Amos Luzzatto, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane
Non mancano iniziative e appuntamenti in tutte le
città e piccoli centri in Italia per
celebrare nel modo migliore il Giorno della memoria. Per comprenderne sempre
meglio il significato, annotiamo alcune riflessioni di Amos Luzzatto.
La memoria di più di tremila anni di un popolo piccolo e troppo spesso
condizionato e messo alla mercé di potenze molto superiori a lui è costellata
naturalmente di pericoli, di persecuzioni, di ricordi luttuosi.
Il calendario ebraico presenta tre memoriali di tali persecuzioni, subite sotto
la forma di schiavitù in terra straniera (Pesach), di lotta contro un
oppressore che ha conquistato la tua terra (Chanukkà), di minaccia di genocidio
nella Diaspora (Purim). In questa occasione, avvicinandosi il “giorno della
memoria”, ricorderemo in particolare questo ultimo, che si assomiglia molto
alle persecuzioni dei nostri giorni.
Che cosa dice infatti il primo ministro persiano, il “perfido Haman” quando
cerca di convincere il Re dell’’opportunità della persecuzione antiebraica?
Citiamolo (Ester 3,8):
“Vi è un popolo [I] disperso e suddiviso fra i popoli in tutti gli Stati del
tuo Regno; [II] le loro regole sono diverse da qualsiasi altro popolo; [III] e
non eseguono le regole del Re; [IV] e il Re non ha convenienza di lasciarli in
pace.” In questo versetto troviamo un condensato di letteratura antisemitica
di tutti i tempi. Si comincia da un dato di fatto incontrovertibile (I). Il
punto (II) probabilmente è vero, ma, in un grande Impero come quello persiano,
certamente non per i soli ebrei; eppure, si indicano soltanto gli ebrei; perché?
La risposta dovrebbe trovarsi al punto (III), ma è una falsità. In realtà,
Mordekhay si è distinto addirittura per avere salvato il Re da un attentato
alla sua vita (2, 21-23); l’unica regola regale che egli viola è quella di
prostrarsi di fronte ad Haman, perchè lui, ebreo, si prostra solo davanti a
Dio. Haman generalizza la colpa di Mordekhay, la applica a tutti gli ebrei e li
vuole sterminare. Perché giunge a tanto ? Lo spiega l’argomento del punto (IV),
che è falso: il re, infatti, semmai è vivo per merito di un ebreo.
La salvezza è merito di una precisa, della regina Ester, la quale, per salvare
il suo popolo dal massacro, rischia il tutto per tutto:” se sarò perduta;
sarò perduta” (4,16). Ammiriamo il coraggio e lo spirito di sacrificio di
Ester, eppure lo zio le aveva ben detto che ella sarebbe comunque stata perduta,
mentre al popolo ebraico la salvezza sarebbe comunque giunta da altra fonte
(4,14).
Ci sono certamente nella Storia situazioni nella quali l’alternativa è invece
quella fra la difesa degli oppressi - a proprio rischio calcolato - e l’ostentata
indifferenza, l’astensione da qualsiasi intervento, l’argomentazione “non
avrei potuto fare nulla” oppure “avrei fatto peggio”, e l’impegno
coraggioso che pure c’è stato anche nei momenti peggiori. Ci sono stati,
anche fra i non ebrei, gli Schindler, i Perlasca, i Palatucci e molti altri
eroi, anonimi, ma non per questo meno meritevoli. Noi li chiamiamo chasidé
ummot ha-olam, i pii delle nazioni.
Non possiamo tacere di coloro i quali, declinando la propria responsabilità
personale e delegando ad altri la propria coscienza, sovrapponendo ad essa come
valore superiore la loro “regola regale”, ovvero la disciplina militare,
hanno ucciso, deportato, torturato, perché così erano stati comandati. E quei
pochi che hanno dovuto subire la meritata punizione di un Tribunale hanno spesso
assunto un atteggiamento di vittime e di martiri.
Nel Talmud babilonese (Pesachim 25b) si narra di un tale, presentatosi davanti a
Ravà per un consiglio: un’Autorità gli aveva ordinato di uccidere una
persona, in caso di disobbedienza sarebbe stato ucciso lui stesso. Ravà aveva
così risposto: “ Che ti uccidano, ma tu non uccidere. Hai forse rilevato che
il tuo sangue è più rosso del sangue di quell’altra persona?”
Chi è colui che si fa uccidere per non uccidere un altro? È un “giusto”?
Forse no, forse è soltanto un “retto”, una persona che aderisce a quei
principi che ci potrebbero far godere di una società umana più vivibile. Un
giusto spesso vive nell’ombra ma la sua “giustezza” si ripercuote
favorevolmente su tutta la collettività umana. Narra la leggenda ebraica che ce
ne sono trentasei, occulti non per complottare ma per salvare gli altri esseri
umani. Lamed-waw sono le due lettere che indicano in ebraico questo numero; è
per questo che”uno dei trentasei” viene detto, in yiddisch, un lamedwownik.
È l’espressione della speranza e, in ultima analisi, dell’ottimismo che
permette agli ebrei di sopravvivere.
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