua patria il proprio Vangelo (), per il resto [del tempo] cercò
di supplire con la scrittura ()47 alla
propria presenza per costoro, da cui si allontanava».
-
Eusebio, Historia Ecclesiastica 5,18,14:
Riportando brani di Apollonio, scrittore antimontanista [circa 197 d.Cr.],
Eusebio, fra l'altro, scrive: «[Apollonio] dice poi ancora come [notizia
raccolta] dalla tradizione che il Salvatore aveva ingiunto ai suoi apostoli di
non allontanarsi da Gerusalemme per dodici anni».48
-
È in consonanza con questa notizia della Tradizione quell'altra che vuole
Pietro a Roma al principio dell'impero di Claudio (41-54 d.Cr.), e cioè in
stretta connessione con l'inciso di Atti 12,17: «e uscito se n'andò in altro
luogo», sicuramente fuori della Palestina, attese le circostanze.49
La
testimonianza di Ireneo, Adversus Haereses 3,1,1 (cf. MG 7,844), molto
importante anche ai fini dell'interpretazione della preistoria dei Vangeli
Canonici, suona:
«Posteaquam
surrexit Dominus noster a mortuis et induti sunt [Apostoli] supervenientis
Spiritus Sancti virtutem ex alto, de omnibus adimpleti sunt et habuerunt
perfectam agnitionem, exierunt in fines terrae ea, quae a Deo nobis bona sunt,
evangelizantes et coelestem pacem hominibus annuntiantes, qui quidem et ornnes
pariter et singuli eorum habentes Evangelium Dei.
Ita
Matthaeus in Hebraeis ipsorum lingua Scripturam edidit Evangelii, quum Petrus et
Paulus Romae evangelizarent et fundarent Ecclesiam. Post vero horum excessum
Marcus, discipulus et interpres Petri, et ipse quae a Petro annuntiata erant,
per scripta nobis tradidit. Et Lucas autem, sectator Pauli, quod ab illo
praedicabatur Evangelium in libro condidit. Postea et Ioannes, discipulus
Domini, qui et supra pectus eius recumbebat, et ipse edidit Evangelium Ephesi
Asiae commorans».
Fortunatamente
Eusebio, Historia Ecclesiastica 5,8,2-4, riporta l' originale greco della
testimonianza di Ireneo, consentendo così d'intendere più esattamente la
versione latina pervenutaci.
In
polemica con la posizione gnostica, il Vescovo di Lione e discepolo di S.
Policarpo, pertanto rappresentante quanto mai qualificato della Tradizione
genuina, rivendica il pieno possesso dell'Evangelo di Dio da parte degli
Apostoli, allorché si dedicarono alla missione evangelizzatrice mondiale. Detta
pienezza di dottrina poi poté essere ulteriormente trasmessa in modo sicuro
tramite i quattro Vangeli Canonici, considerati da Ireneo come autentici
pilastri e fondamento della fede cristiana. Così in particolare:
-
Matteo, trovandosi fra gli Ebrei (e cioè in
Palestina), non solo annunciò oralmente l'Evangelo di Dio, bensì lo mise anche
per scritto () nella lingua loro, e
cioè proprio in quella primordiale usata anche da Gesù, mentre invece Pietro e
Paolo (titolo di merito loro proprio!) evangelizzarono e fondarono in Roma
quella Chiesa che si distingue tuttora nel fissare la dottrina della fede «propter
potentiorem principalitatem», per cui ad essa ci si deve costantemente
rivolgere come a Chiesa-Guida. -
L 'insegnamento "evangelico" di Pietro e di
Paolo, da essi non fissato per scritto a differenza di quanto aveva fatto
Matteo, non andò perduto dopo la loro morte. Risulta infatti conservato per noi
tramite i Vangeli rispettivamente di Mc e di Lc:
. Si noti il perfetto
, indicante un' azione
compiuta nel passato il cui effetto perdura mentre Ireneo sta scrivendo. La
frase cioè non va riferita al momento in cui Marco scrisse il suo Vangelo,50
bensì ad una situazione perdurante fino al tempo d'Ireneo. Purtroppo le
versioni latine non potevano rendere la sfumatura (la Aktionsart) del
greco ed originarono così, involontariamente, il fraintedimento, quasi che
Ireneo, in contrasto con quanto asserito da altri Scrittori antichi, sostenesse
che Marco e Luca avessero composto i loro Vangeli solo dopo la dipartita
(e cioè la morte) di Pietro e di Paolo. -
In realtà, in base al contesto, ciò
che interessa ad Ireneo di affermare non è già la data di composizione di
detti Vangeli quanto piuttosto il fatto che essi ci assicurano a tutt'oggi la
genuina dottrina "evangelica" insegnata da Pietro e da Paolo. Infine l'apostolo Giovanni, scrivendo anch'egli il
Vangelo allorché si trovava in Asia, completò questa garanzia in maniera
conclusiva. Per Ireneo infatti i Vangeli non possono essere, in base alla
Tradizione genuina, ne più ne meno di quattro: «neque autem plura numero quam
haec sunt, neque rursus pauciora capit esse Evangelia» (Adversus Haereses 3,
Il,8).51
Le testimonianze della Tradizione antica sono
concordi nell'ambientare la composizione del Vangelo
di Mt in Palestina.52 Pertanto le affermazioni moderne, che tendono ad
ambientare detto scritto in Siria e più precisamente ad Antiochia o in qualche
altra città portuale della Fenicia o ad Alessandria, sono frutto di valutazioni
soggettive in base a considerazioni di critica interna, senza particolare
appoggio nella documentazione offerta dalla Tradizione antica.
Se si colloca la
composizione di Mt in Palestina fra il 42 e il 44 d. Cr., e
cioè agli inizi dell'impero di Claudio e nel momento culminante del regno di
Erode Agrippa I, si ha così almeno sembrerebbe una" situazione
vitale " ideale per comprendere sia la tematica dottrinale e
l'impostazione antigiudaica del Vangelo stesso sia il fatto che la Tradizione
antica conosca un unico testo greco o versione del medesimo.
Rimandiamo alle
apposite trattazioni per quanto concerne la situazione storica e le vicende di
Erode Agrippa I.53 Ciò che qui interessa sottolineare è lo zelo da lui
dimostrato per la religione e le istituzioni giudaiche sotto Caligola prima
(rischiando addirittura il favore dell'imperatore e la morte, in occasione della
questione della statua da erigersi nel Tempio di Gerusalemme) 54 e sotto Claudio
poi, e cioè dal 41 al 44 d.Cr. Fra l'altro, oltre a far rifiorire in Palestina
la pratica religiosa ufficiale, era riuscito a ricostituire progressivamente i
confini territoriali del "glorioso" regno di Davide.
Si può pertanto
comprendere la situazione di particolare angustia e disagio in cui venne a
trovarsi la comunità cristiana dal punto di vista sia dottrinale che di vita
vissuta.
Dal
punto di vista dottrinale, il rifiorire del Giudaismo ufficiale non poté non
creare sconcerto nell'ambiente della prima comunità cristiana, determinando in
più di uno dei suoi membri interrogativi ed esitazioni ed anche la tentazione
del ritorno alla pratica della Legge secondo l'indirizzo rabbinico. Ha inizio
proprio in questi anni, in seno alle comunità giudeocristiane di Palestina, la
polemica pro e contro la circoncisione e le altre usanze giudaiche, polemica che
troverà poi una soluzione autoritativa liberatrice qualche anno più tardi nel
concilio di Gerusalemme.
Dal punto di vista della vita vissuta, il Giudaismo
ufficiale poté scatenare, col favore di Erode Agrippa I, una persecuzione
violentissima contro i "cristiani", giungendo a colpire gli stessi
Dodici. Giacomo, il fratello di Giovanni, viene ucciso e gli altri Apostoli sono
costretti ad allontanarsi da Gerusalemme, a differenza di quanto era avvenuto
qualche anno prima, in occasione della lapidazione di Stefano (cf. Atti 12,1-23
rispetto ad 8,1e ss.).
In questo contesto Matteo compose il suo libro con
una finalità ben precisa; mettere in mano ai capi della comunità una
sintesi autoritativa del messaggio cristiano, che facesse "testo"
anche nel caso dell'assenza forzata dei Dodici. Di qui la tematica dottrinale
svolta, quanto mai organica, robusta e completa, tale da sottolineare ed
accentuare quei lineamenti che distinguono la comunità cristiana dal Giudaismo
ufficiale: la coscienza d'essere il "vero" Israele di Dio, la
"nuova" Chiesa staccatasi da quella "vecchia" ripudiata da
Gesù, d'essere inoltre portatrice d'un messaggio di salvezza destinato a tutti
i popoli,55 impegnata in una pratica integrale della Legge, osservata non solo o
non tanto esteriormente, ma dal di dentro, cioè come espressione dell'amore
verso Dio e conseguentemente anche verso il prossimo. Di qui ancora la
sottolineatura dell'avveramento pieno e totale dell'attesa messianica d'Israele
(contenuta sia nella tradizione o aspettativa popolare sia
nelle Scritture Sacre) nella vicenda di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio
fattosi Figlio dell'Uomo, l'Emmanuele: tema, questo, che permea tutto il libro e
che vuole essere di conferma della fede dei credenti, fede posta in crisi
dalla situazione storica sopra descritta. Di qui ancora, parallelamente, la denuncia aperta e cruda degli sbandamenti morali (più che
dottrinali) del
Giudaismo ufficiale, specie nella sua classe dirigente: «Lasciateli; sono
ciechi, guide di ciechi!» (Mt 15,14).
