LETTERA APOSTOLICA
REDEMPTIONIS ANNO
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
20 aprile 1984
Ai vescovi della Chiesa cattolica, ai sacerdoti, ai religiosi e
religiose, e ai fedeli tutti sulla città di Gerusalemme, patrimonio
sacro di tutti i credenti e desiderato crocevia di pace per i popoli
del Medio Oriente
1. Venerati fratelli e diletti figli, mentre si conclude l'Anno
Giubilare della Redenzione, il mio pensiero va a quella terra
privilegiata, situata nel punto di incontro tra l'Europa, l'Asia e
l'Africa, dove si è compiuta la redenzione del genere umano «una
volta per sempre» (cfr. Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12; 10,10).
È
la terra
che chiamiamo santa per essere stata la patria terrena di Cristo, il
quale l'ha percorsa «predicando la buona novella del regno e curando
ogni sorta di malattie e di infermità» (Mt 4,23).
Quest'anno in particolare avrei desiderato rivivere la profonda
commozione e l'immensa gioia provata dal mio predecessore, il papa
Paolo VI, quando nel 1964 si recò in Terra Santa e a Gerusalemme. Se
non mi è stato possibile essere fisicamente là, mi sento, però,
spiritualmente pellegrino nella terra dove fu operata la nostra
riconciliazione con Dio, per chiedere al Principe della pace il dono
prezioso della redenzione e quello della pace, sospirata dal cuore
degli uomini, dalle famiglie, dai popoli e, in particolare, dalle
genti che abitano proprio in quella regione. Penso specialmente alla
città di Gerusalemme, dove Gesù, offrendo la sua vita, «ha fatto dei
due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era
frammezzo... distruggendo in se stesso l'inimicizia» (Ef 2,14).
Gerusalemme, ancora prima di essere la città di Gesù redentore è
stata il luogo storico della rivelazione biblica di Dio, il punto in
cui più che in ogni altro luogo si è intrecciato il dialogo tra Dio
e gli uomini, quasi il punto d'incontro tra la terra e il cielo.
A essa i cristiani guardano con religiosa e gelosa affezione, perché
là tante volte è risuonata la parola di Cristo, là si sono svolti i
grandi eventi della redenzione, cioè la passione, morte e
risurrezione del Signore. A Gerusalemme è sorta la prima comunità
cristiana e vi si è mantenuta nei secoli, anche in mezzo a
difficoltà, una presenza ecclesiale continua.
Per gli ebrei essa è oggetto di vivo amore e di perenne richiamo,
ricca di numerose impronte e memorie, fin dal tempo di David che la
scelse come capitale e di Salomone che vi edificò il tempio. Da
allora essi guardano, si può dire, ogni giorno ad essa e la indicano
come simbolo della loro nazione.
Anche i musulmani chiamano Gerusalemme «la Santa» con un profondo
attaccamento che risale alle origini dell'Islam ed è motivato da
luoghi privilegiati di pellegrinaggio e da una presenza più che
millenaria e quasi ininterrotta.
Oltre a così rare ed eminenti testimonianze Gerusalemme accoglie
comunità vive di credenti, la cui presenza è pegno e fonte di
speranza per le genti che in tutte le parti del mondo guardano alla
città santa come a un proprio patrimonio spirituale e un segno di
pace e di armonia. Sì, perché nella sua qualità di patria del cuore
di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono
immensamente cara, e in quella di punto di incontro, agli occhi
della fede, tra la trascendenza infinita di Dio e la realtà
dell'essere creato, Gerusalemme assurge a simbolo di incontro, di
unione e di pace per tutta la famiglia umana.
La Città santa racchiude quindi un profondo invito alla pace rivolto
a tutta l'umanità, e in particolare agli adoratori del Dio unico e
grande, Padre misericordioso dei popoli. Ma purtroppo si deve
riconoscere che Gerusalemme permane motivo di perdurante rivalità,
di violenza e di rivendicazioni esclusiviste.
Questa situazione e queste considerazioni fanno salire alle labbra
le parole del profeta: «Per amore di Sion non mi terrò in silenzio,
per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come
stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come
lampada» (Is 62,1).
Penso e sospiro il giorno nel quale tutti saremo davvero così
«ammaestrati da Dio» (Gv 6,45) da ascoltarne il messaggio di
riconciliazione e di pace. Penso al giorno nel quale ebrei,
cristiani e musulmani potranno scambiarsi a Gerusalemme il saluto di
pace che Gesù rivolse ai discepoli, dopo la sua risurrezione dai
morti: «Pace a voi!» (Gv 20,19).
I romani pontefici, soprattutto in questo secolo, hanno seguito
sempre con trepidante sollecitudine gli avvenimenti dolorosi nei
quali Gerusalemme è stata coinvolta per molti decenni e hanno
prestato vigilante attenzione ai pronunciamenti delle istituzioni
internazionali che si sono interessate della Città santa.
