Elia Benamozegh Introduzione Le parole con le quali Rav Léon Askénazi (1922-1996)
(2), un grande maestro sefardita del XX secolo, rende omaggio a un grande
maestro sefardita del XIX secolo aprono gli occhi sulla portata dell’impresa
iniziata da Benamozegh intorno al 1860. In quell’anno infatti l’«Alliance
Israélite Universelle» aveva bandito un concorso con il quale chiedeva
di esaminare quali fossero gli elementi che l’ebraismo aveva trasmesso
alle religioni che l’avevano seguito. Benamozegh si mise all’opera e
nel 1863 spedì a Parigi un manoscritto intitolato Essai sur l’origine
des dogmes et de la morale du christianisme (3). In quegli stessi anni
egli teneva “a un’eletta schiera di giovani livornesi” un corso
triennale di lezioni che venne poi pubblicato con il titolo Storia degli
esseni (4). Negli esseni egli intravedeva “i predecessori della
buona nostra Teologia” (ossia della Qabbalah) e nella loro storia “una
fonte ricchissima di elementi atti a spiegare l’origine del
cristianesimo”. Ma per cercare di capire il significato della sua opera
occorre fare un passo indietro e avvicinarsi agli anni di formazione del
giovane Benamozegh. Perduto ben presto il padre, Avraham, Elia era stato
allevato dalla madre Clara e dallo zio Yehudah Coriat, un cabbalista
proveniente da Fez, in Marocco. Vi erano stati collegamenti molto
importanti tra Livorno e il Marocco. Si pensi a Hayyim ben Atar
(1696-1743) che vi insegnò per più di un anno nel 1739 prima di
pubblicare Or ha-hayyim, il suo commento alla Torah, e di andare a
fondare la sua Yeshivah a Gerusalemme. Egli ha nel mondo sefardita un’importanza
pari a quella che il Baal Shem Tov (1700-1760) ha nel mondo aschenazita.
Di famiglia marocchina era anche Hayyim Azulai (1724-1807), un
cabbalista che trascorse a Livorno gli ultimi trent’anni della sua vita.
Lo stesso Benamozegh nella Introduzione al Berit Avot di suo cugino
Avraham Coriat (Livorno 1862) sottolineava con forza il suo legame con la
Tradizione marocchina: «Questa è dunque la Tradizione alla quale ho l’onore
di ricollegarmi: questa Tradizione sviluppa le sue radici nel Maghreb, e
non ha mai conosciuto interruzioni: i padri hanno acquisito dei meriti per
i figli, e lo studio non si è mai spento nelle loro bocche». (5) Insieme allo zio Yehudah lesse per ben due volte lo
Zohar, un’opera che fu dunque di fondamentale importanza nella sua
formazione. Occorre tenere presente che vi è uno speciale rapporto tra lo
Zohar e la città di Livorno, dal momento che in quella città furono
fatte cinque edizioni dell’opera tra XVIII e XIX secolo. Lo stesso Elia,
che nel 1839 a 16 anni aveva già debuttato come scrittore firmando l’Introduzione
a un’antologia di scritti cabbalistici scelti dallo zio (6), insieme a
S. Leoni e Y. Millul pubblicò un’edizione dello Zohar nel 1851. (7) Ora, è proprio lo Zohar ad attribuire uno
straordinario significato a quegli anni: «Nel 600° anno del 6°
millennio [l’anno 5600 corrisponde all’anno 1840] le porte della
conoscenza della Torah si apriranno dall’alto simultaneamente alle porte
della conoscenza dal basso». (8) Questo ci fa capire in quali orizzonti
Benamozegh inserisse la sua attività di quegli anni. 2. Prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto
conoscevamo gli esseni solo grazie a Filone, Flavio Giuseppe, Ippolito e
Plinio.(9) Sapevamo che essi conducevano una vita filosofica: ripudiavano