D'altra parte, come è facile costatare (e più di un
commentatore lo ha fatto anche notare), il Giudaismo ufficiale supposto da
Mt non sembra ancora essere quello tipico susseguente alla distruzione di
Gerusalemme e del Tempio, allorché prevale decisamente la corrente
farisaica con la scomparsa o quasi della componente sadducea o sacerdotale. In
Mt ci si trova di fronte ad un Giudaismo articolato nelle sue manifestazioni
più diverse, con divisioni e attriti fra le varie correnti (farisei e sadducei,
scuole rabbiniche, partiti politici, ecc.), qual è appunto il Giudaismo ai
tempi di Erode Agrippa I.
Da questo Giudaismo la comunità cristiana si sente sì
staccata, è già cioè diventata una "setta" ben delineata (:
cf. Atti 24,5), però ancora nell'ambito del
Giudaismo stesso, così come ve n'erano altre. Essa ha ormai le sue riunioni
proprie, distinte da quelle della sinagoga ufficiale (cf. Atti 5,12); però si
sente ancora intimamente legata alla Legge e al Giudaismo in quanto dottrina
teologica. Ben diverse sono la sensibilità e la terminologia del Vangelo di
Giovanni: ivi fra comunità cristiana e Giudaismo v'è già una separazione
profonda esplicitamente in atto, per cui gli avversari di Gesù sono
abitualmente indicati solo più come «i Giudei» ().
In altre parole, in Mt si sente implicitamente
riflessa la situazione della comunità cristiana così come è delineata nei
primi dodici capitoli del libro degli Atti degli Apostoli: una comunità pia
e fervorosa nella pratica "sana" del Giudaismo,56 organizzata
gerarchicamente sotto la guida di Pietro e dei Dodici, con
proprie riunioni liturgiche oltre a quelle ufficiali nel Tempio, in piena
libertà d'azione nei confronti delle Autorità costituite del Giudaismo
ufficiale, nonostante che queste ricorrano al carcere, alle percosse,
all'uccisione; una comunità però anche chiaramente aperta sul resto del mondo
e dei popoli.57
Dagli Atti degli Apostoli risulta chiaramente che la
comunità cristiana di Gerusalemme (e più ancora quella di Palestina) divenne
ben presto, se non lo fu fin dalle origini,58 una comunità bilingue, in
consonanza con la situazione storica propria della Palestina del tempo: in essa
si danno cristiani di lingua ebraica o aramaica e cristiani di lingua greca,
giudeocristiani ed ellenisti o greco-cristiani.59
Se Matteo scrive il suo Vangelo per una comunità così
composita, sembra logico ritenere che egli abbia tosto pensato ad una duplice
edizione della sua iniziativa: una in lingua aramaica (o ebraica) per
i giudeo-cristiani, la comunità ancora predominante numericamente e
soprattutto autoritativamente (cf. Gv. 4,22: salus ex Iudaeis!), ed una
in lingua greca per i greco-cristiani o ellenisti.
Questa supposizione trova un significativo parallelo nel
comportamento di Giuseppe Flavio. Egli dapprima compose la sua Guerra
Giudaica in lingua aramaica e poi ne curò l'edizione in lingua greca. L
'unica differenza starebbe nel fatto che, mentre Giuseppe Flavio interpose un
certo intervallo di tempo fra le due edizioni, per Matteo, attesa la situazione
storica e la finalità che si proponeva, le due edizioni furono quasi
contemporanee o immediatamente successive l'una all'altra. Ovviamente, come nel
caso di Giuseppe Flavio, le due edizioni tennero presenti i diversi destinataci,
introducendovi di conseguenza le dovute variazioni o adattamenti in consonanza
con la specifica "situazione vitale".
Una simile ipotesi consente di comprendere
adeguatamente:
-
sia il fatto che la comunità cristiana di lingua greca fin
dai primissimi tempi (e cioè fin dove giunge la documentazione in nostro
possesso) ha sempre e solo conosciuto un unico testo greco di Mt e lo ha
costantemente ritenuto come sacro e ispirato, non distinguendo minimamente
rispetto al testo degli altri tre Vangeli Canonici, che sappiamo composti originariamente in lingua greca: provenendo dall' Apostolo o,
almeno, godendo del
suo riconoscimento e della sua approvazione autoritativa, si comprende
facilmente come sia sempre stato così considerato ed accettato dalla comunità
cristiana, la quale per conseguenza meno si preoccupò della conservazione
dell' edizione semitica;60
-
sia il fatto di alcune tematiche ed argomentazioni
poggianti sul testo biblico greco dei LXX e proprie del testo biblico greco
dei LXX rispetto al testo ebraico: queste, quasi sicuramente, non si
trovavano nell'edizione aramaica (o ebraica) di Mt; tuttavia proprio perché risalenti, direttamente o indirettamente,
all' Apostolo, mantenevano tutto il
loro valore di testo ispirato e di Scrittura Sacra.
A questo proposito, soprattutto nell'ipotesi delineata,
va tenuto presente che il concetto di versione o traduzione è da
intendersi secondo i canoni di scuola e la mentalità del tempo. Nelle scuole di
grammatica e di retorica il "tradurre" da una lingua all'altra (ad es.
dal greco in latino) era uno degli esercizi fondamentali per allenare alla
composizione e il traduttore veniva istruito e stimolato non a tradurre
materialmente parola per parola, bensì a superare in perspicuità, concisione
e formulazione il testo che aveva fra mano.61 Qualcosa di simile fece
appunto Giuseppe Flavio nel curare l'edizione greca della sua Guerra
Giudaica, servendosi all'uopo di alcuni valenti collaboratori per la lingua
greca.62 Ora, nulla vieta di pensare che così abbia fatto anche l' Apostolo
Matteo per l'edizione greca del suo scritto, risultando così curata e corretta
dal punto di vista della grammatica e della lingua e soprattutto dal punto di
vista redazionale-retorico o formale. La materia trattata e la finalità del
libro meritavano ben un simile impegno!
Quanto proposto vuoI essere un'ipotesi di lavoro, che
tiene conto adeguato dei dati della Tradizione e risolve soddisfacentemente
le difficoltà o obbiezioni mosse dagli Studiosi moderni contro di essi; al
tempo stesso essa dà una risposta accettabile sia alla questione
dell'ispirazione del testo greco63 sia alla questione
sinottica.64
È un fatto che la Tradizione antica nulla ci ha
trasmesso circa l'autore dell'edizione greca di Mt, confermando così indirettamente l'ipotesi qui
proposta.65 Gli Studiosi che tendono a collocare il
testo greco (o la versione) di Mt verso 1'80 o il 90 d.Cr. non adducono neppure
essi argomenti positivi specifici, a prescindere dall'ipotetica soluzione da
essi proposta per la questione sinottica.
7. Destinatari, scopo, piano d'insieme e principali caratteristiche
dottrinali e letterarie di Mt torna
all'indice
Molto già è stato detto al riguardo in precedenza. Ecco
ora qualche ulteriore puntualizzazione.
7.1. La Tradizione antica presenta il Primo Vangelo come destinato
agli Ebrei convertiti al cristianesimo.66 Così ad es. si esprime Origene (Comm.
in Mt. I): «Intorno ai quattro Vangeli, che sono i soli ammessi senza
contestazione nella Chiesa di Dio che è sotto il cielo, ho appreso dalla
tradizione che il primo fu scritto da Matteo, prima pubblicano, poi Apostolo di
Gesù Cristo; che fu composto in lingua ebraica e destinato ai convertiti dal
giudaismo alla fede [cristiana]».67
Atteso quanto sopra si è proposto circa la data e il luogo di
composizione di Mt, tale affermazione va intesa non in senso esclusivo, quasi
che il libro sia stato destinato ai soli giudeo-cristiani con esclusione dei
cristiani provenienti dal paganesimo, bensì in senso assertivo o elativo, in
quanto la comunità cristiana, in quel determinato momento, era principalmente
costituita dalle comunità palestinesi, per cui Matteo scrisse per esse, né
poteva fare diversamente. In seguito la comunità cristiana si sarebbe
articolata maggiormente nelle sue componenti e così sono sorti anche i Vangeli
di Mc e di Lc, riflettenti, nella consonanza di fondo, sensibilità notevolmente diverse. Per i destinatari di Mc e di Lc e per la finalità
perseguita da
questi Evangelisti l'opera di Mt si rivelava meno adatta, presentando, fra
l'altro, sul piano catechetico non poche difficoltà di lettura, vista la sua
impostazione "iniziatica".
7.2. Quanto allo scopo principale perseguito da Matteo con il suo
scritto, la testimonianza antica più esplicita è quella di Eusebio, Historia
Ecclesiastica 3,24,5-6, riportata più sopra: supplire con lo scritto alla
propria presenza nel momento in cui le circostanze lo costringevano a lasciare
la Palestina, unitamente agli altri Apostoli, tra cui Pietro; offrire cioè una
sintesi autoritativa organica e nutrita della predicazione evangelica
(svoltasi fino ad allora solo oralmente), che potesse servire alle comunità
costituite come indiscusso punto di riferimento e di confronto (e cioè come
"libro sacro" o "canonico") per l'attività di annuncio e
di catechesi e per la vita liturgica.
L' analisi interna dell' opera conferma pienamente questa
prospettiva. Non si tratta infatti primariamente di scritto con finalità
storico-biografica,68 bensì di vero e proprio trattato dottrinale e
catechetico incentrato sulla figura e la missione di Gesù, riflettente,
nella sua ricchezza tematica e nella sua organicità e completezza, quella
"pienezza" di dottrina che fu propria dei Dodici, cresciuti alla
scuola di Gesù e da Lui resi «scribae docti in Regno Caelorum»:69 tutto ciò
ovviamente ambientato nel contesto della situazione storica e delle esigenze
di vita proprie dei destinataci immediati.
