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Joseph
Ratzinger/Benedetto XVI, In principio Dio creò il cielo e la
terra Riflessioni sulla creazione e il peccato, «I Pellicani»
- religione, cristianesimo, spiritualità – Edizioni
Lindau, Torino Ottobre 2006
Profondo ma
semplice e incredibilmente attuale, questo libro permette
di capire quali possano essere i punti di contatto, o le
differenze, tra le teorie scientifiche più avanzate (Big Bang,
evoluzionismo) e la fede. Consiste di cinque
riflessioni sul significato cristiano della creazione,
sulla sua intrinseca razionalità. Il testo esprime il
senso del processo creativo non solo come spiegazione
causale ma soprattutto come missione che Dio ha affidato
all’uomo. Da ciò il significato del peccato originale come
tradimento di questa missione. L’ultima riflessione si
concentra sulle implicazioni che ha per l’uomo la credenza
in un mondo creato da Dio e non ridotto a cieca
materia. Il testo risale al periodo in cui Ratzinger
era ancora cardinale, ma in esso è possibile rintracciare
gli stessi penetranti argomenti e lo stesso afflato spirituale
dei suoi discorsi da Papa.
« La minaccia
alla vita da parte dell’azione dell’uomo, di cui oggi tanto si
parla, ha conferito nuova urgenza al tema della creazione.
Nello stesso tempo, però, assistiamo paradossalmente alla
scomparsa quasi totale dell’annuncio della creazione dalla
catechesi, dalla predicazione e perfino dalla teologia. I
racconti della creazione vengono taciuti; le loro affermazioni
non sembrano più proponibili. Di fronte a questa situazione,
nella primavera del 1981 mi decisi a tenere quattro prediche
quaresimali nella Cattedrale di Nostra Signora di Monaco e a
tentare così una catechesi per adulti sulla
creazione. Allora non potei venire incontro al desiderio,
avanzato da molti, di pubblicare le prediche in forma di libro
perché non avevo il tempo di rielaborare le trascrizioni da
registratore gentilmente effettuate da vari fedeli. Negli
anni successivi, dal punto di osservazione della mia nuova
carica, mi è tuttavia diventata ancora più evidente la
situazione di abbandono di questo argomento nell’annuncio dei
nostri giorni. Mi sono sentito perciò spinto a riprendere i
vecchi manoscritti e a rielaborarli per la stampa, senza
peraltro modificarne il loro carattere di prediche, con i
limiti che tale genere comporta. Spero che queste pagine
stimoleranno altri a fare meglio in modo da restituire al
messaggio del Dio creatore il posto che gli spetta nella
nostra predicazione.
Roma, festa di Sant’Agostino
1985 Joseph Ratzinger
Così Joseph Ratzinger in una
osservazione della prefazione, dove si domanda se dopo tutto i
racconti della creazione della Genesi non abbiano più alcun
valore. In effetti non molto tempo fa un teologo ha detto che
la creazione sarebbe diventata un concetto irreale e che
bisognerebbe parlare in maniera intellettuale più onesta non
più di creazione, bensì solo più di mutazione e di
selezione.
L’autore ha salutato con favore la nuova
edizione dei suoi testi «per richiamare di nuovo alla mente le
istanze essenziali della fede cristiana nella creazione e per
incoraggiare a svilupparle nella predicazione e nella
teologia».
Indice
7
Premessa 13 Dio creatore 37 Il senso dei racconti
biblici della creazione 61 La creazione dell’uomo 83
Peccato e redenzione
107 CONSEGUENZE DELLA FEDE NELLA
CREAZIONE
*** Dal libro Creazione ed
evoluzione
Qualcuno potrebbe ora dire: tutto questo
è molto bello, ma non è smentito dalle nostre conoscenze
scientifiche circa l’origine dell’uomo dal mondo animale?
Orbene, gli spiriti più riflessivi hanno da lungo tempo
riconosciuto che qui non si tratta di alternativa. Non
possiamo dire: creazione o evoluzione. La formula esatta è
creazione ed evoluzione, perché le due cose rispondono a due
domande diverse.
Il racconto della polvere della terra e dell’alito di Dio,
che abbiamo appena ascoltato, non ci narra infatti come l’uomo
ha avuto origine. Esso ci dice che cosa egli è. Ci parla della
sua origine più intima, illustra il disegno che sta dietro di
lui. Viceversa la dottrina dell’evoluzione cerca di
individuare e descrivere dei processi biologici. Non riesce a
spiegare l’origine del «progetto» uomo, a spiegare la sua
derivazione interiore e la sua essenza. Ci troviamo perciò di
fronte a due questioni che si integrano, non si escludono.