i piaceri come un male e cercavano la virtù nel resistere alle passioni,
disprezzavano la ricchezza e vivevano in ammirevole vita comunitaria,
ciascuno dava ciò di cui disponeva a chi ne aveva bisogno e riceveva ciò
di cui necessitava. Uomini, e donne, capaci di dominare l’ira,
costruttori di pace (così li definisce Flavio Giuseppe) che non temevano
la morte e credevano nella resurrezione dei corpi. La loro giornata vedeva
l’alternarsi di lavoro e preghiera, immersioni nel miqweh e
partecipazione alla seudah, il pasto comunitario nel quale la mensa
simboleggia l’altare, anticipazione del banchetto al quale parteciperà
la coppia messianica formata dal Kohen, che per primo pronuncerà la
benedizione sul pane e sul vino, e dal Re Messia. Generazioni di studiosi erano stati affascinati dal
loro genere di vita, sorpresi dalle affinità con il cristianesimo e
sconcertati dalla contraddittoria presenza di questi “cristiani prima di
Cristo”(10). Nella primavera del 1947 un giovane pastore beduino di
nome Mohammed inseguendo una pecorella smarrita scopre in una grotta nei
pressi di Qumran rotoli di pergamena manoscritti, accuratamente avvolti in
tela di lino, sigillati con bitume e riposti in giare di argilla. E’ iniziata da allora un’avventura che ha trovato
una prima conclusione con la pubblicazione e traduzione in molte lingue
dei testi principali. (11) Complessivamente si tratta di circa 15.000
frammenti di circa 850 manoscritti, composti tra il III sec. a.e.c. e il I
sec. e. c. In prima approssimazione, e utilizzando criteri anacronistici,
possiamo dire che si tratta di testi di tre tipi: biblici, apocrifi o
psedoepigrafi, settari o comunitari. Alla fine del 1951 ebbe inizio la prima campagna di
scavi diretta da De Vaux e Harding e per la prima volta si iniziò a
mettere in relazione quelle rovine, che fino ad allora non avevano destato
l’interesse di nessuno, da un lato con i manoscritti e dall’altro con
gli esseni di cui parlavano le fonti antiche. Come ha osservato Lawrence Schiffman, per un mondo che
ancora stentava a rimettersi in piedi dopo la Seconda Guerra Mondiale e la
Shoah sembrò quasi una nuova rivelazione. L’interesse principale fu in
primo luogo rivolto a quello che i manoscritti potevano dire di nuovo
sulle origini del cristianesimo e «i mass media e il pubblico ebbero seri
problemi a distinguere la spesso sottile differenza tra l’uso dei rotoli
per illuminare il background della Cristianità – una impresa accademica
legittima e necessaria – e la confusa lettura dei rotoli come testi
cristiani». (12) Solo in un secondo tempo i testi vennero recuperati alla
storia dell’ebraismo, sottolineandone p. e. l’importanza per l’evoluzione
della Halakhah, poiché contenevano una legislazione che precedeva di due
secoli la redazione della Mishnah. (13) 3. «Le corti, le cisterne e i laboratori della
Comunità di Qumran non sono oggi che rovine bruciate dal sole, oggetto di
curiosità beata per i turisti e di dibattiti per i ricercatori, ma con il
loro silenzio simboleggiano un desiderio possente di indipendenza che fu
violentemente e tragicamente schiacciato dalle legioni romane». (14) In età ellenistico-romana, tra la fine della profezia
(fine V sec a. e. c.) e quelle che solo facendo proprio il punto di vista
romano possono essere chiamate le Guerre Giudaiche del I e II sec. e. c.
