Avvinto dallo Spirito vado a
Gerusalemme
senza sapere cosa mi capiterà
Carlo Maria Martini
Qui di seguito è riprodotta una parte,
la più rivelatrice, della conversazione apparsa sul notiziario n. 48
del novembre 2004 dell’Istituto Paolo VI, alle pagine 91-100. Il cardinale Martini vi parla di sé, del suo
ritorno a Gerusalemme, dei suoi studi, della sua preghiera, della sua
predicazione, del suo equo “intercedere” per una pace difficile ma
non impossibile nella terra di Gesù.
Un autoritratto fedele di un grande uomo di Chiesa. In questa sua
nuova stagione di vita.
Una volta, nel corso di un’udienza
privata, Paolo VI mi disse testualmente: “Vorrei che ogni
cristiano almeno una volta in vita si rechi a Gerusalemme”. [...]
Io sono a Gerusalemme ormai da due anni. Ho consegnato il pastorale
al mio successore [a Milano] il 28 settembre 2002 e il 1 ottobre ero
qui. Ho ancora impegni a Roma come cardinale: praticamente vivo qui
otto mesi all’anno e gli altri quattro mesi li trascorro a Roma,
dove abito vicino al Santuario di Belloro, in una casa di ritiro e
di esercizi dei padri gesuiti.
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Qui [a Gerusalemme] risiedo al Pontificio Istituto Biblico, fondato
alla fine degli anni Venti, come succursale del Pontificio Istituto
Biblico di Roma. [...] Al momento ospitiamo studenti che frequentano
il corso semestrale dell’Università Ebraica. Fui io che iniziai
trent’anni fa questo legame organico con tale università, che ci
fornisce corsi che consideriamo validi come i nostri corsi del
Biblico. Quindi invitiamo tutti i nostri studenti a frequentare un
semestre di studio presso l’Università Ebraica, che propone corsi
di lingua, di archeologia, di storia, di esegesi, ecc. Purtroppo
sono pochi coloro che accettano, su circa cento studenti ne vengono
quindici o venti, credo per motivi riconducibili alla paura [...].
Che cosa mi ha portato a Gerusalemme? Quando mi chiedono il perché
io abbia scelto di vivere a Gerusalemme, rispondo che non lo so. È
stato lo Spirito Santo. Sono quelle ispirazioni di cui non si può
rendere ragione logica. Mi viene in mente sempre quel passo degli
Atti degli Apostoli al capitolo 20 in cui Paolo dice agli anziani di
Efeso e Mileto: “Avvinto dallo Spirito vado a Gerusalemme senza
sapere che cosa mi capiterà”. Mi sono lasciato attrarre da questa
parola e da questa forza dello Spirito.
Qui vivo molto bene, sono molto contento di essere qui perché
Gerusalemme è veramente un luogo di simboli straordinari, è un
luogo in cui si respira la storia biblica, dai patriarchi, ai
profeti, fino a Gesù, alla sua passione, morte e resurrezione. È
un luogo pieno di fascino per il cristiano, per il credente, perché
qui è stato Gesù, questa è stata la terra che Lui ha visto, il
cielo che Lui ha contemplato, le pietre che Lui ha calpestato, i
luoghi dove ha sparso il suo sangue, i luoghi in cui si è diffusa
la parola: “È risorto”. Io trovo qui un’ispirazione continua
per la mia preghiera, per la mia meditazione.
Vivo, inoltre, la preghiera che definisco d’intercessione, nel
senso etimologico della parola, “cammino in mezzo” a diversi
contendenti senza voler dare ragione o torto né all’uno né
all’altro, ma pregando ugualmente per tutti. La situazione
politica odierna è così intricata e aggrovigliata che anche un
competente farebbe fatica a spiegare oggettivamente ciò che è
avvenuto, perché e come. Non conosco l’arabo, so l’ebraico
biblico, ma non quello moderno. Non ho titoli per giudicare. Ho
preferito [...] mettere in pratica la parola di Gesù: “Non
giudicate e non sarete giudicati”. Qui soffrono tutti molto. È
difficile dire: “Soffre di più quello, soffre di più questo”.
Chi comincia la lista delle ragioni, dei torti? Si va
all’infinito. E non si uscirà se non con qualche passo nuovo.
D’altra parte questo luogo non è solo luogo di conflitto, è
soprattutto luogo di dialogo. Si svolgono molti dialoghi a livello
di base: dialoghi tra ebrei e cristiani, dialoghi tra ebrei e
musulmani, dialoghi triplici tra ebrei, musulmani e cristiani. Ci
sono moltissime istituzioni a Gerusalemme che coltivano queste forme
di dialogo. E ci sono anche tante iniziative di accoglienza, di
perdono, di riconciliazione, di aiuto, di assistenza, di
volontariato. Ciò è veramente straordinario.