Di conseguenza la finalità apologetica, indubbiamente
la più appariscente ad una prima lettura, risulta, ad una più ponderata considerazione, chiaramente secondaria o marginale, subordinata cioè
alla finalità formativa, propria della catechesi. L'impostazione
polemica, e cioè la risposta adeguata alle obbiezioni e calunnie circolanti nel
Giudaismo ufficiale del tempo, rientra infatti anch'essa nella finalità
formativa di fondo perseguita dai responsabili della comunità: si trattava di
confermare sempre più nella fede i già credenti.70
Proprio questa constatazione di carattere
generale, unitamente ad alcune apparentemente "curiose"
caratteristiche di composizione denunciate dall'opera, di cui in parte si dirà
più avanti, porta a ritenere il Vangelo di Mt come un documento di fede
fondamentalmente destinato ai capi delle comunità cristiane di Palestina, a
coloro cioè che, in assenza degli Apostoli, avrebbero dovuto portarne la
responsabilità della guida e che pertanto erano già stati a ciò appositamente
preparati, attraverso un prolungato periodo di formazione o "iniziazione". Il Vangelo di Mt veniva affidato alle comunità
come il
Libro della Legge cristiana ed esso doveva essere custodito e spiegato ai
credenti da "dottori della Legge" a ciò appositamente preparati e
deputati.71
7.3. Una delle difficoltà maggiori per la datazione di
Mt negli anni 42-44 d.Cr. è rappresentata, per molti degli Studiosi moderni,
dal dettaglio di Mt 22,7 (il re che manda i suoi soldati a distruggere la città
degli invitati ribelli) e dalla vivezza e concretezza con cui viene
profeticamente descritto il castigo di Gerusalemme in Mt 24.
A parte il pregiudizio dottrinale soggiacente a tale
posizione, e cioè la negazione di principio della possibilità della
profezia, per una valutazione adeguata della difficoltà vanno tenuti presenti
due ordini di considerazioni:
-
l'uno d'indole filologica o culturale: trattandosi
di punire una città da parte di un re, all'epoca di Gesù, e cioè in quel
determinato ambiente culturale, risultano del tutto ovvie la descrizione e la
puntualizzazione di Mt sia in 22,7 che nel cap. 24;
-
l'altro d'indole storica: la Tradizione antica
ci testimonia che la primissima comunità cristiana si ritenne depositaria di
"profezie" fatte da Gesù ed affidate in particolare, quasi geloso
segreto, ai capi perché si sapessero regolare nel guidare i fedeli in quei
difficili inizi.72
Stante questo duplice ordine di considerazioni, la difficoltà prospettata non sembra insuperabile.
7.4. Quanto al piano d'insieme, e cioè alla
struttura formale e tematica che presiede alla materia contenuta nel libro,
gli Studiosi sono concordi nel riconoscere all'Evangelista una diligenza e
accuratezza eccezionali, usando all'uopo espressioni oltremodo lusinghiere.73
Allorché tuttavia essi
propongono concretamente quello che ritengono il piano o disegno d'insieme
perseguito dall'Evangelista, ecco che non si trovano più così concordi,
prestando gli uni maggior attenzione all'elemento storico-biografico (con
particolare riguardo alle mutazioni locali di Gesù) e rimanendo pertanto, a
nostro giudizio, ai margini della vera indole del libro; seguendo gli altri
principalmente la tematica dottrinale, ma con visioni diverse e soprattutto non
sufficientemente approfondite e suffragate da considerazioni d'indole
letteraria e formale.
Stante questa situazione,
mi limiterò a suggerire brevemente il piano d'insieme che sono venuto
maturando nei tanti anni di studio dedicati direttamente a questo Vangelo. Ci si
trova infatti di fronte ad un testo "poetico", costruito cioè
nel senso più ricco del termine, parola per parola, frase per frase, momento
logico per momento logico, pericope per pericope, articolazione per
articolazione, sezione per sezione, al punto da risultare nel suo insieme come
una vera unità organica, ben compaginata in tutte le sue parti. L 'Evangelista
nel fare ciò ha saputo ricorrere non solo alla più raffinata tecnica retorica, propria del mondo greco del suo tempo, ma anche alla specifica mentalità
e tecnica delle scuole rabbiniche dell'epoca.
Questo fatto ovviamente
condiziona alla base l'esegesi del testo. Infatti, solo dopo aver pazientemente
e diligentemente individuato la fisionomia formale del libro ed averne colto i
legami funzionali (sia letterari che tematici) con il restante contesto, si può
sperare di raggiungere con discreto fondamento l'effettivo messaggio
dottrinale affidato ad un determinato brano. Come più sopra si è già
anticipato, Mt è libro destinato e riservato agli "iniziati" nella
fede cristiana; in altre parole, per usare la felice terminologia ricorrente
nell' Epistolario di Seneca e Paolo, è libro «apocrifo» nel
senso originario del termine, cioè nascosto, difficilmente comprensibile ai
non iniziati.74 Nessuna meraviglia pertanto che con il passare del tempo e con la
conseguente trasformazione sociale vissuta dalla comunità cristiana,
trasformazione che comportò fra l'altro una progressiva semplificazione (ed
eliminazione) delle manifestazioni catechetiche formali esteriori proprie dell'
"iniziazione", il libro sia stato sempre più letto e spiegato
unicamente nella superficialità del suo dettato esteriore, con la
preoccupazione più di ricostruire con il suo aiuto la vicenda
storico-cronistica di Gesù, che non di perseguire la dottrina profonda e
"nascosta" che esso cela. Ci si limitò così sempre più a leggerne
superficialmente soltanto le righe, anziché il messaggio e la dottrina che si
cela dietro le righe. Ed è mia convinzione che tale situazione interpretativa
duri ancora tutt' oggi presso buona parte dei commenti anche di livello cosiddetto "scientifico".
Mi rendo conto della gravità dell'affermazione e sono
cosciente che essa andrebbe appoggiata con esemplificazioni concrete ben
precise. Qualcosa per verità ho già cercato di fare al riguardo con alcuni
contributi specifici;75 il più però resta sicuramente ancora da fare.
Il
piano dottrinale d'insieme, che mi sembra sottostare a Mt, risulterebbe
articolarsi come un grande chiasmo.76
Al centro,
punto di partenza e di confluenza di tutto il libro, andrebbe posto il brano di
Mt 4,12-16 ( «Gesù si stabilisce in Cafarnao [= il villaggio della
conversione!]»), che, tramite I'avveramento d'Isaia 8,23-9,1, presenta Gesù
nella sua totalità (persona ed opera), «luce grande» che illumina
tutti gli uomini, ebrei e gentili, vivi e morti.
Questo
tema di base, seguendo la legge della bipartizione della materia, si
svilupperebbe in due momenti fondamentali, e cioè chi sia Gesù (delineazione
sintetica, ma dottrinalmente completa, della fisionomia o personalità di Gesù,
tramite la materia contenuta in Mt 1,1-4,11) e che cosa ha fatto Gesù (illustrazione
dettagliata della sua opera salvifica, tramite la materia contenuta in Mt 4,17
-28,20).
Mt 1,1-4,11 (=
Chi sia Gesù) si bipartisce a sua volta in due tematiche complementari,
e cioè: chi sia Gesù rispetto all' economia vetero-testamentaria (argomento
svolto in Mt 1,1-2,23);77 chi sia Gesù rispetto all'economia
neo-testamentaria (argomento svolto in Mt 3,1-4,11).78
Mt 4,17-28,20 (= Che cosa ha fatto Gesù) si
bipartisce parimenti in due tematiche complementari, e cioè: la
proclamazione della Buona Novella del Regno dei Cieli, operata da Gesù
tramite la sua attività kerigmatica e taumaturgico-salvifica (argomento, come
ben si comprende, svolto molto diffusamente, attesa la finalità catechetica
del libro, in Mt 4,1725,46);79 l'attuazione della Buona Novella del Regno dei
Cieli, operata da Gesù tramite la sua attività redentrice: Passione, Morte e
Risurrezione (argomento illustrato in Mt 26,128,20).80
Ognuno di questi quattro grandi momenti, che
costituiscono come i vertici della struttura chiastica, risulta internamente
articolato ed elaborato in maniera mirabile fin nei minimi dettagli sotto
l'aspetto sia formale che contenutistico: libro, come si è detto, estremamente
denso e pertanto davvero di non facile lettura. Fra l'altro, le norme
redazionali proprie della struttura chiastica sono dall'Evangelista attentamente
osservate, confermando pertanto anche in questa manifestazione somma
l'inclinazione a detta figura retorica, così come i Commentatori ripetutamente
hanno messo in evidenza.81 Che si celi in quest'ammenicolo apparentemente
formale la lettura "crittografica" del termine «Cristo» (),
termine che informerebbe così tutta l'opera? È possibile, atteso l'interesse
che questa particolare figura retorica riceve anche in Mc e nella restante
letteratura neotestamentaria.82
7.5. Per quanto concerne le
caratteristiche dottrinali di Mt, trattazione per sé oltremodo impegnativa,
mi limito ad alcune considerazioni di fondo che ritengo particolarmente
significative.
Mt è, per definizione, come si è cercato di
documentare, il Vangelo delle origini cristiane. Ora l' "eresia"
cristiana, nei confronti del Giudaismo ufficiale, è stata soprattutto un fatto
di natura teologica. La rottura totale rivendicata da essa al punto da
considerarsi nuova Chiesa (cf. Mt 16,17) e nuovo Popolo di Dio (cf.
Mt 21,43), del tutto distinti e diversi dalla vecchia Chiesa e dal vecchio
Popolo d'Israele,83 si giustifica essenzialmente con motivi d'ordine dottrinale
e teologico, motivi che non si limitano ad una diversa valutazione ed
interpretazione del contenuto normativo della Legge,84 ma che raggiungono la
stessa concezione della Divinità. Proprio per questo il fatto
"cristiano" nella sua realtà oggettiva viene presentato come un
ripudio dei "sapienti" () e "prudenti"
()
ed un'elezione dei "bambini" () e dei "piccoli"
().85
È vero che Mt, pur non arrivando ancora alla cruda
affermazione di Gv 11,47ss,86 non manca di sottolineare le deformazioni morali e
conseguentemente i motivi d'ordine pratico e contingente che hanno portato alla
rottura ed al rifiuto di Gesù da parte dei Capi del Giudaismo;87 tuttavia dal
suo scritto emerge chiaramente il fatto che alla base del contrasto vi stanno
motivazioni d' ordine dottrinale.88 Tra queste la più grave e la determinante
è la "divinità" di Gesù, da Lui apertamente e ripetutamente
rivendicata: verità, questa, che urtava violentemente con la rigida concezione
monoteistica e spiritualistica della Divinità propria del Giudaismo del tempo.
