Israele, crogiolo della
storia
Rosangela Vegetti, giornalista milanese, al
rientro da un viaggio in Terra Santa chiamato “Cammino ecumenico di pace
a Gerusalemme” ha scritto il libro “Dove la pace sembra impossibile.
Semi e segni di speranza in Terra Santa”, Ed Ancora.
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I cristiani, in Israele,
sono ormai poco più dell'1% della popolazione |
La scrittrice, autrice di
altri libri come “Il sorriso di Maria”, ha affermato che la Terra
Santa è la terra su cui si gioca tutto nel bene e nel male, “proprio
perché non è un ‘terra qualunque’, ma il crogiolo di tutta la
storia, dove l’umanità si incontra e si scontra con la storia di
Dio”.
“Quel lembo di terra, promessa da Dio al suo popolo, che Mosè poté
solo vedere dal monte Nebo senza poterla calpestare, alla fine del lungo
peregrinare del popolo d’Israele liberato dalla schiavitù
dell’Egitto, rimane la terra della promessa di Dio”, ha osservato.
“Sarà Terra Santa fino al compimento del tempo e solo allora l’umanità
vi troverà pace e dovizia di frutti per tutti – ha aggiunto –. La
Gerusalemme terrena ricorda e richiama la promessa di Dio della
Gerusalemme celeste. Promessa di salvezza e della venuta del Messia per
l’ebraismo, pienezza del Regno di Dio per il cristianesimo, porta verso
il Cielo per l’Islam”.
Una terra “così carica di significati eterni” per le tre religioni
monoteiste che si rifanno al Patriarca Abramo è, “da sempre, anche
terra delle grandi contraddizioni umane: violenze, ingiustizie, crudeltà,
prepotenza”, ha affermato la Vegetti.
Sia in Israele che nei Territori dell’Autonomia palestinese, infatti,
“la gente soffre questo tempo di conflitto, di terrorismo, di continua
violenza. Troppo spesso le informazioni mediatiche forniscono
un’immagine di gente assuefatta alla guerra. Ma così non è”.
Secondo la giornalista, c’è la consapevolezza di dover combattere
“prima di tutto contro la cultura della violenza, di dover superare i
pregiudizi degli uni verso gli altri: non ogni palestinese è un
terrorista kamikaze , non ogni israeliano è pronto a uccidere un
palestinese perché palestinese”.
Da qui nascono i vari tentativi di creare “canali di conoscenza, di
comunicazione reciproca, di cooperazione, al di là e al di fuori delle
strategie politiche”, ha constatato a ZENIT.
“Questa terra è un laboratorio di esperienze di dialogo interreligioso
e multiculturale, tutto da conoscere”.
La Vegetti, che ha partecipato al Cammino ecumenico di pace a Gerusalemme
insieme al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, ha affermato che è
difficile parlare di ottimismo, “perché le soluzioni politiche e
militari in tempi brevi ancora sono fragili e piuttosto
contraddittorie”, così come mancano “prese di posizione radicali di
incontro e di volontà di pace, al di là delle minoranze fondamentaliste”.
Dal suo punto di vista, tuttavia, c’è “un bagliore nuovo” nella
vita delle persone, “più consapevoli che la complessità dei problemi
non potrà venir risolta dai soli strumenti della politica, ma che tutti
dovranno trovare delle misure di convivenza diverse”.
C’è poi la necessità di conciliazione interna, un problema che
riguarda sia gli israeliani che i palestinesi.
“Entro la stessa società israeliana le diversità sono tali che
bisognerà costruire una pace interna tra gli ebrei più tradizionalisti e
gli ultimi arrivati dall’Est europeo, e pure con le frotte di lavoratori
immigrati asiatici: uno Stato da ristabilire su basi multirazziali e
multireligiose”, ha affermato la giornalista parlando dello Stato
ebraico.
Quanto ai palestinesi, “solo il superamento delle divisioni ancora
familiari-tribali al loro interno potrà consentire la costruzione di uno
stato unitario democratico, e per inserirsi nel mondo della
globalizzazione sarà necessaria la piena collaborazione anche con il
fronte israeliano”.
“Il costo – ha osservato – potrebbe essere una sorta di
‘suicidio’ nazionale, di riduzione al solo terrorismo senza orizzonti
di futuro”.
Per ciò che riguarda l’azione della Chiesa cattolica, la Vegetti ha
ricordato come questa esorti i suoi fedeli a riprendere la vie del
pellegrinaggio in Terra Santa superando paure e insicurezze.
“Effettivamente c’è il rischio che i cristiani vadano a scomparire
proprio nella terra di Gesù Cristo”, è la preoccupante constatazione
della giornalista. “Infatti, la maggioranza dei cristiani è di origine
palestinese, e sempre più spinta ad emigrare per poter sopravvivere e
garantire futuro ai propri figli”.
“Ormai i cristiani in Terra Santa sono poco più dell’1%; fra poco
saranno solo ‘custodi di musei’, come tristemente dicono i testimoni
ancora residenti in quella terra”.
Di fronte a questa situazione, è ovvia “la responsabilità di farsi
carico da parte di tutte le Chiese di tanti disagi e difficoltà dei
cristiani di Terra Santa. I pellegrinaggi sono un modo importante per
toccare con mano la situazione e per farsi prossimi a quanti faticano e
soffrono, purchè non si pensi che basti toccare pietre e reliquie, per
incontrare oggi il Cristo sulle vie di Giudea, Galilea e Samaria”.
“Con il mio libro ho voluto indicare alcuni spunti ai futuri pellegrini
perché possano allargare il loro campo di osservazione e farsi
protagonisti di incontri più ravvicinati con la storia di persone e di
popoli di oggi e di ieri – ha concluso la giornalista –. Ogni aiuto di
solidarietà, per ogni forma di condivisione, parte da una maggior
conoscenza dei fatti e delle prospettive di vita delle persone che ne sono
coinvolte”.
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[Fonte: Zenit.org 30 agosto 2005]
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