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Amos Luzzatto, Il valore della Memoria
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La memoria della memoria,
questa espressione sembrerebbe una “battuta” assurda o uno slogan
pubblicitario. E sarebbe davvero tale, se la memoria consistesse nell’apertura
di un nostro archivio segreto (individuale o collettivo, poco importa) per
riportarne alla luce informazioni preziose che la trascuratezza o, peggio, la
volontà di dimenticare, avrebbero tentato di occultare.
Ma non è necessariamente così.
La memoria è un possente strumento per capire e per rispondere alle
sollecitazioni del presente. La guerra nei Balcani, il Medio Oriente in
fiamme, il minacciato “scontro di civiltà” dimostrano che l’odio fra le genti
e le stragi degli innocenti non sono una pura e semplice eredità di un passato
sogno di incubi; e allora, alle nostre menti si affaccia la domanda
angosciata: ma sarà sempre così, anzi, sempre più così?
La risposta implicita che abbiamo dato a questa domanda fino a questo momento
era di concludere che la Shoah fosse stata a tal punto mostruosa da risultare
incomprensibile con i comuni strumenti della mente umana, che fosse stata, in
una parola, “follia”, sia pure follia criminale: follia degli uomini, follia
di un intero popolo, follia di Hitler. E, come tale, almeno per coloro che
credono nella razionalità di fondo dello spirito umano, irripetibile. Tanto da
giustificare l’autentico giuramento con il quale si concludevano tutte le
nostre manifestazioni: “Mai più”.
Sentiamo però che questo modo di affrontare la memoria non è più sufficiente.
Perché la nostra premessa non è scevra da critiche; la memoria non è, infatti,
un supporto magnetico cui attingere dati ma è una funzione attiva della nostra
mente, che sa in partenza a quale tipo di dati rivolgere la propria attenzione
e quali, invece, trascurare; che sa in partenza quali sono i problemi che deve
affrontare e, spesso, ha già formulato, se non proprio un giudizio definitivo,
almeno delle ipotesi di risposta; e cerca “nella memorie” quei dati che
possono confermare o respingere il giudizio stesso.
Possiamo dunque indicare dei cosiddetti “valori” che sono in realtà giudizi
dei quali siamo già forniti a priori e che orientano il nostro modo di scavare
in profondità nella memoria? Certamente, sì.
Il primo dei nostri valori si chiama civiltà ed esso significa il procedere
del consorzio umano dalla legge del trionfo del più forte a quella del
supporto per i più deboli, dalla soppressione del rivale o di quello che si
ritiene possa soltanto chiedere alla società senza nulla dare, al principio
della solidarietà.
Il secondo valore significa valorizzare la varietà umana, la ricchezza delle
“altre” culture, delle altre lingue, delle altre Fedi. Esso significa la
libera circolazione delle idee, senza opporvi ostacoli, neppure economici.
Il terzo valore, infine, indica il dialogo, il confronto, la trattativa, come
unici strumenti che possono risolvere i contenziosi umani, proibendo, come
reato, qualsiasi ricorso alla violenza.
“Memoria” significa allora scavare nel passato in modo selettivo, per cercarvi
non tanto le gesta degli eroi sui campi di battaglia quanto gli esempi di
solidarietà e di cooperazione; esempi forse rimasti nell’ombra ma non per
questo meno rilevanti, forse al contrario. E’ questa infine quella Memoria che
può diventare uno strumento di fiducia nel domani. E’ questa che ci accingiamo
a celebrare.
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