La tentazione
pagano-cristiana
L'Antico Testamento non è né una propedeutica, né una
preparazione letteraria, né una raccolta di temi e simboli:
è un cammino autentico, necessario e attuale. Attuale, non
per accostamenti aneddotici, ma nella comunione e
nell'obbedienza a Dio: l'attualità spirituale dell'ingresso
nel mistero dell'Elezione. Se i pagani che hanno accesso
all'Alleanza, nel Cristo, non compiono questo cammino
rischiano di non essere veramente convertiti e, dunque, di
disprezzare il Cristo, proprio quando più credono di
onorarlo. È la continua tentazione dei popoli
pagano-cristiani. (…) In questo modo la figura di Cristo si
riduce a quella mitica o meramente pagana della divinità alla
quale la ragione occidentale impone il suo trionfo.
Il mistero d'Israele
Il mistero d'Israele è legato indissolubilmente al mistero
dei cristiani. È proprio questo legame che siamo tentati di
rifiutare, che rifiutiamo continuamente e che ci spinge a
considerare il mistero d'Israele come estraneo alla fede
cristiana. Di colpo tutti i discorsi su Israele fatti dai
cristiani rischiano di risultare insopportabili a Israele. Lo
scopo della nostra meditazione, tuttavia, non è quello di
risultare sopportabili o insopportabili agli ebrei, bensì di
essere noi stessi nella verità di quanto Dio ci chiede.
Bisogna capire, dunque, che si tratta di un mistero cristiano,
che addirittura sta a fondamento dell'essere cristiani. (…)
Se pretendiamo di farne a meno, mostriamo quanto poco siamo
cristiani. (…) Il punto è capire com'è possibile che
persone istruite, affidabili, sinceramente cristiane, possano
essere portate a rifiutare le proprie radici. (…) È
l'oggetto di una lotta spirituale che impone una scelta
riguardo a Dio e che suppone, dunque, l'offerta della vita.
(…) Anche la teoria del rifiuto d'Israele appare un
non-senso, un'assurdità, poiché presuppone che Dio possa
essere infedele alla sua Alleanza. Allora non si
comprenderebbe il mistero stesso di Cristo.
La prova assoluta
Il posto assegnato agli ebrei è la prova di come i pagani
divenuti cristiani accettino veramente il Cristo. È davvero
la prova assoluta. In questo caso non si tratta semplicemente
del rapporto tra l'amore per il prossimo e l'amore per Dio.
L'ebreo è il segno stesso dell'Elezione, e dunque di Cristo.
Non riconoscerne l'Elezione vuol dire non riconoscere che
Cristo è l'Eletto. E significa essere incapaci di accettare
la propria Elezione. La logica è implacabile.
La Chiesa e la questione ebraica
Tanto più oggi dobbiamo accettare che Israele sia se stesso,
che gli ebrei siano se stessi e che si definiscano come
ritengono loro. Non dobbiamo idealizzare. Essi sono, come i
cristiani, un popolo di peccatori chiamato a convertirsi, ad
essere fedele alla grazia che gli viene elargita. (…)
L'antisemitismo cristiano, infine, non si presenta come un
problema di razzismo fra i tanti, ma piuttosto come un peccato
- un peccato la cui enormità è indicativa di una infedeltà
profonda alla grazia del Cristo. In ciò che i cristiani
ricusano di Israele è attestato quel che essi respingono del
Cristo e che non confessano come un rifiuto.
Per la coscienza cristiana la cosiddetta "questione
ebraica" non è il problema di una minoranza razziale,
etnica o culturale. In ogni popolo, quando ci sia una presenza
straniera, si manifestano reazioni xenofobe. (…) Quando
questo meccanismo si impadronisce dei cristiani nei confronti
degli ebrei va a toccare direttamente la fede cristiana. Gli
ebrei sono quello che sono solo nella misura in cui sono prima
di tutti i testimoni dell'Elezione. Il loro rifiuto da parte
dei cristiani è, lo si voglia o no, un'appropriazione abusiva
o blasfema dell'Elezione. È il rifiuto concreto della realtà
del dono di Dio, delle strade di Dio.
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