2. In numerose occasioni, la Santa Sede ha invitato alla riflessione
e ha esortato a trovare una soluzione adeguata alla complessa e
delicata questione. Lo ha fatto perché profondamente preoccupata
della pace tra i popoli, non meno che per motivi spirituali,
storici, culturali, di natura eminentemente religiosa.
L'umanità intera, e in primo luogo i popoli e le nazioni, che hanno
in Gerusalemme i loro fratelli di fede, cristiani, ebrei e
musulmani, hanno motivo di sentirsi in causa e di fare il possibile
per preservare il carattere sacro, unico e irripetibile della città.
Non solo i monumenti o i luoghi santi, ma tutto l'insieme della
Gerusalemme storica e l'esistenza delle comunità religiose, la loro
condizione, il loro avvenire non possono non essere oggetto di
interesse e di sollecitudine da parte di tutti.
In effetti, è doveroso che si trovi, con buona volontà e
lungimiranza, un modo concreto e giusto con cui i diversi interessi
e aspirazioni siano composti in forma armonica e stabile e siano
tutelati in maniera adeguata ed efficace da uno speciale statuto
internazionalmente garantito, così che una parta o l'altra non possa
rimetterlo in discrimine.
Sento anche il pressante dovere, di fronte alle comunità cristiane,
a coloro che professano la fede nel Dio unico e che sono impegnati
nella difesa dei valori fondamentali dell'uomo, di ripetere che la
questione di Gerusalemme è fondamentale per la giusta pace nel Medio
Oriente. E' mia convinzione che l'identità religiosa della città e
in particolare la comune tradizione di fede monoteistica possono
appianare la via a promuovere l'armonia tra tutti quelli che
variamente sentono la Città santa come propria.
Sono convinto che la mancata ricerca di una soluzione adeguata della
questione di Gerusalemme, così come un rassegnato rinvio del
problema, non fanno che compromettere ulteriormente l'auspicabile
composizione pacifica ed equa della crisi di tutto il Medio Oriente.
E' naturale, in questo contesto, ricordare che nella regione due
popoli, l'israeliano e il palestinese, sono da decenni contrapposti
in un antagonismo che appare irriducibile. La Chiesa, che guarda a
Cristo redentore e ne ravvisa l'immagine nel volto di ogni uomo,
invoca pace e riconciliazione per i popoli della terra che fu sua.
Per il popolo ebraico che vive nello Stato di Israele e che in
quella terra conserva così preziose testimonianze della sua storia e
della sua fede, dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la
giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione
di vita e di progresso per ogni società. Il popolo palestinese, che
in quella terra affonda le sue radici storiche e da decenni vive
disperso, ha il diritto naturale, per giustizia, di ritrovare una
patria e di poter vivere in pace e tranquillità con gli altri popoli
della regione.
Tutte le genti del Medio Oriente, ciascuna con un proprio patrimonio
di valori spirituali, non potranno superare le tragiche vicende
nelle quali sono coinvolte - penso al Libano tanto provato - se non
sapranno riscoprire il vero senso della loro storia, che tramite la
fede nell'unico Dio le chiama a una convivenza pacifica di intesa e
di mutua collaborazione.
Desidero, pertanto, attirare l'attenzione degli uomini politici, di
quanti sono responsabili dei destini dei popoli, di chi è a capo di
istituzioni internazionali, sulla sorte della città di Gerusalemme e
delle comunità che là vivono. A nessuno, infatti, sfugge che le
varie espressioni di fede e di cultura presenti nella Città santa
possono e debbono essere un coefficiente di concordia e di pace.
In questo Venerdì santo in cui ricordiamo solennemente la passione e
la morte del Salvatore vorrei invitare tutti voi, venerabili
fratelli nell'episcopato, e tutti i sacerdoti, le persone
consacrate, i fedeli di tutto il mondo a mettere tra le speciali
intenzioni delle loro preghiere l'invocazione a favore di una
soluzione giusta del problema di Gerusalemme e della Terra Santa, e
per il ritorno della pace nel Medio Oriente.
Nell'Anno Santo che sta per concludersi e che abbiamo celebrato con
grande gioia spirituale sia a Roma sia in tutte le diocesi della
Chiesa universale, Gerusalemme è stata il termine ideale, il luogo
naturale a cui si rivolgevano i nostri pensieri di amore e di
gratitudine per il grande dono della redenzione che nella Città
santa fu operata dal Figlio dell'uomo a vantaggio di tutta
l'umanità.
E poiché frutto della redenzione è la riconciliazione dell'uomo con
Dio e di ogni uomo con i suoi fratelli, così dobbiamo invocare che
anche a Gerusalemme, nella Terra Santa di Gesù, i credenti in Dio
possano ritrovare, dopo così dolorose divisioni e discordie, la
riconciliazione e la pace. Questa pace annunziata da Gesù Cristo, in
nome del Padre che sta nei cieli, renda così Gerusalemme segno
vivente del grande ideale di unità, di fratellanza e di convergenza
tra i popoli, secondo le parole luminose del libro di Isaia:
«Verranno molti popoli e diranno: venite, saliamo sul monte del
Signore al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3).
Infine, impartiamo di cuore la nostra benedizione apostolica.