L'insegnamento e il comportamento in merito di Gesù vennero dalle classi
intellettuali e dirigenti considerati "bestemmia" (cf. Mt 9,3;
26,65), manifestazione demoniaca (cf. Mt 9,34; 12,24).
Per comprendere un simile atteggiamento dottrinalmente
ostile nei confronti di Gesù e del fatto "cristiano" è bene aver
presente l'evoluzione denunciata dalla teologia rabbinica del tempo rispetto
alle concezioni precedenti, nel senso di una più accentuata
radicalizzazione della concezione monoteistica e spiritualistica della
Divinità. L'Ellenismo, anche se non ebbe nei confronti del Giudaismo
palestinese quegli influssi dottrinali che caratterizzano il Giudaismo della
Diaspora,89 non mancò di farsi sentire.90 In particolare, mentre per una parte
portò nei circoli rabbinici ad un atteggiamento di difesa e di diffidenza verso
la sapienza greca sempre più pronunciato fino a sfociare nell'isolamento che
caratterizza il Giudaismo negli anni dopo il 70,91 per l' altra fece
sì che
detti circoli rabbinici divenissero sensibili a certe esigenze della saggezza
greca e pertanto cercassero di ovviare ai rilievi critici da quella mossi nei
confronti della teologia da loro sostenuta, non esitando ad intervenire anche
drasticamente in materia.92
In questo contesto storico-dottrìnale sembrano rientrare
in particolare i seguenti fatti:
-
una certa revisione e purificazione dei Testi Sacri e
della stessa terminologia teologica, specie per ciò che riguarda gli
antropomorfismi attribuiti alla Divinità;93
-
una decisa attenuazione della dottrina delle ipostasi
divine, emergente invece in crescendo negli scritti del V.T. ;94
-
la svalutazione dei miracoli e dei segni, allorché
questi vengono addotti contro l'autorità dei "dottori", per cui la
"dottrina di scuola" viene posta sempre più al vertice di tutto il
sistema religioso quasi elemento intangibile ed inattaccabile.95
Un simile atteggiamento di superiorità e di
autosufficienza in campo dottrinale è, fra l'altro, ripetutamente sottolineato
nel Vangelo di Giovanni (cf. Gv 7,48-49; 9,24ss.; ecc.). Per cui si può ben
comprendere per una parte l'insistenza di Gesù sull'umiltà o, meglio,
sull'infanzia o semplicità spirituale per entrare nel Regno dei Cieli,96 e per
l'altra la situazione evangelica in cui Gesù è richiesto di un «segno dal
cielo}} dai Farisei e Sadducei (cf. Mt 12,38ss; 16,1ss.): ivi più che di prodigio
o miracolo si tratterebbe di richiesta di significazione o indicazione esplicita
da parte di Dio, quale ad es. si ebbe nella Teofania al Giordano o sul Monte
della Trasfigurazione,97 oppure in occasione del prodigio di Elia sul Monte
Carmelo.98
I discepoli di Gesù, e cioè i primi
"credenti", si presentano fondamentalmente come dei «testimoni». Essi
cioè hanno chiara coscienza dì essersi trovati di fronte a dei fatti tali
che non si potevano negare se non si voleva negare la luce del sole e che,
d'altra parte, comportavano il superamento della dottrina tradizionale. Proprio
perché sentono di dover accettare questi fatti senza doverci ragionare sopra
fino al punto di travisarli e di rinnegare le loro capacità conoscitive, essi
si considerano «bambini», «piccoli», «infanti». Questi fatti hanno
suscitato in loro un ovvio interrogativo: «Chi è mai costui?»,99
interrogativo ampiamente soddisfatto dal Cielo (cf. Mt 3,17; 17,5), dai demoni (cf.
Mt 8,29), soprattutto dall'entità stessa dei prodigi compiuti da Gesù. Questi
prodigi infatti non solo vengono visti come manifestazione di potenza, ma prima,
e più ancora, vengono interpretati in chiave di categorie bibliche. Gesù
agisce come agisce Iddio, secondo la dottrina del V.T.: con la sola parola (cf.
Mt 8,8) comanda ed è obbedito dalle malattie e dalla morte, dai demoni e dagli
elementi della natura, anche se scatenati contro l'uomo (cf. Mt 14,33); diventa
pertanto obbligata la conclusione: «Veramente Figlio di Dio sei!» ().
Detti fatti non solo portano all'interpretazione
"divina" della persona di Gesù, ma anche obbligano ad una revisione
totale dell'interpretazione delle Scritture Sacre. Questo secondo fatto fa sì
che i "credenti" non si sentano dei fedifraghi o degli spergiuri, bensì i veri figli della luce, il vero Israele di Dio. Proprio per questo, nel
diffondere e testimoniare la Buona Novella come un atto di obbedienza a Dio,100 essi
si preoccupano d'impostare il loro dialogo polemico con il Giudaismo ribelle
soprattutto sul terreno biblico. Se i Capi del Giudaismo rabbinico si
rifugiavano nelle Scritture Sacre per motivare il loro atteggiamento di ripudio,
essi insisteranno parimenti sulle Scritture Sacre per sottolinearne la piena
concordanza e consonanza con il fatto "cristiano". E questo
soprattutto circa i punti più critici e delicati dottrinalmente, quali appunto
la dottrina delle "ipostasi" nella Divinità101 e in particolare la
dottrina concernente la "divinità" di Gesù.
È in questo specifico e preciso contesto
storico-dottrinale che si colloca Mt, rivelandosi il suo autore un vero e
proprio rabbino "cristiano". Il libro infatti sembra inserirsi,
con la sua tematica dottrinale e con il modo tecnico con cui detta tematica
viene affrontata e formulata, nella ricca articolazione del Giudaismo del suo
tempo (che non è ancora quello degli anni dopo il 70!), anche se il massimo
risalto, nella polemica, viene dato all'indirizzo farisaico, che era del resto
il più sano ed equilibrato e quindi per certi aspetti anche il più vicino alle
posizioni cristiane.102
In particolare, nel delineare la dottrina su Dio, Mt
presenta per una parte evidenti consonanze con la teologia rabbinica palestinese
del tempo non solo quanto ai temi specifici trattati, ma anche quanto alla
sensibilità con cui detti temi vengono svolti e alla terminologia impiegata.103
Per altra parte, Mt si rivela libro totalmente "informato" dalla
dottrina "trinitaria" dal suo inizio fino al termine, e questo è
certamente il suo lineamento dottrinale più caratteristico e distintivo,
rispetto alla teologia rabbinica del tempo.
Questo lineamento dottrinale però esige d'essere
considerato non come un punto di arrivo, frutto di lungo ripensamento e
maturazione teologica e pertanto manifestazione o indice di data piuttosto
tardiva dello scritto, bensì come un punto di partenza, atteso il modo
con cui detta dottrina viene formulata. Essa invero è la conseguenza immediata
dei fatti storici di cui i primi credenti in Gesù erano stati testimoni
oculari. Contrariamente a quanto andava sostenendo la teologia rabbinica del
tempo, la Divinità si presentò alla loro esperienza protratta e riflessa come
articolata in "Trinità" e non rigidamente unica. Basti pensare a
quanto ci propongono i primi capitoli degli Atti degli Apostoli circa il
dono dello Spirito Santo relazionato a Gesù ed al Padre. Tale esperienza della
Divinità ebbe come come contraccolpo una diversa e nuova interpretazione delle
Scritture Sacre in materia. In particolare si constatò come esse fossero del
tutto consonanti con la realtà "divina" di cui erano stati testimoni.
Mentre la figura divina del Padre, costantemente
invisibile perché nei cieli, veniva a coincidere con la "tradizionale"
presentazione di , la figura divina del Figlio, e cioè di Gesù,
ricalcava e richiamava i lineamenti dell' Angelo di JHWH, il
personaggio misterioso che, nel Pentateuco, presentava le stesse caratteristiche
della Divinità fino ad essere intercambiato nel racconto con essa, e che aveva
esplicitamente il compito di fungere da intermediario tra JHWH invisibile e
gli uomini.104
Quest'identificazione, che trovava un indubbio appoggio
nella teologia rabbinica del tempo,105 aiuta, fra l'altro, a comprendere
l'impostazione data da Mt al discorso del monte: Gesù, l'Inviato, e cioè l'
Angelo di Dio, precisa "autoritativamente" il vero senso della Legge
data in precedenza da Dio ad Israele sul Sinai; di qui il Suo insegnamento «come
potestà avente e non [già soltanto] come i dottori» del tempo (Mt 7,29).
Quanto allo Spirito di JHWH. i credenti, testimoni
delle meraviglie continuamente compiute da Lui fra di loro, non avevano che da
continuare e sviluppare la dottrina vetero-testamentaria, accentuandone
l'individualità in rapporto al compito specifico svolto appunto dallo Spirito
Santo nella loro vita di credenti.
