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Lettura della Sacra Sindone

L’uomo venne denudato e flagellato con almeno 120 colpi di "flagrum", la frusta romana alle cui estremità venivano legati frammenti d’osso acuminati. Sulle sue spalle venne poi imposto il "patibolum" della croce, che trasportò cadendo e ferendosi al ginocchio sinistro. Subì un ulteriore pestaggio di inaudita violenza, poi l’infissione sul capo di un "casco" di spine e infine la crocifissione.

Abbandonò la vita non per asfissia, come di solito succedeva ai crocifissi, ma bensì per infarto seguito da emipericardio. Con una lacerante fitta retrosternale e con l’immancabile grido di dolore che precedette di appena un istante la morte.

Questo è quanto la scienza ha stabilito, in modo incontrovertibile, sulla tragica fine dell’uomo il cui telo funerario è stato ripetutamente esposto,  nel Duomo di Torino.

La Sacra Sindone -dal greco "sindon", tela di lino- si ripresenterà così al mondo col suo grande mistero. Perché di fatto quella che per molti credenti è una reliquia, e per gli scettici solo un falso medioevale, continua a suggerire verità e incertezze senza soluzione di continuità.

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Chi era l’uomo che ha lasciato sul telo di lino la propria immagine? Era davvero il rabbi ebreo Yehoshu’a, figlio di Myriam, crocifisso sul Golgota dai soldati di Ponzio Pilato? Era davvero il Gesù il cui credo, dopo la sua morte, venne prima predicato in Palestina - secondo numerosi studiosi senza distaccarsi dal giudaismo apocalittico - per poi diffondersi a macchia d’olio in Occidente? O era solo uno sconosciuto finito sulla croce chissà quando e per chissà quali vicende?

A riassumere le vicende della Sindone, del suo percorso storico e delle innumerevoli analisi scientifiche su di essa effettuate, giungono oggi in libreria numerosi titoli degni di grande attenzione.

E se tra i tanti non si può non citare l’ultima fatica di Pierluigi Baima Bollone ("Sindone: la prova", edito da Mondadori), che racconta anche delle impronte di monete risalenti all’epoca di Pilato riscontrate sul lenzuolo di lino, due altri volumi si mostrano certamente più ricchi e completi.

Il primo è la "Sacra Sindone" (Neri Pozza ed., pp. 223, lire 26 mila), di André Marion e Anne-Laure Courage, ingegneri dell’Institut d’optique d’Orsay che narrano della scoperta di una serie di lettere impresse intorno al volto del misterioso uomo. Il secondo è invece "La Sindone" (Rizzoli ed., pp.296, lire 16.900) di Orazio Petrosillo ed Emanuela Marinelli, i quali presentano, aggiornata, l’edizione già pubblicata nel 1990.

È in queste pagine che possiamo scoprire il probabile percorso della Sindone - dalla Palestina a Edessa in Turchia, e da qui a Costantinopoli e alla sua ricomparsa in Francia nel 1356 -, e conoscere nei particolari l’incredibile vicenda che vide alcuni prestigiosi laboratori europei e statunitensi, decretare "con certezza" la falsità della reliquia.

Il 14 ottobre 1988, al British Museum di Londra, gli scienziati Michael Tite, Robert Hedges ed Edward Hall, annunciarono infatti che i frammenti di tessuto sindonico sottoposti all’esame del 14C (radiocarbonio), erano da datare a un’epoca non antecedente il 1260. Brandelli quindi, né più né meno, di un clamoroso falso medioevale.

Petrosillo e Marinelli, partendo da questi risultati che contraddicevano le ricerche effettuate in numerosi ambiti disciplinari (tra i quali l’archeologia, la palinologia, la chimica, la paleografia, l’ottica e l’elaborazione d’immagini), ribaltano però l’accusa della contraffazione.

Veniamo così a sapere delle lotte interne al mondo scientifico internazionale per accaparrarsi l’incarico dell’esame al 14C. Di un prelievo di campioni le cui dimensioni e pesi sono stati palesemente artefatti. Di misteriose aggiunte di altri campioni, di fughe di notizie forse vendute al miglior offerente, di false conclusioni offerte alla stampa scientifica e infine dell’assoluta inattendibilità del tipo di esame compiuto. Tra i tanti infortuni di un metodo più volte definito infallibile, vengono qui citati quello che ha accreditato un "corno vichingo" all’anno 2006 (dopo Cristo, quindi nel futuro) e quello che ha fatto risalire alcuni resti del Neolitico nientemeno che al 1800.

