A Vienna si è spento Simon Wiesenthal: per più di mezzo secolo ha speso tutte le sue energie per ricercare e catturare coloro che attuarono l'eliminazione degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. È riuscito così ad assicurare alla giustizia più di mille criminali di guerra. 

Wiesenthal soleva ripetere che il suo fine era impedire che qualcuno potesse dimenticare. Con caparbia determinazione ha denunciato ogni attenuazione, ogni oblìo di quel genocidio da lui vissuto direttamente, in una peregrinazione atroce che l'aveva portato ad essere segregato in dodici campi di concentramento nel giro di quattro anni. Lì aveva visto sparire i suoi parenti, i suoi conoscenti, la sua gente, vittime di un razzismo insensato e feroce.

 Una volta liberato da Mauthausen, non ha fatto altro che chiedere giustizia per sé e per tutti coloro che, come lui, avevano sopportato l'abiezione dei campi di sterminio, ottenendo regolari processi per chi tentava di sottrarsi alle proprie responsabilità ed evitare di rendere conto delle proprie azioni.

Wiesenthal non si è mai fatto sopraffare dall'odio e dalla sete di vendetta, non ha mai pensato di farsi giustizia da solo, di sostituirsi al giudice legittimo. 

Il messaggio di Wiesenthal trova la sua sintesi più efficace nel titolo che ha voluto dare alla sua autobiografia, "Giustizia, non vendetta", e la sua realizzazione più compiuta nel Museum of Tolerance di Los Angeles, da lui voluto, e consacrato alla difesa dei diritti civili in tutto il mondo.