Ho incontrato qualche tempo fa due persone che sono molto conosciute
nella vita professionale di questo paese, un ebreo e un arabo.
Entrambi hanno avuto in famiglia un lutto per la violenza e hanno
deciso di mettersi insieme per capire l’uno la sofferenza
dell’altro. Così è nato un gruppo di famiglie, ciascuna delle
quali ha un figlio o una figlia uccisi dal terrorismo, dalla guerra,
ecc. Queste famiglie si ritrovano regolarmente, si parlano fra loro,
fanno iniziative di pace.
A mio parere questa è la strada, la via della giustizia. Bisogna
rendere giustizia a chi merita giustizia, e qui molti gridano perché
meritano giustizia. Come dice Giovanni Paolo II e lo ha ripetuto più
volte, “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia
senza perdono”. Se vogliamo soltanto vendicare i torti ricevuti,
si finisce in una spirale di violenza com’è l’attuale [...].
Non vedo aperture politiche di pace se non in un cambio di mentalità.
Bisogna sperare che questi dialoghi a livello di base portino, a
poco a poco, a una cultura che all’inizio diventi opinione
pubblica – visto che i mass media attualmente non sanno quasi
nulla di questa realtà di dialogo, di incontro, di assistenza, di
aiuto – e domani diventi anche fatto politico. La speranza c’è,
la preghiera per la pace è continua. So che la mia intercessione e
la mia preghiera valgono poco, però le metto come goccia nel fiume
immenso della preghiera della Chiesa, che poi è la preghiera di
Cristo intercessore, come dice san Paolo: “Cristo vive sempre
intercedendo per noi”. Ho totale fiducia in questa preghiera perché
so che il Signore la ascolta, magari non con fatti subito clamorosi
ma con la pace che Egli semina nei cuori. E ci sono davvero molti
gesti e molte iniziative di pace, come ho detto. La mia preghiera,
inoltre, è aiutata da questi Luoghi Santi.
Ho cercato, poi, di riprendere i miei studi: prima di diventare
arcivescovo di Milano ero professore di critica testuale
all’Istituto Biblico. Ho ricominiciato lo studio degli antichi
manoscritti biblici. Ho già fatto una prima pubblicazione:
l’edizione critica del papiro Bodmer VIII, un papiro del secolo
terzo, il più antico documento esistente delle Lettere di Pietro.
Il papa ne ha regalato una copia a tutti i cardinali in occasione
del suo venticinquesimo anniversario di pontificato. Adesso sto
preparando un altro lavoro, che mi occupa molto, ed è
l’introduzione critica al Codice Vaticano Greco 1200, che
comprende tutta la Bibbia greca, il famoso Codice B.
Infine, c’è una mia terza occupazione: il ricevimento di
pellegrini. Oggi non è così semplice [arrivare qui], benché io
continui a dire – ed è vero – che non ci sono rischi reali per
i pellegrini. I mass media danno voce soprattutto agli eventi
drammatici e dolorosi, è perciò sempre necessario un po’ di
coraggio per decidere, come dice il salmo, “nel cuore il santo
viaggio”. Naturalmente, per ragioni di tempo, non posso ricevere
se non gruppi legati a Milano, cioè alla mia attività precedente:
incontro le parrocchie, i sacerdoti, i laici. Sono rimasto molto
legato alla mia diocesi: recito ancora il breviario ambrosiano,
seguo il calendario [liturgico] ambrosiano, sono ancora ambrosiano
di diritto.
Predico, poi, qualche corso di esercizi. La settimana scorsa, per
esempio, ho dettato un corso di esercizi alle suore carmelitane sul
Monte degli Ulivi, nel luogo detto del “Pater”. La settimana
prossima predicherò a Betlemme ai preti di Milano che ho ordinato
nel 1997 e che hanno deciso di venire qui per fare un corso di
esercizi con me.
Cerco di rendermi utile, di vivere una vecchiaia un po’ operosa,
malgrado gli acciacchi dell’età, che si sentono tutti, perché io
vado per i 78 anni. A Milano mi pareva di non sentire alcuna fatica,
ma avvertivo che era giusto lasciare dopo aver compiuto i 75 anni.
Sono contento di questa scelta, perché non ce l’avrei fatta a
continuare con il ritmo di prima. Qui, invece, posso pregare,
ricordare tutte le persone che ho incontrato, intercedere per tutti.
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[Fonte: L'espresso del 12
gennaio 2005]
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