Il patriarca arabo Sabbah ha un ausiliare. Che però parla ebraico
    Sandro Magister - L'Espresso Settembre 2003 

 


La nomina dell’ebreo convertito Gourion a vescovo per gli ebreocattolici è un duro colpo per il filopalestinese patriarca di Gerusalemme. I pro e i contro di una decisione che avvicina Vaticano e Israele

ROMA – A metà agosto Giovanni Paolo II ha posto a fianco del patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, un vescovo ausiliare con un incarico specialissimo.

L’incarico è “la cura pastorale dei fedeli cattolici di espressione ebraica” viventi in Terra Santa.

Il nuovo vescovo è Jean-Baptiste Gourion. E la sua biografia è perfettamente in linea col compito che il papa gli ha dato.

Gourion è un ebreo convertito. Nato in Algeria, a Orano, nel 1934, ha ricevuto il battesimo a 24 anni ed è entrato nell’abbazia francese di Bec come monaco benedettino. Nel 1976 si è trasferito in Israele, nel villaggio di Abu Gosh, e lì ha dato vita a una nuova abbazia. Dal 1990 presiede l’Œuvre Saint-Jacques per la cura pastorale degli ebreocattolici.

La sua nomina è venuta da lontano e ha sempre avuto più avversari che sostenitori. Ancora lo scorso maggio era data per poco probabile. Ma poi s’è occupato personalmente della questione Giovanni Paolo II. E l’ha risolta anche a costo di scontentare molti.

Un segnale di questo scontento è il modo con cui ha dato notizia della nomina il settimanale cattolico francese “La Vie”. L’ha definita “tutta politica”, fatta per “riequilibrare le relazioni del Vaticano con Israele” e destinata a “dividere ancora di più i cristiani di Terra Santa”.

Ma molto più espressivo della contrarietà alla nomina è stato un importante articolo uscito il 10 maggio – prima della decisione vaticana – sul settimanale dei gesuiti di New York, “America”, a firma di Drew Christiansen.

Christiansen, gesuita, non solo è condirettore di “America”, ma è anche consulente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per la politica internazionale, “con speciale responsabilità per il Medio Oriente”.

Nel suo articolo – intitolato “A Campaign to Divide the Church in the Holy Land” – Christiansen attacca nome per nome coloro che hanno sostenuto la creazione di una speciale giurisdizione ecclesiastica per gli ebreo-cattolici.

Essi sarebbero anzitutto l’abate Gourion e i responsabili dell’Œuvre Saint-Jacques “in alliance with sympathetic elements in the French Church” (leggi il cardinale di Parigi, l’ebreo convertito Jean-Marie Lustiger); in secondo luogo, in Vaticano, il domenicano Georges Cottier, teologo ufficiale della Casa pontificia, e il cardinale Ignace Moussa Daoud, prefetto della congregazione per le Chiese orientali; poi il nunzio apostolico in Israele, l’arcivescovo Pietro Sambi; e naturalmente il governo di Ariel Sharon, interessato a far danno ai cristiani palestinesi e al patriarca Sabbah.

All’elenco dei rei Christiansen aggiunge il portavoce dei francescani di Terra Santa, David-Maria Jaeger, altro ebreo convertito, canonista, negoziatore dell’accordo del 1994 tra Israele e la Santa Sede. Ma a lui riconosce le attenuanti. Jaeger avrebbe sempre sostenuto una giurisdizione ecclesiastica non per gli ebrei convertiti, ma piuttosto per i cristiani non arabi immigrati in Israele da Russia, Polonia, Filippine, eccetera, in tutto alcune decine di migliaia. Gourion e i suoi amici – scrive Christiansen – hanno però “hijacked”, sequestrato l’idea di Jaeger girandola a vantaggio degli ebreo-cattolici, “meno di 250 e nemmeno tutti parlanti l’ebraico”, concentrati nelle città di Gerusalemme, Giaffa, Haifa e Ber Sheva.

