Rosenzweig e la pedagogia dell'ascolto reciproco
Francesco Tomatis

Come coniugare filosofia e teologia, o, meglio ancora, sapere e fede, pensiero e azione? Come essere al tempo stesso ebrei e tedeschi, radicati esistenzialmente nella tradizione ebraica e assieme nella cultura europea? A questo compito dedicò la propria vita il grande filosofo tedesco di origine ebraica Franz Rosenzweig (1886-1929) - e con tale vigore esistenziale, che gli permise di combattere una gravissima paralisi progressiva lungo gli ultimi otto anni della sua vita. 

Noto in Italia grazie alle meritorie traduzioni delle sue principali opere, curate da Gianfranco Bonola: dall'opera fondamentale scritta dal fronte bellico nei Balcani, inviandola ai famigliari in forma di lettere, cioè il capolavoro "La stella della redenzione" (Marietti), alla raccolta di importanti saggi intitolata "La scrittura" (Città Nuova), per indicarne solo le due essenziali, Rosenzweig trae dalla spiritualità dell'esistenza concreta, dalla vita umana stessa, seppur conscio della sua soggezione alla legge dell'entropia, alla morte, quella forza di unità non ignara della fecondità della differenziazione capace di trasformare, di riconvertire un'umanità destinata all'autodissoluzione a un nuovo pensiero e a una nuova speranza. 

Tale spirito unitario cercato nell'uomo, al di là delle specializzazioni dei saperi e della razionalizzazione tecnica e utilitaristica della vita, emerge con particolare efficacia dalla raccolta intitolata "Ebraismo, Bildung e filosofia della vita" (Giuntina, pagine 232, lire 28.000), traduzione degli scritti pedagogici o comunque legati alla sua fondazione e direzione a Francoforte dal 1920, rifiutata la carriera universitaria prospettatagli dal maestro Friedrich Meinecke, del "Freies jüdisches Lehrhaus", una sorta di Libero Istituto Superiore di Studi Ebraici, al quale collaborarono fra i molti Martin Buber, Erich Fromm, Rudolf Hallo, Siegfried Krakauer, Gershom Scholem e Leo Strauss. Secondo Rosenzweig ogni uomo vive di entrambe le cose: credere e sapere. 

Parlando riduttivisticamente per esse di religione e di filosofia, se ne fanno meramente delle discipline specialistiche, una mera faccenda privata che non toccherebbe la concretezza pubblica della vita. Non che fede e sapere siano lo stesso: la fede è dono, invece il sapere è acquisizione. Eppure anche la fede è in relazione con un'attività e con il sapere. "L'azione non è opera di una libertà... bensì l'adempimento di una preghiera". Nel rapporto fra docente e allievo indicato da Rosenzweig sta forse il suo messaggio educativo ancora oggi innovatore: il docente non deve soltanto insegnare, ma innanzitutto sapere ascoltare. Questo crea un rapporto interpersonale fondato sull'oralità capace di instaurare una vera e propria amicizia e crescita reciproca.

-Avvenire-20 Luglio 2001

| home | | inizio pagina |