Le successive ricerche effettuate da Dimitri Kouznetsov, già premio Lenin per la scienza, e da Leoncio Garza-Valdes, dell’Università di S. Antonio in Texas, hanno poi fatto giustizia dell’errore. E persino Harry Gove, capofila degli scienziati "carbonisti", ha ammesso nel 1995 il proprio abbaglio: sarebbe stata la patina di funghi e batteri che lungo i secoli ha coperto i tessuti della Sindone, a falsare i risultati dell’esame al radiocarbonio.

Quindi punto e a capo. Con nuove ricerche da effettuarsi in futuro, ma anche con quanto già accertato. Che comunque non è poco.

L’immagine della Sindone infatti non è una pittura, né una stampa di qualsiasi tipo. E’ un’immagine che per la scienza -sulla base dei processi fisico-chimici sino a oggi conosciuti- non "dovrebbe" esistere: impressa in una proiezione ottica al negativo, indelebile, tridimensionale, senza alcuna delle deformazioni che pure dovrebbe mostrare e indubbiamente "lasciata", insieme a cospicui resti organici, dal cadavere di un uomo crocifisso.

Nessuno, dopo migliaia di tentativi, è riuscito a riprodurre niente di simile. E la sua provenienza è testimoniata, oltre che da numerose altre prove, dalla presenza sul lino di alcune specie di pollini esistenti solo in Palestina e solo nella zona di Gerusalemme.

Ma c’è qualcosa di più. Di più inquietante, o di più rassicurante, secondo il punto di vista di chi si avvicina a questo mistero. Non c’è dubbio infatti, come Petrosillo e Marinelli, insieme a Marion e Courage, sottolineano, che qualsiasi altra identificazione storica -di un qualsiasi personaggio e in base alla consistenza dei dati accertati- sarebbe a questo punto unanimemente riconosciuta.

Perché l’immagine del telo di lino è esattamente sovrapponibile a quella raccontata non solo nei vangeli canonici, ma anche in quelli apocrifi, come il Vangelo degli Ebrei. La ferita al ginocchio sinistro, il "casco" di spine (assolutamente inusuale), il tipo di percosse sul viso, la non ripulitura del cadavere dopo la morte (secondo l’antico codice ebraico), la mancata frattura delle gambe e soprattutto lo stesso tipo di morte per infarto ed emipericardio (sul lenzuolo è stato riscontrato un primo versamento di sangue dalla ferita al costato e poi l’esaustivo travaso del siero), sono elementi che renderebbero praticamente certa l’identificazione dell’uomo della Sindone col rabbi Yehoshu’a di Nazareth.

Così oggi, come già in passato aveva fatto l’agnostico Yves Delage, anche il matematico Bruno Barberis ha valutato dal punto di vista statistico e sulla base "dei soli sette elementi peculiari comuni fra la descrizione evangelica e quello che si osserva nel lenzuolo", le probabilità che l’immagine dell’uomo della Sindone "non sia" quella di Gesù: una su 200 miliardi.

Su questa conclusione concordano molti studiosi cristiani, ma anche numerosi altri che nella cristianità non si riconoscono affatto, come per esempio l’ebreo Barrie M. Schwortz, gestore del più ricco sito Internet sulla sindonologia.

Di fronte al controverso lenzuolo di lino, fede e scienza, per una volta e almeno sul piano storico, sembrano insomma concordare. Anche fuori dalle possibili diverse interpretazioni sul carattere umano o divino di Gesù, e con qualche eccesso sul quale non sarebbe male riflettere.

Nel libro di Petrosillo e Marinelli viene infatti riportata, in una sola riga e con appena un breve commento, una notizia a dir poco singolare: il sangue dell’uomo della Sindone studiato nei laboratori dell’Università di San Antonio in Texas, gruppo sanguigno AB, sarebbe stato clonato.

Resta solo da augurarsi che gli autori di una simile operazione siano degli assoluti non-credenti: se non altro perché alla pretesa di clonare il proprio Dio, l’uomo, neanche nei suoi più allucinati sogni sulla Torre di Babele, era sinora mai arrivato.

Alberto Melis


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