sorge e si sviluppa un movimento messianico ebraico (apocalittico,
enochico) dapprima alleato dei Maccabei, poi in opposizione agli Asmonei,
agli Erodiani, ai Romani. Questo movimento apparentemente non sopravvive
alle catastrofi, Shoot, (15) del 70 e del 135: «Se l’ebraismo e il
cristianesimo rappresentano all’origine forze di resistenza all’oppressione
e alla sofferenza, non sono giunti sino a noi che sotto le forme che i
dirigenti dell’Impero romano avevano autorizzato o perlomeno tollerato»
(16) Il messaggio del movimento messianico ebraico venne
soffocato e condannato all’oblio e alla clandestinità, per millenni,
fino alla scoperta dei rotoli del Mar Morto. Allora, le voci sepolte nelle
grotte hanno riiniziato a farsi sentire, non solo tra le rovine
abbandonate del deserto, ma in molte parti del vasto mondo. 4. «Qui si maturano i grandi pensieri, qui si
elaborano le grandi dottrine che usciranno salve ed illese dal grande
naufragio». Membri di una setta, appartenenti ad un ordine monastico,
vittime di una Halakhah ossessiva, fanatici nazionalisti e xenofobi,
adepti di spiritualità orientali: gli esseni non sono nulla di tutto
questo. Per Benamozegh essi sono gli esponenti più elevati della
spiritualità ebraica, i predecessori dei cabbalisti e i rappresentanti di
quell’ebraismo da cui è nato il cristianesimo. Gli Angeli del Signore erano presenti tra loro, e loro
decisero di affrontare il mondo dell’impurità con le acque di vita
della tevilah (immersione nelle acque vive, battesimo) e con le parole di
vita della Torah. Il loro combattimento ha avuto una forza tale, che in
duemila anni ha raggiunto, sia pure in forme diverse, e tra loro
contrastanti, più della metà dei figli di Adamo attualmente viventi. Se
non ce ne rendiamo conto, è perché contemporaneamente è all’opera il
raz ha-ra, il mysterium iniquitatis, le cui due colonne sono la teologia
della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo, o dell’odio. Che gli esseni non potessero essere definitivamente
scomparsi dalla storia Benamozegh lo sapeva: «Meglio che scomparsa,
meglio che estinzione, si dovrebbe chiamare questo sottrarsi degli ebrei
cabbalisti dalla scena del mondo un’eclissi temporanea, un ritiramento
nelle più segrete latebre dell’ebraismo, un nascondimento precario a
guisa di quei fiumi che ad un tratto avallando e sprofondandosi nelle
viscere della terra si aprono una via sotterranea per miglia non poche,
onde erompere di nuovo alla superficie del globo e lo antico corso seguire
alla luce del sole». Ancora pochi decenni, e una pecorella avrebbe
condotto gli studiosi e gli smarriti sulla buona strada.(17) Parlare di un cristianesimo prima di Cristo o senza
Cristo è palesemente assurdo, ma non lo è affatto parlare di un
messianismo che precede la nascita di Yeshua. Occorre reinserire il
movimento dei discepoli di Rabbì Yeshua ben Yosef all’interno del
messianismo ebraico. Il che non vuol dire che in quel contesto debba
sparire la sua specificità. Non si tratta di “cristianizzare” gli
esseni, ma al contrario di restituire il cristianesimo delle origini al
suo contesto ebraico. Molte difficoltà nascono dalla proiezione del
cristianesimo del IV sec. sul cristianesimo del I sec., dalla sostituzione
della Ecclesia ex gentibus alla Ecclesia ex circumcisione. Nel 29
proclamare: «Tu sei il Messia» non voleva dire cambiare religione, ma
sfidare la potenza romana. Non già la conversione degli ebrei al cristianesimo,
ma il ritorno del cuore dei figli ai loro padri e del cuore dei padri ai
figli annuncia Malachia, il sigillo dei Profeti: «Allora, la
conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione della
Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della
Chiesa (…) si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto
attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella
sola maniera vantaggiosa per la nostra specie [l’umanità]. Sarà come
lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori
chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di
quello dei padri ai loro figli (Ml 3,24), vale a dire dell’ebraismo e
delle religioni che ne sono derivate». (18) Marco Morselli
NOTE 1. L. Askénazi, La Parole et l’Ecrit, Albin Michel, Paris 2005, II,
476-477. 2. Ricorre quest’anno il decimo anniversario della Sua
scomparsa : il Suo ricordo sia in benedizione. 3. E. Benamozegh, L’origine dei dogmi
cristiani, Marietti, Genova
2002; Id., Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997. 4. Id., Storia degli esseni, Le Monnier, Firenze 1865. 5. Citato in A. Guetta, Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di
Elia Benamozegh, Thalassa De Paz, Milano 2000, 151. 6. Maor wa-shemesh, Livorno 1839. 7. Zohar, Belforte, Livorno 1851. 8. Zohar I, 117a. 9. Cfr. The Essenes According to the Classical
Sources, a c. di G.
