L'Abbé Pierre - su "Avvenire" del 26 gennaio 2004


«Niente mi aveva aperto gli occhi sulla tragedia Lo scatto avvenne quando due ebrei in lacrime suonarono alla mia porta. Fu l’inizio di una serie di eventi sfociata in Emmaus»


Nel 1939 sono stato mobilitato in qualità di sottufficiale, con la missione di risalire la valle della Maurienne, in Savoia, requisire sessanta od ottanta cavalli e del foraggio, e imbarcare il tutto su di un treno in partenza per la linea Maginot. «Abbiate grande cura del cavallo del generale - mi aveva detto il capitano -, per il quale ci sarà una vettura speciale». Nel 1939 un generale francese andava in guerra con il suo cavallo! E sei mesi dopo, venivano mitragliate le strade dell'intera Francia.

Due ebrei suonano alla mia porta
Dopo la sconfitta e la smobilitazione mi sono ritrovato sacerdote a Grenoble. Niente mi aveva aperto gli occhi sulla tragedia De Gaulle-Pétain. Nella mia tradizione familiare c'era il grande maresciallo. Lo scatto si è prodotto quando due ebrei in lacrime hanno suonato alla mia porta. Si era all'indomani del rastrellamento di Vel d'Hiv. Piangevano: «Siamo ebrei, padre, le nostre due famiglie abitano sullo stesso pianerottolo, nella stessa casa; noi due, i papà, eravamo a una riunione con degli amici. Quando siamo tornati a casa, verso mezzanotte, i vicini guardavano dalle finestre. Aspettavano il nostro rientro e ci hanno urlato: «Scappate, sono venuti degli autocarri, hanno forzato le porte, le donne sono state arrestate, le mamme su un camion e i bambini sull'altro!». I due disperati avevano vagato per le strade senza sapere dove andare. Non mi conoscevano, ma passando per la strada hanno visto che c'era la casa di un sacerdote. È la casa del buon Dio, hanno pensato, e hanno bussato per chiedere aiuto. Per me fu l'inizio di una serie di avvenimenti che alla fine è sfociata in Emmaus. Li ho nascosti.

Entro nella Resistenza
Era difficile non far trasparire nulla, e più ancora trovar loro da mangiare: era l'epoca delle tessere annonarie e del razionamento. Andavo di nascosto a cercar provviste nell'armadio del mio parroco, prendendo di che nutrirli. Andò avanti così per tre, quattro giorni e altrettante notti. Ero alla ricerca di una soluzione; pensai alla presenza di un convitto per ragazze gestito da religiose attente ai problemi degli israeliti. E le suore di Notre-Dame de Sion, vista la denominazione, forse erano in grado di occuparsi degli ebrei. Trovai dunque la superiora, che mi risposte: «Conosco bene il problema, padre, ma è impossibile prendere questi due uomini nel nostro convitto e nasconderli. Ne proteggiamo già dappertutto, e non è più possibile, è troppo pericoloso; chiederò però aiuto a una piccola sorella specializzata nella preparazione di documenti falsi e nell'imitazione della firma del commissario di polizia».
Da quel giorno sono diventato parte della Resistenza. Ho cominciato a organizzare fughe attraverso il confine.

Ho avuto il privilegio di non esser mai stato costretto a uccidere
C'è una cosa nella quale sono privilegiato: le circostanze mi hanno permesso di non dovere mai uccidere, quando in tempo di guerra numerose occasioni fanno sì che sia «o lui o io». Non mi sono mai trovato in un simile frangente. Non me ne vanto, giacché ho aiutato quelli che invece combattevano, e ho portato loro vettovaglie. Ho fondato un piccolo giornale, di cui sono apparsi tre numeri: si chiamava L'Union patriotique indépendante. Il generale Descours, all'epoca ancora comandante, passava per il Vercors cercando la maniera di mettere in contatto alcuni quadri militari con persone spesso prive di organizzazione, preda dell'anarchia, del disordine e dell'imprudenza.

Perché aiutare gli ebrei?
Era il 1943. Un attraversamento della frontiera era appena fallito, una pattuglia tedesca aveva sparato e una giovane ebrea colpita aveva dovuto nascondersi per poi essere ricoverata, utilizzando la sua falsa identità all'ospedale di Grenoble.
Mi chiese di avvertire il cugino, un ebreo fattosi domenicano, a Marsiglia. Venne subito, e parlò a lungo con lei. Al momento di ripartire alla volta della stazione ci abbracciammo, e fu allora che mi sussurrò: «Vi supplico, non smettete di aiutare i miei fratelli ebrei!». Io, sorpreso, gli dissi: «Perché dovrei smettere?». Il treno stava partendo. Mi gridò: «Perché sono come il lievito».
Sì, è vero. Fu in quel momento che scoprii che ad attaccarmi ancor più a loro era proprio quello.

Raggiungo Algeri
Durante questa guerra sono stato arrestato, sono evaso... dopo la seconda evasione alcuni amici hanno creduto che fossi morto. Non avevano più notizie. In realtà ero riuscito a raggiungere Algeri, attraversando i Pirenei, la Spagna e Gibilterra. Per farmi salire su un aereo che andava a Gibilterra, Francesi che si trovavano là mi avevano nascosto dentro un sacco della posta. Quando giunsi ad Algeri ero un passeggero clandestino, avevo un'identità falsa. A Madrid mi avevano fabbricato dei documenti che mi presentavano come un pilota dell'aviazione canadese; il mio aereo era caduto in Francia ed io ero sopravvissuto. È grazie ai partigiani, se sono riuscito ad attraversare i Pirenei. In quel momento Franco era ben consapevole che per Hitler sarebbe andata a finire male, e cominciava a sorridere agli americani.

All'origine della vittoria ci sono i partigiani
Di fronte al mondo, oggi, io, prete partigiano fin dalla prima ora delle deportazioni nell'area meridionale, oggi voglio gridare: «Siete grandi, partigiani, siete puri, siete onesti». Quasi bambini, siete assennati come uomini. Giovani come i compagni di Giovanna d'Arco, che avevano tutti appena vent'anni, come loro, voi avete compiuto gesti di salvezza. Ho vissuto con voi. Vi conosco. E proclamo: «Siete il seme e il lievito. del rinnovamento». In voi è la speranza. Voi avete distrutto l'ipocrisia. Avete fatto a pezzi la vergogna. Avete vinto il dubbio. Avete ricreato l'unione. E poiché avete retto, aprirete alla Vittoria.

In guerra abbiamo scoperto la passione dell'amicizia
Infine, crediamo di aver qualche possibilità di riuscita soltanto se siamo capaci, francesi della Resistenza, francesi della lotta, semplicemente francesi autentici, di infondere nella vita quotidiana di oggi quella che è stata, ritengo, la più preziosa ricchezza della vita in clandestinità assieme alla passione per la Verità: la passione dell'amicizia. Ci siamo amati profondamente fra esseri umani, a prescindere dalle divergenze delle reciproche concezioni, abbiamo imparato il segreto e acquisito l'abitudine di parlare al di sopra delle siepi e al di sopra dell'odio.
 


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