Rav Riccardo di Segni, su shalom.it 17
maggio 2004
È la più grande
sinagoga di Roma, punto focale della più antica comunità ebraica
d'Europa, che attualmente conta circa 16.000 persone. L'edificio
ospita all'interno, oltre la sinagoga, il museo ebraico e gli uffici
della comunità israelitica di Roma.
Il 20 Settembre del 1870 toccò a un ufficiale ebreo piemontese l'onore
di comandare la batteria di cannoni che aprì una breccia nelle mura di
Roma a Porta Pia. Realizzando praticamente il messaggio ideale di
preferire i ponti ai muri, quelle cannonate davano finalmente una
capitale al nuovo regno e ponevano fine alle miserie legali degli ebrei
romani ancora costretti nei recinti del Ghetto.
Ci vollero ancora 34 anni perché gli ebrei romani, inseriti in una
nuova dimensione di libertà, potessero portare a compimento il progetto
grandioso della costruzione di un edificio di culto che simbolizzasse la
loro nuova condizione.
Tra i preziosi documenti conservati nell'archivio della nostra Comunità
sulla costruzione della nuova Sinagoga c'è un intero fascicolo che
raccoglie i ritagli della stampa che commentarono l'evento. Già allora
la nostra Comunità faceva notizia, e l'inaugurazione del 27 Luglio del
1904 fu al centro di decine di cronache, commenti e polemiche. Fece
impressione ovviamente il nuovo edificio, la sua imponenza, la rapidità
della sua costruzione; la visita del Re, poco prima dell'inaugurazione;
la solennità della cerimonia augurale; le parole pronunciate dal
presidente della Comunità e dal Rabbino furono valutate con attenzione,
da molti applaudite, da altri commentate con acidità.
Il presidente era l'avv. Angelo Sereni, figlio di rabbino; l'anno dopo
gli sarebbe nato dal fratello Samuele un nipote, Enzo. Ammantato del
tallèd (anche questo dettaglio non sfuggì alle critiche dei
detrattori) ricordò la storia della sua Comunità e delle sue
sofferenze, in particolare nel periodo papale. Il suo discorso esprimeva
l'orgoglio e le speranze di una Comunità che si affacciava a un nuovo
mondo, che allora appariva accogliente e sicuro; il legame con la storia
del passato; la fedeltà a un messaggio religioso e a un impegno civile
che la Comunità metteva al servizio dell'intera società.
Le parole e le preghiere del rabbino maggiore Vittorio Castiglioni,
autorevole studioso, letterato e pedagogo, da poco chiamato a Roma da
Trieste, furono in sintonia con questo messaggio. A rileggere oggi quei
discorsi e quelle cronache si rimane incantati dall'espressione di
sentimenti tanto forti e opposti. Gli ebrei avevano voluto dimostrare la
loro presenza costruendo un edificio grandioso, come mai avevano potuto
fare in passato perché era stato loro interdetto; rivendicavano la
fedeltà alla loro fede che li univa, e insieme esprimevano riconoscenza
e affetto per la società che finalmente li riconosceva come cittadini.
La maggioranza della società circostante sembrava, almeno nella sua
classe dirigente, accogliere e apprezzare questi sentimenti.
Quella che sembrava una minoranza, i clericali, non celavano il loro
disappunto per ciò che consideravano una sfida insolente, una mancanza
di riconoscenza per la "protezione" papale, e in sostanza non
capivano tanto clamore per il nuovo tempio dove, come scrissero
"non abita più Iddio". A cent'anni di distanza possiamo
valutare quanta grandezza e quanta ingenuità c'era nelle convinzioni
dei nostri antenati: sappiamo cosa ci avrebbe fatto 34 anni dopo quel Re
benedetto e applaudito, come avrebbe reagito nel bene e nel male la
società civile nelle terribili vicende del '900, quali altre sofferenze
sarebbero state vissute all'ombra della grande Sinagoga, quali inattese
sorprese ci avrebbero riservato proprio gli eredi dei maggiori
oppositori.
Dopo un secolo terribile il nostro monumento sta a ricordare alla città
il senso di una presenza radicata ed essenziale; ma è soprattutto a noi
che deve ricordare e fare pensare il senso della nostra presenza a Roma.
Abbiamo visto quanto le passioni politiche, le alleanze e le simpatie
possano durare; ma rimane nel tempo il forte senso di identità, di
continuità, di fedeltà all'ebraismo che volle essere espresso con la
costruzione di quel Tempio. La comunità ebraica di allora era rispetto
ad oggi enormemente diversa nella sua struttura sociale, economica,
culturale, nella sua identità religiosa.
È cambiata la mentalità, il mondo è completamente diverso, c'è lo
Stato d'Israele. Senza considerare le problematiche che derivano dal
nostro rapporto con il mondo non ebraico, e che non sono certo di poco
conto, è la crescita della nostra comunità oggi che pone sfide
difficili ma coinvolgenti. Il filo che ci unisce alle scelte dei nostri
antenati "costruttori" non si è interrotto. Raccogliamo il
loro entusiasmo e la loro tenacia in una realtà del tutto trasformata.