... da Avvenire dell'11.12.2002


La tentazione pagano-cristiana

L'Antico Testamento non è né una propedeutica, né una preparazione letteraria, né una raccolta di temi e simboli: è un cammino autentico, necessario e attuale. Attuale, non per accostamenti aneddotici, ma nella comunione e nell'obbedienza a Dio: l'attualità spirituale dell'ingresso nel mistero dell'Elezione. Se i pagani che hanno accesso all'Alleanza, nel Cristo, non compiono questo cammino rischiano di non essere veramente convertiti e, dunque, di disprezzare il Cristo, proprio quando più credono di onorarlo. È la continua tentazione dei popoli pagano-cristiani. (…) In questo modo la figura di Cristo si riduce a quella mitica o meramente pagana della divinità alla quale la ragione occidentale impone il suo trionfo.

Il mistero d'Israele

Il mistero d'Israele è legato indissolubilmente al mistero dei cristiani. È proprio questo legame che siamo tentati di rifiutare, che rifiutiamo continuamente e che ci spinge a considerare il mistero d'Israele come estraneo alla fede cristiana. Di colpo tutti i discorsi su Israele fatti dai cristiani rischiano di risultare insopportabili a Israele. Lo scopo della nostra meditazione, tuttavia, non è quello di risultare sopportabili o insopportabili agli ebrei, bensì di essere noi stessi nella verità di quanto Dio ci chiede. Bisogna capire, dunque, che si tratta di un mistero cristiano, che addirittura sta a fondamento dell'essere cristiani. (…) Se pretendiamo di farne a meno, mostriamo quanto poco siamo cristiani. (…) Il punto è capire com'è possibile che persone istruite, affidabili, sinceramente cristiane, possano essere portate a rifiutare le proprie radici. (…) È l'oggetto di una lotta spirituale che impone una scelta riguardo a Dio e che suppone, dunque, l'offerta della vita. (…) Anche la teoria del rifiuto d'Israele appare un non-senso, un'assurdità, poiché presuppone che Dio possa essere infedele alla sua Alleanza. Allora non si comprenderebbe il mistero stesso di Cristo.

La prova assoluta

Il posto assegnato agli ebrei è la prova di come i pagani divenuti cristiani accettino veramente il Cristo. È davvero la prova assoluta. In questo caso non si tratta semplicemente del rapporto tra l'amore per il prossimo e l'amore per Dio. L'ebreo è il segno stesso dell'Elezione, e dunque di Cristo. Non riconoscerne l'Elezione vuol dire non riconoscere che Cristo è l'Eletto. E significa essere incapaci di accettare la propria Elezione. La logica è implacabile.

La Chiesa e la questione ebraica

Tanto più oggi dobbiamo accettare che Israele sia se stesso, che gli ebrei siano se stessi e che si definiscano come ritengono loro. Non dobbiamo idealizzare. Essi sono, come i cristiani, un popolo di peccatori chiamato a convertirsi, ad essere fedele alla grazia che gli viene elargita. (…) L'antisemitismo cristiano, infine, non si presenta come un problema di razzismo fra i tanti, ma piuttosto come un peccato - un peccato la cui enormità è indicativa di una infedeltà profonda alla grazia del Cristo. In ciò che i cristiani ricusano di Israele è attestato quel che essi respingono del Cristo e che non confessano come un rifiuto.

Per la coscienza cristiana la cosiddetta "questione ebraica" non è il problema di una minoranza razziale, etnica o culturale. In ogni popolo, quando ci sia una presenza straniera, si manifestano reazioni xenofobe. (…) Quando questo meccanismo si impadronisce dei cristiani nei confronti degli ebrei va a toccare direttamente la fede cristiana. Gli ebrei sono quello che sono solo nella misura in cui sono prima di tutti i testimoni dell'Elezione. Il loro rifiuto da parte dei cristiani è, lo si voglia o no, un'appropriazione abusiva o blasfema dell'Elezione. È il rifiuto concreto della realtà del dono di Dio, delle strade di Dio.

 

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