Vermes e M. D. Goodman, Sheffield, Oxford 1989; E.-M. Laperrousaz, Gli
Esseni secondo la loro testimonianza diretta, tr. it. di T. Teosatti,
Queriniana, Brescia 1988. 10. A sostegno delle tesi di Benamozegh, va ricordato
che lo stesso genere di reazioni suscitava Filone di Alessandria, da
alcuni considerato come Padre della Chiesa ante litteram. 11. Testi di Qumran, a c. di F. Garcia Martinez e C.
Martone, Paideia, Brescia 2003. 12. L. H. Schiffman, Inverting Reality: the Dead Sea
Scrolls in the Popular Media (2005) in www.brill.nl. 13. Id., Reclaiming the Dead Sea
Scrolls, Doubleday,
New York 1995. 14. N. A. Silberman, La verité de
Qumran, tr. fr. di
J.-F. Sené, Stock, Paris 2003, 393. 15. Ecco un modo non negazionista di negare la
«unicità» della Shoah. Scrive Rav Léon Askénazi: «Vi è una
differenza tra Hurban e Shoah. Il Hurban è una distruzione
che si può ricostruire. Così, il Primo Tempio, distrutto dai Babilonesi,
ma che fu ricostruito; così il Secondo Tempio, distrutto da Roma, e che
sarà ricostruito. Ma la Shoah è una distruzione che non ha restaurazione
possibile» (op. cit., 487). Ora, nel I e II sec. abbiamo avuto sia Hurban
che Shoah: «Secondo i dati forniti indipendentemente da Giuseppe e da
Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle
operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero
fatti prigionieri e venduti come schiavi. Con ciò sembra possibile che
qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata
fisicamente» (J. A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia, Brescia 1984,
485). Nel 135 i morti sarebbero stati 850.000 (Soggin, 492). 16. N. A. Silberman, op. cit., 402. 17. E chissà cosa riserva l’avvenire. André
Chouraqui, per il quale solo le utopie sono reali, mi disse una volta di
aver proposto a Bruno Hussar (1911-1996, anche per lui ricorre il decimo
anniversario della scomparsa: il Suo ricordo sia in benedizione) di ridar
vita a una Comunità di esseni. 18. E. Benamozegh, Israele e Umanità (Introduzione).
Il mio Credo, a c. di L. Amoroso, ETS, Pisa 2002, 131-2; Id., Israele e l’umanità,
a c. di M. Morselli, Marietti, Genova 1990, 30. Nota del curatore La Storia degli esseni venne pubblicata da Le Monnier
nel 1865 (522 pp.). Nel 1979 Armando De Francesco curò un’edizione
ridotta dell’opera, “ripulita dei molti manierismi ottocenteschi”,
che uscì con il titolo Gli Esseni e la Cabbala per i tipi dell’Editrice
Armenia (Milano 1979). Nonostante le iniziali perplessità, è tale
edizione ridotta che è alla base della presente edizione. La abbiamo
però confrontata con l’edizione del 1865 e in molti casi siamo
intervenuti a favore di una maggiore fedeltà all’originale. Abbiamo
recuperato un certo numero di passi importanti: per fare solo due esempi,
la Prefazione e l’ultimo capoverso dell’opera erano stati tralasciati. Ci conforta il pensiero che, a differenza di quanto
accade per altre opere di Benamozegh, è sempre possibile il confronto con
il testo da lui pubblicato e ci auguriamo anzi che un rinnovato interesse
per quest’opera possa portare a un’edizione anastatica. Siamo però
lieti di riportare alla luce in una nuova veste un testo di così grande
valore. I titoli dei capitoli sono redazionali. I riferimenti
biblici e le traslitterazioni dall’ebraico sono stati modernizzati e
conformati ai criteri editoriali di questa collana. Quando possibile, sono
state completate le citazioni bibliografiche. Desidero ringraziare il Dr.
Giacomo Limentani, laureatosi alla «Sapienza» con una tesi sulla purità
rituale a Qumran e studente del Collegio Rabbinico Italiano, che mi ha
aiutato per le citazioni della letteratura talmudica, midrashica e
cabbalistica. Desidero inoltre ringraziare il Prof. Alberto Melloni,
dell’Università di Modena e Reggio Emilia e della Fondazione per le
scienze religiose di Bologna, che, concedendomi una Borsa di ricerca, mi
ha consentito di avere più tempo da dedicare agli esseni. | home
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