Proprio questa "novità" o "differenziazione"
nella dottrina concernente la Divinità costituì l'elemento distintivo dei
primi "cristiani" nei confronti del Giudaismo ufficiale contemporaneo:
più che ovvio pertanto che essa venga particolarmente sottolineata in Mt,
il Vangelo più vicino alle origini, e che in Mt 28, 19 la formula battesimale
"trinitaria" compaia quasi come riassunto o sintesi dell'intera Buona
Novella di salvezza. In seguito, con il suo diffondersi "mondiale" e
con il distacco sempre più accentuato fra la comunità cristiana e quella
giudaica, allorché la catechesi volgerà il suo interesse soprattutto
all'interno della stessa comunità "credente", ci si potrà anche
limitare ad una formulazione più essenziale e si potrà quindi anche parlare
semplicemente di battesimo «nel nome di Gesù», in quanto immediatamente
l'apostolo trae la sua ragion d'essere e la sua autorità da Lui.106
Nel contempo si passerà ad approfondire teologicamente o, per meglio dire, a
precisare terminologicamente i rapporti vigenti fra le tre "persone"
divine.107
Quali i testi "trinitari" di Mt? Credo
che si possano utilmente raggruppare in tre categorie:
-
testi che presentano esplicitamente la formula
"trinitaria" (M t 28,19);108
-
testi che presentano esplicitamente le tre
"persone" divine. in azione, senza che tuttavia venga sottolineato un
particolare nesso logico o sintattico fra le stesse (Mt 1,18-25; 3,16-17;
4,1-11; 5,1-7,29; 10,5-42; 12,17-21; 12,28-32; 17,18; ecc.);
-
testi che sembrano implicitamente contenere (o richiamare) la formula trinitaria
(Mt 10,24-25; 10,40-42; 23,8-10; 23,35).109
Per
alcuni di questi testi l'interpretazione "trinitaria" risulta chiara e
indiscussa; per altri si presenta apparentemente "cifrata", e cioè
proposta con un linguaggio riservato agli "iniziati", non percepibile
immediatamente dal lettore profano, e che pertanto può lasciar a tutta prima
perplesso e scettico chi si rifiutasse di mettersi preliminarmente in questa
prospettiva.
In
ogni caso va sottolineato che l'Evangelista, mentre sicuramente cura le sue
formulazioni in funzione della variatio retorica e cioè ai fini del
bello scrivere,110 sembra intenderle anche in funzione della
dottrina teologica "trinitaria" in se stessa considerata. Questa
pertanto risulterebbe già in Mt notevolmente ricca ed articolata, ovviamente
però formulata con terminologia "arcana" e cioè riservata agli
"iniziati". Ma, come già si accennò, è qui per noi giocoforza
concludere, servendoci delle parole (e, perché no?, del contesto!) di Ebrei 5,11
: «Attorno a questo argomento avremmo da farvi un discorso lungo e difficile da
interpretare».
1. L. ALGISI, Il Vangelo di S. Matteo, in: L. MORALDI
- St. LYONNET, Introduzione alla Bibbia, vol. IV: I Vangeli, Torino, Marietti 1960, p.159.
2. È presente solo nel Vangelo sconosciuto e, forse, in un passo del Pastore di Erma.
3. Solo Apollinare fa ciò, in uno dei frammenti pervenutici.
4. Per una documentazione sistematica e ragionata di quanto qui
affermato si veda E. MASSAUX, lnfluence de l'Évangile de saint Matthieu sur
la littérature chrétienne avant saint lrénée, Louvain-Gembloux, Duculot
1950, pp. xlvii+730. L'importante monografia è stata riedita nel 1986 come vol.
75 della Bibliotheca Ephem. Theol. Lovaniensium, con presentazione di F.
Neirynck e aggiornamento bibliografico dal 1950 al 1985 di H. Dehandschutter
(ed. Peeters, pp. xxvii-850). «Nel momento in cui sembra annunciarsi una nuova
discussione sull'influenza del Vangelo di Matteo, il libro di Massaux,
esaurito da molti anni, può ancora rendere il suo servizio. Vi si trova un
punto di vista chiaramente enunciato e documentato mediante un' analisi
esaustiva dei testi. La tesi essenziale del libro, una certa
preponderanza dell'influenza di Matteo, resta sempre valida. Massaux si
lascia guidare nella sua interpretazione da un principio di semplicità: una
fonte che "non ci è conosciuta" non l'attira punto. È questa, mi
sembra, una lezione da ritenere davanti alla molteplicità di fonti pre- para- e postsinottiche che
sono attualmente in circolazione» (F. NEIRYNCK, L'influence
de l'Évangile de Matthieu. À propos d'une réimpression, in «Ephemerides
Theologicae Lovanienses» 62 [1986] 403: traduzione e corsivi miei). La
ricerca di Massaux prescinde dagli Scritti Neotestamentari. Per completezza di
trattazione, l'influenza di Mt andrebbe studiata anche in questi scritti. Qui
però la questione si farebbe delicata e complicata a motivo della diversa
definizione, da parte degli Studiosi, delle coordinate spaziotemporali del
Vangelo greco di Mt.
5. Cf. in merito R. CORNELY - A. MERK, lntroductianis
in S. Scripturae Libros Compendium, vol. II: lntroductianis Specialis in singulas
Novi
Testamenti Libros, Parisiis, P. Lethielleux 101929, p. 645 per Mt;
pp. 660-661 per Mc; p. 678 per Lc.
6. Cf. L. ALGISI, ap. cit., p. 159.
7. Cf. l'origine di M c e di Lc in base ai dati fornitici dalla
Tradizione.
8. E pertanto fondamentalmente e preventivamente ben
istruiti anche
nella dottrina giudaica: conoscenza approfondita del testo biblico nella
sua forma ebraica (testo masoretico) e greca (testo dei LXX), del modo di
lettura e interpretazione del Testo Sacro proprio delle scuole rabbiniche del
tempo, della dottrina e casistica morale tipica dell'ambiente palestinese. Il
libro di Mt sottende chiaramente tutta una "metodologia" di scuola
sia per quanto concerne la sua impostazione d'insieme sia per quanto concerne l'
enucleazione o svolgimento delle singole trattazioni. Chi ignora o vuole
prescindere da questo caratteristico e decisamente impegnativo involucro
letterario, per altra parte notevolmente lontano dalla nostra attuale mentalità compositiva, rischia di restare
"fuori" dal messaggio dottrinale proprio del libro; e questo,
nonostante la migliore
buona volontà.
9. Si tratta della venuta qui in terra del Figlio di Dio,
l'incredibile "visita" di Dio ad Israele e all'umanità tutta!
10. Questo per convinta deferenza nei confronti della
materia illustrata, oltre che per chiare esigenze d'indole didattica e mnemonica.
11. Cf. M t 10,2-4; M c 3,16-19; Lc 6,13-16; Atti 1,13.
12. Cf. Stromata IV ,9: Ma 8,1281.
13. Cf Contra Celsum 1,62: Ma 11,773..
14. Cf. al riguardo G.G. GAMBA, Considerazioni
in margine alla redazione di Mc. 2,13-17, in «Divus Thomas» (Piacenza) 72
(1969) 212-215. Mt e Mc «descriverebbero lo stesso episodio
storico, riferendosi pertanto ad un unico personaggio, chiamato da Gesù al suo
seguito. Però in Mt la scena avrebbe, economicamente, anche il compito
di richiamare il tema di Gesù che vuole al suo fianco dei collaboratori e continuatori
nella predicazione del Regno dei Cieli, tema già enunciato in Mt 4,18-22 ed
esposto poi diffusamente in Mt 9,36 e ss. Si giustificherebbero così la
consonanza e il richiamo fra Mt 9,9 e Mt 10,3. In Mc invece la funzionalità
della scena rispetto all'economia dell'insieme è altra. In particolare Mc
intende illustrare mediante il quadro di 2,13-17 l' aspetto di novità e di
rottura, nei confronti della dottrina e della prassi tradizionale giudaica,
insito nell'interessamento di Gesù per tutti i peccatori, anche per quelli
appartenenti alle categorie moralmente più miserabili quali appunto erano
considerati i pubblicani. Di qui il mantenimento del nome originario del
chiamato (Leuín) e lo sganciamento completo della scena dal tema della
chiamata all' apostolato tramite la mancata segnalazione dell'identità di
personaggio fra Leuín di 2,14 e Maththaîon di 3,18» (p. 215).
Mc,
a partire dall'elenco dei Dodici, indica Simone sempre e solo con il
soprannome Pietro datogli da Gesù (cf. 3,16; 5,37; 8,29.32.33; 9,2.5;
10,28; 11,21; 13,3; 14,29.33.37.54.66.67. 70.72; 16,7), contrariamente a quanto
fa in precedenza (cf. 1,16.29.30. 36; 3,16). Che si tratti di artificio voluto
appare chiaro dalle parole dirette di Gesù in 14,37. Nulla pertanto impedisce
di pensare che Mc tenga un analogo comportamento nel caso di Levi (2,14)
- Matteo (3,18). Non ne sottolineerebbe l'equivalenza (come invece fa per
Simone Pietro in 3,16) a motivo sia della marginalità del personaggio nel
contesto della vicenda evangelica da lui narrata sia della sua dipendenza dai
precedenti elenchi di Mt 10,2-4 e Lc 6,13-16.
15. Si pensi al greco Teodoro e al latino Adeodato.
16. Cf. il nome del padre del profeta Giona: Giona
1,1; 2Re 14,25.
17. Cf. in italiano Domenico e Menico.
18. Cf. Simone-Pietro, Saulo-Paolo,
Giovanni-Marco,
Giuseppe-Barsabba (Giusto), Giuseppe-Barnaba,ecc.
19. Cf. Mt 1,16; 27,17.22 per Cristo; 4,18 e 10,2 per
Pietro; 26,3 per Caifa [Giuseppe]; 26,14 per Giuda Iscariota; 27,16 per Barabba;
26,33 per Gethsemani; 27,33 per Golgotha; 2,23 per Nazareth; inoltre 13,55 per
Maria.
20. Cf. il caso di Giacomo e Giovanni, soprannominati Boanerges
(= figli del tuono): si veda in merito Lc 9,51-56.