La colpa di tutti costoro sarebbe quella di voler dividere in due la Chiesa di Palestina, negando il suo carattere arabo e delegittimando il suo patriarca Sabbah. Che in effetti è sempre stato contrario alla nomina di un vescovo ‘ad Judaeos’.

Arabo lui stesso, Sabbah è paladino acceso della causa palestinese, per ragioni non solo politiche ma anche bibliche e dogmatiche. Il libro “Paix sur Jérusalem” da lui pubblicato due anni fa è un condensato esemplare di questo patriottismo teologico arabo-cristiano.

Una sua tesi centrale è che "come in Occidente l’antisemitismo e l’Olocausto determinano gli attuali rapporti tra ebrei e cattolici, così in Terra Santa l’agenda dovrebbe essere stabilita da un secolo di nazionalismo sionista, dalla cacciata di centinaia di migliaia di palestinesi e dall’occupazione israeliana dei territori di Palestina”. Sabbah dice degli israeliani: “Alla fine li manderemo via come una volta mandammo via i crociati”. È diffusa nel patriarcato l’idea che la conquista islamica di Gerusalemme nel 638 è stata l’avvento di una “seconda Pentecoste”. Un dirigente israeliano di spicco, l’ambasciatore Gadi Golan, capo del dipartimento affari interreligiosi del ministero degli esteri, ha definito Sabbah “il patriarca islamico”.

Il gesuita Francesco Rossi de Gasperis del Pontificio istituto biblico di Gerusalemme – amico, coetaneo e collega d’insegnamento del cardinale Carlo Maria Martini – ha scritto analisi acute di questa teologia arabo-cristiana. Ha mostrato che essa sfocia in una “cancellazione teologica del popolo d’Israele, una forma di Shoah culturale e spirituale, non estranea a quella avvenuta nelle Chiese d’Europa durante i secoli di ‘cristianità’”.

Oggi commenta: “L’opposizione a creare in Israele una Chiesa ‘per Israele’ ha la sua ragione più profonda nel rifiuto dell’esistenza stessa dello stato d’Israele. Quando invece una simile Chiesa è figura originaria dell’identità cristiana, è la Chiesa dell’apostolo Pietro, una comunità fatta di ebrei fedeli alla Torah e insieme credenti in Gesù Figlio di Dio. La nomina di Gourion a vescovo ‘ad Judaeos’ segna un svolta storica”.

Ma è una svolta che faticherà a essere accettata, dentro un patriarcato a schiacciante – e voluta – impronta palestinese. Lo scorso novembre, per aver ricevuto un premio di riconoscimento in un’aula della Knesset, il parlamento israeliano, l’abate Gourion è stato oggetto di una campagna di discredito.

Forti critiche si è guadagnato anche il parroco melchita di Nazareth, Émile Choufani, arabo ma non anti-israeliano, colpevole d’aver guidato un pellegrinaggio ad Auschwitz di ebrei e palestinesi assieme.

L’assenza di una libreria cattolica a Gerusalemme è un altro indizio della non volontà del patriarcato di rivolgersi alla popolazione ebraica.

Un altro segnale ancora è stato, nel 2001, la chiusura dell’Istituto Pontificio “Ratisbonne” di Gerusalemme, luogo di dialogo tra ebrei e cristiani. Oggi l’edificio è in vendita, conteso tra salesiani, neocatecumenali e Opus Dei.

Con la nomina di Gourion a vescovo ‘ad Judaeos’ il papa ha posto le condizioni per un’inversione di marcia. Cominciando con l’affrancare la comunità ebreo-cattolica dalla soverchiante impronta palestinese del patriarcato.

Quanto agli ebrei, Rossi de Gasperis si augura che essi non temano di “prendere sul serio” il rinascente giudeo-cristianesimo. Perché un loro timore esiste, ha scritto: “Essi vedono nel passaggio di ebrei a Gesù un pericolo per la sopravvivenza del giudaismo”.

 

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