Ma soffermiamoci ancora un momento su questo punto, perché
anche in questo caso la direzione presa dal pensiero in questi
ultimi due decenni ci aiuta a vedere in maniera nuova l’intima
unità fra creazione ed evoluzione, tra fede e ragione. Una
delle caratteristiche specifiche del XIX secolo fu quella di
aver continuamente approfondito la coscienza della storicità e
del divenire di tutte le cose. Esso riconobbe che certe cose,
da noi ritenute immutabili e sempre uguali, sono il prodotto
di un lungo divenire. Ciò vale nel campo dell’umano, ma vale
anche nel campo della natura. Si capì allora che l’universo
non è una specie di grande scaffale, in cui tutto è sistemato
al suo posto, ma che esso va piuttosto paragonato a un albero
vivo che cresce e diviene, che proietta a poco a poco i suoi
rami sempre più in alto nel cielo. Questa idea generale è
stata ed è spesso presentata in termini un po’ fantasiosi, ma
col progredire della ricerca si vede sempre meglio qual è il
modo giusto di intenderla. Farò qualche brevissimo accenno a
questo argomento basandomi su Jacques Monod che, nella sua
qualità di scienziato di primo piano e di deciso nemico di
ogni fede nella creazione, può essere certo considerato un
testimone insospettabile.
Anzitutto mi sembrano importanti due precisazioni di fondo,
da lui messe a fuoco. La prima dice: nella realtà non esiste
solo la necessità. Nel mondo non possiamo, come pretendeva
ancora Laplace, e come Hegel cercò di elaborare nella sua
sintesi concettuale, derivare tutto con assoluta necessità in
successione cronologica e causale. Non esiste una formula, da
cui tutto il resto deriva necessariamente. Nel mondo non
esiste solo la necessità, ma anche il caso, dice Monod. Come
cristiani noi andremmo ancora un gradino più a fondo e
diremmo: esiste anche la libertà. Ma ritorniamo a Monod. Egli
ricorda che esistono in particolare due realtà, che non
dovevano necessariamente esistere: potevano, ma non dovevano
necessariamente esistere. Una delle due è la vita. Secondo le
leggi fisiche, la vita poteva, e non doveva,
aver origine. Anzi, egli aggiunge: era estremamente
inverosimile che ciò si verificasse. La probabilità matematica
in questo senso era pressoché nulla, per cui possiamo anche
ritenere che la vita, questo evento estremamente improbabile,
si sia verificata una sola volta sulla nostra terra.
La seconda realtà, che poteva ma non doveva necessariamente
essere, è il misterioso essere uomo. Anche lui è così
improbabile che Monod afferma in veste di scienziato: dato
l’alto grado di improbabilità può darsi benissimo che solo una
volta si sia verificato l’evento che ha dato origine a questo
essere. Noi siamo un caso, conclude. Abbiamo estratto un
numero fortunato alla lotteria, dobbiamo paragonarci a una
persona che inaspettatamente ha vinto un miliardo alla
lotteria. Nel suo linguaggio ateo egli non fa che ripetere
quel che la fede dei secoli passati aveva chiamato la
«contingenza» dell’uomo e quel che per la fede si era
tramutato in preghiera: io non dovrei essere, ma sono, e tu, o
Dio, mi hai voluto. Solo che al posto della volontà di Dio
Monod mette il caso e la lotteria, che ci avrebbero dato
origine. Se le cose stessero così, sarebbe davvero difficile
affermare che si è trattato di un colpo di fortuna. Non molto
tempo fa un taxista mi faceva osservare che un numero
crescente di giovani spesso ripete: «Non mi è mai stato
chiesto se volevo nascere». E un maestro mi riferiva: «Ho
cercato di indurre un alunno ad essere grato ai genitori
dicendogli: “Devi pur loro la vita!“. Ma egli mi ha risposto:
“Di questo non sono proprio grato!”». Quel piccolo non vedeva
alcuna fortuna nell’essere uomo. E in effetti, se siamo stati
gettati dal caso cieco nel mare del nulla, abbiamo sufficienti
motivi per ritenere questo fatto un colpo di sfortuna. Solo se
sappiamo che esiste uno che non ha tirato ciecamente a sorte,
che noi non siamo un caso, bensì siamo dalla libertà e
dall’amore, allora noi, i non necessari, possiamo ringraziare
per questa libertà e riconoscere con gratitudine che è un dono
essere uomini.
Affrontiamo ora direttamente la questione dell’evoluzione e
dei suoi meccanismi. La microbiologia e la biochimica hanno
fatto qui delle conquiste sconvolgenti. Esse penetrano sempre
più nel mistero intimo della vita, cercano di decifrarne il
linguaggio segreto e di riconoscere quel che essa propriamente
è. Nel corso di questo lavoro esse sono giunte a riconoscere
che possiamo indubbiamente mettere a confronto sotto molti
aspetti un organismo e una macchina. L’uno e l’altra hanno
infatti dei punti in comune: ambedue realizzano un progetto,
un piano concepito e razionale, coerente e logico; il loro
funzionamento è basato su una costruzione ideata con
precisione e quindi in maniera riflessa. Ma accanto a questi
punti in comune ci sono anche delle diversità. Una prima,
piuttosto modesta, può essere così descritta: il progetto
«organismo» è incomparabilmente più intelligente e ardito
delle macchine più raffinate. Queste, se paragonate al
progetto «organismo», sono concepite e costruite in maniera
affrettata. Una seconda differenza incide più a fondo: il
progetto «organismo» si muove da solo, dall’interno, non come
le macchine, che sono messe in moto dall’esterno. E infine la
terza differenza: il progetto «organismo» ha la forza di
riprodursi; esso può rinnovare e trasmettere il progetto da
lui stesso rappresentato. In altre parole: esso ha la facoltà
della procreazione, mediante la quale viene di nuovo
all’esistenza un vivente in tutto simile e concordante.