21. Cf. il caso di Simone-Pietro: si veda M t 16,13-20.
22. Sembra risentire ancora un'eco di simile etimologia
nelle parole di Tertulliano: «Ipse imprimis Matthaeus, fidelissimus Evangelii
commentator, ut comes Domini... ita exorsus est: Liber geniturae lesu Christi
etc.» (De carne Christi 22: ML 2,834).
23. Contrariamente a quanto si riscontra in Mc 3,18 e Lc
6,15.
24. Cf. la scena analoga di Mc 14,51-52: il giovanetto
che fugge «nudo».
25. Cf. M c 2,14: « e passando vide Levi il [figlio] di Alfeo...»).
26. «Jér[ôme] parait avoir touché juste au moins en partie: Caeteri evangelistae propter verecundiam et honorem
Matthaei,
noluerunt eum nomine appellare vulgato, sed dixerunt Levi: duplici quippe
vocabulo fuit. lpse autem Matthaeus... Matthaeum se et publicanum nominat, ut ostendat
legentibus, nullum debere salutem desperare...» (M.J. LAGRANGE, Évangile selon
saint Matthieu, Paris, Gabalda 1923, p. 181).
27. Tant'è vero che si stenta a comporre assieme le
notizie frammentarie e discordanti giunteci al riguardo: fu egli martire o no?
fu apostolo in Etiopia o in Persia? Com'è noto, la cattedrale di Salerno
conserverebbe le sue reliquie.
28. Esso non esclude, anzi piuttosto postula l'opera di
collaboratori, capaci anch'essi di tenere la penna in mano: cf. i casi di Paolo,
Giuseppe Flavio, Cicerone, ecc.
29. Cf. Papìa di Gerapoli:(EUSEBIO,
Historia Ecclesiastica 3,39,16); IRENEO, Adversus Haereses 3,1: «Matthaeus in
Hebraeis, ipsorum lingua, scripturam edidit Evangelii» (in EUSEBIO, Historia Ecclesiastica 5,8,2:...
...) EUSEBIO, Historia
Ecclesiastica 3,24,6: «Nam Matthaeus, cum Hebraeis primum fidem
praedicasset, inde ad alias quoque gentes profecturus, Evangelium suum patrio
sermone conscribens, id quod praesentiae suae adhuc superesse videbatur,
scripto illis, quos relinquebat, supplevit» (...
...);
5,10,3: «...Bartholomaeus, unus ex duodecim Apostolis, ...Evangelium
Matthaei hebraicis conscriptum litteris reliquerat; quod quidem ad praedicta
usque tempora servatum esse memoratur» (...
...); 6,25,4: «primum
scilicet Evangelium scriptum esse a Matthaeo, prius quidem publicano,
postea vero Apostolo Iesu Christi, qui illud hebraico sermone conscriptum
Iudaeis ad fidem conversis publicavit» (...
...)
30. Cf. Gv 5,2; 19,17;Atti 21,40; ecc.
31. Cf. Antichità Giudaiche 3,10,6; Guerra
Giudaica 5,4,2; 9,2; ecc.
32. Quanto alla questione se Gesù parlò ed
insegnò anche in greco - la Palestina era allora regione bilingue - cf. le trattazioni
apposite: ad : es. H. Ott, Um die Muttersprache Jesu. Forschungen seit Gustaf
Dalman, in «Novum Testamentum» 9 (1967) 1-25.
33. Cf. Mt 8,7; 16,15; 17,25; ecc. Questo
fatto grammaticale ricorre 17 volte in Mt, 1 in Mc, 2 in Lc.
34. Cf. Mt 13,28.46; 18,30; ecc. Per tutta la
questione degli "aramaismi di Mt" si veda ad es. J.M. LAGRANGE, Évangile selon saint
Matthieu, Paris, Gabalda 1923, pp. xc-cxii.
35. Cf. ad es. la testimonianza riportata da EUSEBIO, Historia Ecclesiastica 5,10,3 e riguardante Panteno (morto verso il 200
d.Cr.), fondatore della scuola esegetica di Alessandria e maestro di Clemente
Alessandrino. Questi «divina quadam aemulatione, Apostolorum accensus exemplo, studium suum ad incrementum divinae fidei conferre
volens... ad
Indos usque [probabilmente l' Arabia Felice] penetrasse dicitur ibique
Evangelium Matthaei, quod adventum ipsius iam praevenerat, apud quosdam
Christi notitia imbutos reperisse; quibus scilicet Bartholomaeus, unus ex
duodecim, olim praedicasse fertur et Evangelium Matthaei hebraicis litteris
conscriptum reliquisse; quod quidem ad praedicta usque tempora servatum esse
memoratur». Girolamo poi per parte sua aggiunge che Panteno avrebbe riportato
tale Vangelo ad Alessandria (De viris ill. 6: ML 23,651).
36. Non essendoci giunti se non pochissimi frammenti,
attraverso gli scrittori greci e latini, la questione resta purtroppo tuttora
piuttosto nel vago. In base all' analisi interna di Mt è mia persuasione che
dette denominazioni, all' origine, si riferissero tutte al Vangelo di Mt in
lingua aramaica: Vangelo secondo gli Ebrei, per indicare il Vangelo in
uso presso le comunità cristiane di Palestina di lingua aramaica, a differenza
di quello in uso presso le comunità cristiane di Palestina (e di fuori della
Palestina) di lingua greca; Vangelo degli Ebioniti o dei Nazarei, perché
queste erano le tipiche denominazioni dei "credenti", in uso
all'interno delle comunità, prima che, soprattutto in ambiente greco-romano,
prevalesse la denominazione, di origine peraltro molto probabilmente esterna, di
"cristiani". Si tenga presente al riguardo il rilievo dato in Mt sia
al termine (cf. Mt 2,23), da cui poi la versione-derivazione
greca per indicare i "credenti" (cf. Atti 9,13.32.41;
26,10; Rm 1, 7; 8,27; 12,13; 15,25.26; 16,2.15; ecc.), sia al termine
(in ebraico 'ebyônîm) come manifestazione comportamentale culminante dei
"credenti" (cf. Mt 5,1; 11,5; 19,21), concetto poi ripreso e
pastoralmente sviluppato, con esemplificazione in Gesù, da Paolo (cf. 2Cor 8,9:
«Voi conoscete infatti la grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, giacché per
noi egli si è fatto povero pur essendo ricco, affinché voi diventaste ricchi
per la sua povertà» ).
37. Dette comunità giudeo-cristiane di lingua aramaica,
presenti inizialmente anche e soprattutto nei grandi centri, proprio per
l' "angustia" della lingua e per le vicende storico-politiche si
ritrovarono progressivamente sempre più emarginate nei piccoli centri agricoli,
con conseguente impoverimento anche della preparazione dottrinale dei capi ad
esse preposti e dell'alimento di catechesi da loro offerto ai fedeli nelle
riunioni liturgiche settimanali. Di qui il rischio sempre più concreto dello
sbandamento nell'eresia e nelle pratiche superstiziose o magiche, tipiche di
certe sette di cui ci è stata conservata memoria.
38. Cf. al riguardo le citazioni letterali del Vangelo
riprodotte negli scritti dei primi due secoli e i documenti della tradizione
manoscritta del Vangelo stesso.
39....
La letteratura circa l'interpretazione di
questo testo, nel corso degli ultimi due secoli, è oltremodo nutrita: ci
dispensiamo dal riportarla, sia pure in estratto. Si vedano in merito le
trattazioni introduttive a Mt e le raccolte bibliografiche specializzate.
40. E probabilmente anche del Vangelo di Lc, al cui riguardo
però Eusebio non ci ha tramandato le parole esplicite di Papia.
41. E cioè «i detti del Signore», come si diceva
allora sinteticamente.
42. «Igitur cum iam descripta essent evangelia, per
Matthaeum quidem in Iudaea, per Marcum autem in Italia, [Lucas] sancto
instigante spiritu in Achaiae partibus hoc descripsit evangelium...».
43. Si veda l' ampia documentazione addotta al riguardo
in K. ALAND, Synopsis Quattuor Evangeliorum, Editio Octava, Stuttgart,
Wtirttembergische Bibelanstalt 1973, pp. 531 e ss. (Testimonia Parrum Vererum).
Nell'affermare questa priorità relativa di Mt, rispetto agli altri Vangeli
Canonici, la Tradizione non distingue fra testo originale semitico e testo
greco. Implicitamente sembrerebbe supporli contemporanei, non soffermandosi mai
a dettagliare come avvenne la redazione greca (a parte la controversa
testimonianza di Papia, su cui ci si è di proposito soffermati a lungo più
sopra).
44. In merito alla datazione relativa
dei quattro Vangeli Canonici nella Tradizione antica cf. G.G. GAMBA, La
disposizione «Matteo, Luca, Marco, Giovanni» nella Tradizione antica, in:
C. CASALE MARCHESELLI (ed.), Parola e Spirito. Studi in onore di Settimio
Cipriani, Brescia, Paideia Editrice 1982, vol. I, pp. 25-36.
45. I motivi addotti poggiano spesso
sul pregiudizio dell'impossibilità della profezia e di ogni elemento
soprannaturale. Più precisamente ci si rifà: all'inciso di Mt 22, 7;
all'indole del discorso escatologico, concepito in stretta connessione con la
distruzione di Gerusalemme; alla descrizione delle persecuzioni dei credenti;
alla diffusione "mondiale" della fede supposta dal libro; alla costituzione
gerarchica della Chiesa; ecc.
46. Alcuni pochi (ad es. H. HOPFL - B. GUT, lntroductionis in Sacros
Utriusque Testamenti Libros Compendium, Roma, ALCI 1938, vol. III, §
72) propongono la data fra il 50 e il 60 d.Cr.; ma è chiaramente soluzione di
compromesso, non basata sui dati della Tradizione.
47. Imperfetto di conato, da : riempire,
soddisfare, compiere.
48. . La notizia è riportata anche dal Kerygma
Petri (cf. CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata 6,5,43,3: MG 9,264), dagli
Actus Petri cum Simone c. 5 (LIPSIUS, Acta Apocrypha 1,49; L.
