Cristiani ed Ebrei fratelli nella speranza
Giorgio Barnardelli, su Avvenire 12 maggio 2006

Identità, cittadinanza, famiglia i temi del confronto tra il cardinale Walter Kasper e Amos Luzzatto già presidente delle Comunità ebraiche in Italia, che ieri ha caratterizzato la tappa aretina verso il convegno di ottobre. In comune l’impegno «ad alimentare quella pace fondata sulla giustizia»


ego vos, vos mihi

Sale fino a Camaldoli la città. Nel monastero del Casentino, dove sessant'anni fa, in un'ora buia della storia, i cattolici ponevano le premesse per una società nuova. Nel percorso sulla cittadinanza che vede questa settimana la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro e l'associazione «Rondine Cittadella della pace» preparare la strada al Convegno ecclesiale di Verona, Camaldoli era in qualche modo una tappa obbligata. Ma è stata soprattutto una tappa all'insegna di un altro filo importante che questo luogo ha contribuito in questi anni a riannodare: quello dell'amicizia tra ebrei e cristiani. A testimoniarlo al monastero sono giunti ieri il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, e il professor Amos Luzzatto, fino a pochi mesi fa presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Insieme a parlare non con discorsi preconfezionati, ma in un dialogo dove l'uno stimola l'altro. Immagine di una cittadinanza comune ritrovata dopo una storia dolorosa di rapporti difficili e persecuzioni.

«La speranza su cui si fondano entrambe le nostre tradizioni religiose - esordisce il cardinale Kasper - è una merce rara oggi. Dobbiamo testimoniarla insieme. Dobbiamo vivere uno accanto all'altro, facendo nostro quel detto ebraico secondo cui salvare un solo uomo vuol dire salvare il mondo intero. È il miglior antidoto alle ideologie che pretendono di salvare tutti e poi alla fine cancellano l'altro». «Ormai ci incontriamo tra amici - aggiunge Luzzatto -. Però ci sono due punti su cui dobbiamo ancora concentrarci. Non possiamo limitarci a un dialogo fine a se stesso: abbiamo davanti un mondo pericoloso e difficile di cui dobbiamo occuparci insieme. Ma dobbiamo sviluppare anche un linguaggio davvero comune. Perché a volte quando parliamo di umanità, salvezza, fraternità, rischiamo di parlare di cose diverse».

«Il mondo di oggi è segnato dall'ingiustizia - affonda il dito nella piaga il presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani -. Non può avere futuro se i due terzi dei suoi abitanti non hanno di che vivere e un terzo invece è nell'abbondanza. La pace non è solo il silenzio delle armi. La pace deve essere fondata sulla giustizia».

«Chi governa il mondo oggi non sembra avere le capacità per affrontare queste situazioni - gli fa eco senza mezzi termini l'autorevole voce ebraica -. E allora è un compito che spetta alle religioni. Perché di fronte a Dio non c'è distinzione tra gli uomini. Mi viene in mente quel brano del profeta Amos quando Dio dice che ha guidato i passi anche dei filistei. Sta parlando di quelli che già allora erano gli acerrimi nemici degli ebrei. Avevano persino rubato l'Arca sacra. Eppure nella parola rivelata al profeta viene posta la premessa per un atteggiamento di solidarietà».

Ma c'è anche un altro ambito che il cardinale Kasper ci tiene a porre al centro. Non si può parlare di cittadinanza oggi senza preoccuparsi per la crisi della famiglia. «Senza famiglie non c'è una società sana - argomenta il porporato -. E noi sappiamo bene che oggi questa crisi ci coinvolge tutti: ebrei e cristiani, praticanti e non praticanti. Dobbiamo chiederci anche su questo che cosa possiamo fare insieme». Affermare il valore della famiglia è una questione che tocca la dimensione della vita pubblica. Ma è anche un problema della coscienza e della volontà. Luzzatto risponde citando la definizione dell'ebreo come «figlio di Abramo nostro padre». Il concetto di famiglia - dice - «è talmente cruciale per la nostra tradizione da allargarsi a definire la nostra identità». Che fare dunque per rilanciare questa ricchezza? «È un problema di educazione - continua Luzzatto -. I valori non si propagano da sé». Forse è davvero questa oggi la sfida più impegnativa per una cittadinanza davvero condivisa.

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