Qui compare ora qualcosa di importante e di inatteso, che
Monod chiama il «lato platonico del mondo». Ciò significa: non
esiste soltanto il divenire, nel corso del quale tutto cambia
continuamente, ma esiste anche il permanente, esistono anche
le idee perenni, che illuminano la realtà e ne sono
stabilmente i principi direttivi. Esiste il permanente, ed
esso è così fatto che ogni organismo riproduce rigorosamente
il proprio modello, il progetto da esso rappresentato. Ogni
organismo, come dice Monod, è per sua natura conservatore.
Mediante la procreazione esso si riproduce esattamente com’è.
Monod conclude perciò coerentemente: per la biologia moderna
l’evoluzione non è una proprietà degli esseri viventi; una
loro proprietà è piuttosto quella di essere immutabili: essi
si tramandano; il loro progetto rimane. Monod trova
tuttavia ugualmente la via per l’evoluzione, constatando che
nella trasmissione del progetto possono verificarsi degli
errori. Questo errore, una volta verificatosi, continua a
essere trasmesso, appunto perché la natura è conservatrice.
Tali errori possono sommarsi e dalla loro somma può risultare
qualcosa di nuovo. Segue ora una conclusione strabiliante: in
questo modo è sorto tutto il mondo della vita, è sorto l’uomo;
noi siamo il prodotto di errori casuali.
Che dire di questa risposta? È compito delle scienze
naturali chiarire attraverso quali fattori l’albero della vita
si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta
alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire:
i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e
dell’errore né sono il prodotto di una selezione, cui si
attribuiscono predicati divini, che in questa sede sono
illogici, a-scientifici, un mito moderno. I grandi progetti
della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo
Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e
splendente che mai. Oggi pertanto possiamo dire con una
certezza e una gioia nuove: Sì, l’uomo è un progetto di Dio.
Solo lo Spirito creatore fu sufficientemente forte, grande e
ardito da escogitare questo progetto. L’uomo non è uno
sbaglio, ma è voluto, è il frutto di un amore. Egli può
scoprire in sé stesso, nell’ardito progetto da lui
rappresentato, il linguaggio dello Spirito creatore che gli
parla e lo incoraggia a dire: Sì, Padre, tu mi hai
voluto. I soldati romani, dopo aver flagellato Gesù, averlo
incoronato di spine e averlo rivestito con un manto ridicolo,
lo ricondussero a Pilato. Questo militare incallito rimase
evidentemente scosso alla vista di quell’uomo straziato.
Appellandosi alla pietà, lo presentò alla folla con le parole:
«Idu ho anthropos!», «Ecce homo», espressione che noi
abitualmente traduciamo: «Ecco l’uomo». La traduzione precisa
dell’espressione greca dovrebbe invece essere: «Ecco, questo è
l’uomo!». Sulle labbra di Pilato queste erano le parole di un
cinico che intendeva dire: noi andiamo fieri di essere uomini,
ma guardatelo qui, questo verme: questo è l’uomo! Quanto è
spregevole e piccolo! Ma l’evangelista Giovanni ha
riconosciuto nelle parole del cinico un’affermazione profetica
e le ha trasmesse così alla cristianità. Sì, Pilato ha ragione
quando dice: Ecco, questo è l’uomo! In lui, in Gesù Cristo,
possiamo riconoscere che cosa è l’uomo, il progetto di Dio, e
quel che noi ne abbiamo fatto. In Gesù sfigurato possiamo
vedere quanto l’uomo possa essere crudele, meschino e basso.
In lui possiamo riconoscere la storia dell’odio e del peccato
umani. Ma in lui e nel suo amore sofferente per noi possiamo
ancor di più riconoscere la risposta di Dio: Sì, questo è
l’uomo, l’amato da Dio fin nella polvere, l’amato in misura
tale che Dio gli va dietro fin nell’estrema miseria della
morte. Pure nell’umiliazione più profonda l’uomo rimane il
chiamato da Dio, il fratello di Gesù Cristo e quindi il
chiamato a partecipare all’eterna vita divina. La domanda «che
cosa è l’uomo?» trova la sua risposta nella sequela di Gesù
Cristo. Seguendo i suoi passi noi impariamo giorno dopo
giorno, mediante l’amore e la sofferenza paziente, che cosa è
l’uomo e diveniamo uomini. […]
TRADUZIONE DAL
TEDESCO DI CARLO DANNA EURO 12,50 142 pagine ISBN
88-7180-597-6
PER
INFORMAZIONI E RICHIESTE:
Edizioni
LINDAU Corso Re Umberto 37 10128 TORINO - TO tel.
+ 39 011 517 53 24 www.lindau.it
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