VOUAUX, Les Actes de Pierre 253), dagli Acta lohannis (ed. Th.
ZAHN, 3-4).
49. Cf. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica 2,14,6. Il
Chronicon, secondo il testo latino curato da Girolamo (ML 27,449-450), e
Girolamo stesso in De viris illustribus 1 (ML 23,637) precisano
addirittura l'anno 42 d.Cr.
50. In tal caso lreneo avrebbe usato l'aoristo.
51. Per un'illustrazione più ampia e documentata del testo di
Ireneo cf. G.G. GAMBA, La testimonianza di S. lreneo in Adversus
Haereses III,1,1 e la data di composizione dei quattro Vangeli Canonici, in
«Salesianum» 39 (1977) 545-585.
52. Cf. le testimonianze di Ireneo, Eusebio, Origene, Prologi
Vetustissimi, ecc.
53. Cf. ad es. U. HOLZMEISTER, Storia dei tempi del Nuovo Testamento, Torino, Marietti
1950, pp. 90-100.
54. Si leggano al
riguardo le pagine, veramente impressionanti, scritte da Filone nella Legatio
ad Caium: cf. ad es. l'edizione di A. PELLETIER, Legatio ad Caium.
Introduction, Traduction et Notes, Les Oeuvres de Philon d' Alexandrie 32,
Paris, ed. du Cerf 1972, §§ 261-348 (pp. 251-305).
55. È il tema universalista sviluppato in chiave
polemica contro il particolarismo o "segregazionismo" proprio del
Giudaismo.
56. Cf. Atti 21,20 e ss.: il rilievo dei capi
della comunità di Gerusalemme a Paolo proprio in merito a quest'aspetto
pratico, di vita vissuta.
57. Cf. nel libro degli Atti i discorsi di Pietro e
l'attività di divulgazione della Buona Novella in territori sempre più
lontani e sempre meno "giudei": Samaria, Cipro, Siria, ecc.
58. Cf. fra i Dodici i nomi "greci" di Andrea,
Filippo; inoltre Nicodemo (Gv 3,1) e quelli dei sette "diaconi"
(Atti 6,5). Riesce difficile immaginare questi ultimi come personaggi non della
prima ora!
59. Cf. l'affermazione di Atti 2,41 ( «e aderirono in
quel giorno circa tremila anime» ) rapportata al panorama
geografico-linguistico delineato in antecedenza (Atti 2,7-11); inoltre l'epopea
di Stefano in Atti 6,1-8,4.
60. Come del resto è poi avvenuto anche per l' opera di
Giuseppe Flavio.
61. Cf. al riguardo H. LAUSBERG, Handbuch der literarischen Rhetorik, Miinchen, M. Hiiber 1960, § 1098.
62. Cf. G: RICCIOTTI, Flavio Giuseppe. Lo
storico Giudeo-Romano, Torino, SEI 1937, pp. 53 ss.
63. Ricollegandolo con l' Apostolo, noi incliniamo per
l'ispirazione del testo greco di Mt, come del resto sembra costantemente
trasparire dall'uso fattone dalla Chiesa antica.
64. Si suggerisce infatti una soluzione in consonanza con
il comportamento dei primi scrittori cristiani. Chi infatti sostiene che Mt
greco dipende da Mc e da Lc deve poi spiegare il "silenzio" della
letteratura cristiana dei primi tre secoli nei confronti di Mc. Com'è possibile
un'inversione di rotta così radicale?
65. «Quod quis postea in Graecum transtulerit non satis certum est» (GIROLAMO, De viris illustribus 3: ML 23,643).
66. Cf. in K. ALAND, Synopsis Quattuor Evangeliorum, Stuttgart,
Wiirttembergische Bibelanstalt 1973, pp. 531 e ss. le testimonianze degli Evangeliorum
Prologi Vetustissimi, di Ireneo, Prologo Monarchiano, Origene, Eusebio,
oirolamo, ecc.
67. In EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, 6,25,4:
traduzione di G. DEL TON (Roma, Desclee 1964, p. 487).
68. Il Vangelo di Mt è però, in un certo senso, anche questo, in quanto
la figura di Gesù in esso delineata è figura "storica", il Figlio
dell'Uomo!, e la Buona Novella di salvezza si ritrova collocata in ben precise coordinate spazio-temporali.
69. Cf. Mt 13,52 e la testimonianza di Ireneo, Adversus
Haereses 3,1,1, riportata più sopra.
70. Preoccupazione rimasta costante sempre nei
responsabili di vertice della comunità cristiana: cf. Gv 20,30-31.
71. Rientrerebbe in questo contesto la figura del
"maestro" () cristiano, di cui si parla ad es. in Atti
13,1; 1Cor 12,28-29; Ef 4,11; 2Tim 1,11 ; Giac 3,1. Purtroppo le fonti a
nostra disposizione circa la vita ordinaria interna delle comunità cristiane di
Palestina in questi primi anni di vita sono estremamente scarne di informazioni
al riguardo.
72. Si legga al riguardo EUSEBIO, Historia
Ecclesiastica 3,5-7, per ciò che riguarda la distruzione di Gerusalemme.
In 3,5,2-3 ad es. si legge: «I Giudei, non paghi del delitto commesso contro il
Salvatore, dopo la Sua ascensione, avevano tramato insidie senza numero contro
gli Apostoli. Dapprima era stato lapidato Stefano, poi decapitato Giacomo, figlio di
Zebedeo, fratello di Giovanni, e infine trucidato l' altro Giacomo, che,
primo, dopo che il Signore salì al Cielo, occupò il seggio episcopale di
Gerusalemme... Gli altri Apostoli, senza tregua cercati a morte, espulsi dalla
Giudea si erano recati in mezzo alle nazioni di tutta la terra a predicare la
dottrina evangelica, forti della potenza di Cristo, che loro aveva detto:
"Andate a istruire tutte le genti nel nome mio". Il popolo della
Chiesa di Gerusalemme, per mezzo di un vaticinio rivelato ad alcune persone
ragguardevoli di quella Chiesa, aveva ricevuto l'avvertimento di emigrare di là
prima che scoppiasse la guerra, e di trasferirsi in un paese della Perea,
chiamato Pella. E difatti, abbandonata Gerusalemme, i fedeli di Cristo si
erano rifugiati nel luogo indicato, e così la capitale regia della Giudea e la
regione tutta erano rimaste deserte e prive dei Santi. Allora la divina
vendetta scese su quegli empi...» (traduzione di G. DEL TON, Roma, Desclée
1964, p.158). Cf. del resto anche Mt 24,15 «chi legge comprenda!»: inciso
che sa di segreto confidato); Gv 21,20-23; ecc. Si tratta di un dettaglio di
vita che non stupisce punto chi è al corrente della vita della Chiesa: il
carisma della profezia, come quello del miracolo, è insito e connaturale alla
sua vicenda storica.
73. Così ad es. H. SIMON - G.G. DORADO, Praelectiones
Biblicae ad usum scholarum -Novum Testamentum, voi. I: lntroductio et
commentarius in quattuor lesu Christi Evangelia, Torino, Marietti 1951,§
40: «Primum Evangelium magna exaratum est diligentia atque accuratissime
dispositum, et, quacumque ex parte illud respicias, ad scopum ab auctore
intentum recta vergit»; Th. ZAHN, Einleitung in das Neue Testament, Leipzig,
A. Deichert 1907, voI. II, p. 292: «Con riguardo alla grandiosità della
concezione e alla padronanza di una materia potente tramite tematiche
significative non s'incontra nei due Testamenti alcun altro scritto di carattere
storico simile a Mt; sotto questo punto di vista non saprei giustapporgli
alcunché anche nella restante letteratura dell'antichità» (traduzione mia).
74. Cf. E. FRANCESCHINI, È veramente apocrifo
l'epistolario Seneca S. Paolo?, in: UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMA -
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA (ed.), Letterature comparate. Problemi e
metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, Bologna, Patron 1981, vol. II, p.
832: «Seneca Paulo salutem. Credo tibi, Paule, nuntiatum quod heri cum
Lucilio nostro de apocrifis et aliis rebus habuerimus».
75. Cf. ad es. G.G. GAMBA, Annotazioni in margine alla
struttura letteraria ed al significato dottrinale di Matteo 1-2, in «Bibbia
e Oriente» 11 (1969) 5-24.6576.109-123; Struttura e significato funzionale di Mt 3,1-4, in «Salesianum» 31 (1969) 234-264; Gesù si
stabilisce a Cafarnao. Annotazioni in margine alla struttura letteraria ed al
significato dottrinale e.funzionale di Mt 4,12-16 ed al piano d'insieme
del Vangelo di Matteo, in «Bibbia e Oriente» 16 (1974) 109-132; La «eunuchia»
per il Regno dei Cieli. Annotazioni in margine a Matteo 19,10-12, in «Salesianum» 42 (1980) 243-287; La Passione di Gesù in Matteo (1);
Considerazioni in margine alla struttura letteraria ed al significato
dottrinale di Matteo 27,27-56, in «Bibbia e
Oriente» 13 (1971) 159-189 (studio rimasto purtroppo a tutt'oggi da completare
per situazioni concrete di vita, anche se già per buona parte portato avanti in
prima stesura); «Al monte, ove Gesù aveva dato loro i comandamenti» (Mt 28,16),
in: G. BUCCELLATI (ed.), Studi sull'Oriente e la Bibbia offerti al P. Giovanni
Rinaldi nel 60° compleanno da allievi, colleghi, amici, Genova, ed. Studio
e Vita 1967, pp. 349-360; In margine all'auteticità di Mt 28,19, in «Salesianum»
26 (1964) 463-474.
76. Cf 10 schema grafico proposto nel contributo: Gesù
si stabilisce a Cafarnao, sopra citato ed edito in «Bibbia e Oriente» 16
(1974) 128.
77. Mt
approfitta dei primi due capitoli del suo libro per presentare Gesù come il Sì
di Dio Padre: tutte le promesse fatte da Dio ad Israele (e all'umanità)
e contenute sia nell'attesa popolare (Mt 1,1-17) sia nelle profezie d'indole
letterale e tipica proprie delle Scritture Sacre (Legge, Profeti e Salmi) (Mt
1,18-2,23) in Gesù sono diventate «Sì», si sono cioè pienamente avverate:
cf. l'enunciato dottrinale di 2Cor 1,19-20.
78. Mt sfrutta
lo sviluppo di 3,1-12 per sottolineare come Gesù, ovviamente perché Emmanuele
e cioè Dio-con-noi (cf. 1,23), vada riguardato come Signore ()
sia nell'attuale periodo di grazia o di possibilità di conversione (vv. 1-4)
sia nel momento della consumazione del secolo presente, allorché Egli tradurrà
in atto il giusto giudizio divino sull'umanità tutta (vv. 5-12); sfrutta invece
lo sviluppo di 3,13-4,11 per sottolineare come Gesù, ovviamente perché nato
da donna (cf. 1,18-15) e pertanto Figlio dell'Uomo (cf. 9,6; ecc.),
vada considerato quale nuovo e vero Adamo, primogenito fra molti fratelli,
primizia e causa esemplare della nostra salvezza sia in rapporto al Cielo
(3,13-17) che a Satana (4,1-11).
79. La struttura logica di questa ampia sezione trova la sua chiave
d'interpretazione in Mt 13,1-52 (= la giornata delle parabole), sviluppo
destinato dall'Evangelista ad illustrare il "mistero" del Regno dei
Cieli nelle sue tre fasi di semina (vv. 1-23), crescita (vv. 24-35) e
consumazione (vv. 36-52). Quanto ivi è presentato in maniera teorica e con
linguaggio figurato, viene illustrato "paradigmaticamente" nella
sezione con materiale storico-biografico ricavato dall'attività
"evangelica" di Gesù. Pertanto in Mt 4,17-13,52 viene presentata la
fase della "semina": proclamazione della Buona Novella del Regno
dei Cieli compiuta da Gesù direttamente con il suo insegnamento corroborato
dalla sua attività taumaturgico-salvifica e mediatamente con l'invio dei Dodici
Apostoli (4,17-10,42); accoglienza malevola e benevola riservata dagli uomini (Israele in particolare) a detta proclamazione con
conseguente :
reazione negativa e positiva di Gesù (11,1-12,50); commento illustrativo e
giustificativo della realtà "storica" precedentemente descritta ed
introduzione o anticipazione teorica, "in parabole", degli avvenimenti
che seguiranno (13,1-52). In Mt 13,53-23,39 viene presentata la fase della
"crescita" del mistero del Regno dei Cieli: inutilità della
vecchia Chiesa d'Israele con conseguente suo abbandono da parte di Gesù
(13,53-16,12); istituzione della nuova Chiesa di Gesù, gerarchicamente
organizzata con al vertice Pietro (16,13-17,27), regolata all' interno dal
vincolo della carità concretamente concepita (18,1-35), con caratteristiche
ascetico-morali che ne contraddistinguono i membri, destinati ad essere
cittadini del Regno dei Cieli ed eredi della vita eterna (19,1-20,28); ripudio e
condanna pronunciata da Gesù Re-Messia nei confronti della vecchia Chiesa
d'Israele impersonata nei suoi capi ed in Gerusalemme, la capitale
(20,29-23,39). In Mt 24,1-25,46 infine viene illustrata paradigmaticamente, con
parole di Gesù (= discorso escatologico), il mistero del Regno dei Cieli
nella sua fase finale o di consumazione qui in terra (fine del secolo
presente ed inizio del secolo venturo con conseguente premio degli eletti e
castigo dei reprobi).
80. La struttura di questa sezione sembra rispecchiare i
tre temi linearmente proposti nella seconda profezia della Passione (Mt 17,22-23), e cioè il tradimento (Mt 26,1-56), sviluppo sfruttato per
sottolineare il divino e l'umano (cioè il contenuto teologico) nei fatti della
Passione (cf 1Cor 1,23-24); la condanna a morte (Mt 26,57-27,56),
commossa rievocazione-meditazione dell'amore portato da Dio Padre e dal Figlio
di Dio agli uomini, nonostante la loro malizia e cattiveria senza limiti (cf. Gv
3,16); la risurrezione da morte (Mt 27,57-28,20), conclusione del libro
e giustificazione della situazione "cristiana" al tempo
dell'Evangelista.
81. Per l'illustrazione dettagliata di quest'affermazione
rimando al mio studio: Gesù si stabilisce a Cafarnao, edito in «Bibbia
e Oriente» 16 (1974) 109-132, soprattutto pp. 128-132.
82. In merito al termine chiasmo cf. H. LAUSBERG, Handbuch
der literarischen Rhetorik, München, M. Hüber 1960, § 723n.
83. Cf. la fortissima affermazione di Gesù in Mt 15,13-14: «Ogni
pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.
Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi...».
84. È questo il tema preminente degli sviluppi di Mt
5-7; 15,1-20; 23; ecc.
85. Cf. Mt 11,25-26; inoltre l'insistenza sulla necessità
di farsi "piccoli" per poter entrare nel Regno dei Cieli (Mt 18,3;
19,14) e sulla designazione dei discepoli di Gesù come "piccoli" (Mt
10,42; 18,6.10.14).
86. Ivi il ripudio e l'eliminazione di Gesù da parte dei
Capi del Giudaismo vengono motivati con la preoccupazione di salvare il proprio
potere da parte del Sommo Sacerdote.
87. Cf. in particolare Mt 21,23ss.; 23; 28,11-15; e
soprattutto la parabola dei vignaioli perfidi: Mt 21,33-46.
88. Cf. l'intera impostazione del discorso del monte con l'annotazione
conclusiva: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i
loro scribi» (Mt 7,29); inoltre la disputa di Mt 15,1-20; ecc.
89. Si pensi alla produzione letteraria e
filosofico-teologica di Filone, dello Pseudo-Aristea e degli altri scrittori
giudeo-alessandrini.
90. Cf. al riguardo J. BONSIRVEN, Le Judaisme Palestinien au
temps
de Jesus-Christ. Sa théologie, Paris, Beauchesne 1935, vol. I, pp. 35-41. i
91. Tendenza, questa, iniziata già dal tempo dei Maccabei.
92. Cf. J. BONSIRVEN, op.cit., vol. I, p. 40.
93. Cf. J. BONSIRVEN, op.cit., vol. I, pp. 146-148.
94. Cf. J. BONSIRVEN, op.cit., vol. I, pp.
213-218.
95. Cf. J. BONSIRVEN, op.cit., vol. I, p. 186.
96. I «sapienti» ed i «prudenti» di per se avrebbero la
"chiave" del Regno dei Cieli; ma essi né vi entrano né lasciano
entrare: cf. Mt 23,13.
97. Partecipata però solo ad alcuni testimoni privilegiati e
preordinati: Giovanni Battista e i tre Apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.
98. Cf. 1Re 18,36-40. Il miracolo, in quanto manifestazione di
potenza, in Mt viene indicato piuttosto con il termine(cf. Mt
24,24), cioè «prodigio, portento, fatto meraviglioso».
99. Cf. Mt 8,27: «Qual mai è costui, che e i venti e il mare a lui
obbediscono?».
100. Cf. Atti 5,29: «Obbedire bisogna a Dio piuttosto
che agli uomini».
101. Ovviamente al tempo di Mt non è già questione di
terminologia filosofico-teologica vera e propria (come avverrà invece nei
secoli successivi), bensì unicamente di sostanza, di "lettura" o
interpretazione oggettiva dei fatti storici di cui gli Apostoli, a fianco di
Gesù, erano stati testimoni. I termini «ipostasi», «persona», ecc., sono
pertanto qui usati solo per comodità di discorso.
102. Cf. la tesi di fondo o, per meglio dire,
l'impostazione dell'opera A Teofilo di Luca.
103. L'illustrazione di quest'affermazione comporterebbe
un lungo discorso, che non può purtroppo essere qui affrontato.
104. Cf. La Sainte Bible [de Jerusalem], Paris, ed. du Cerf 1956, p. § 22.
105. Cf. in particolare la concezione circa il modo con
cui avvenne la consegna della Legge ad Israele sul Sinai: tramite l' Angelo di JHWH
(cf. Atti 7,53).
106. Cf. le formule battesimali del libro degli Atti degli
Apostoli, libro che cronologicamente si colloca ad almeno una quindicina di
anni dopo e che ha la sua "tradizionale" origine in Grecia (Acaia):
pertanto con coordinate spazio-temporali notevolmente diverse e con una
cristianità più "cresciuta" e diversificata.
107. Cf. in particolare l'Epistolario paolino e gli
scritti giovannei. Ovviamente la dottrina "trinitaria" come tale, nel
suo nucleo essenziale, in tutti gli scritti del N.T., e pertanto anche in Mt,
viene fatta risalire a Gesù.
108. Cf. G.G. GAMBA, In margine all'autenticità di
Mt.28,I9, in «Salesianum» 26 (1964) 463-474.
109. È questa, sicuramente, una delle manifestazioni dottrinalmente più
interessanti del linguaggio "apocrifo", e cioè segreto,
crittografico, riservato agli "iniziati" del Vangelo di Mt.
110.
In merito alle molteplici manifestazioni retoriche del variare, variatio,
varietas, varius, cf. H. LAUSBERG, Handbuch der literarischen Rhetorik, München,
M. Hüber 1960, voI. Il, p. 835.
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[Fonte: "Tra giudaismo e
cristianesimo" a cura di Andrzej Strus, Libreria Ateneo Salesiano, Roma
1995]
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