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Roma, svastiche
nel ghetto ebraico. Il Presidente Napolitano:
«Mobilitazione contro rigurgiti di
antisemitismo». Prodi: «Gesti intollerabili»
Numerose
svastiche sono state disegnate nella notte su
portoni, mura e saracinesche in via del Portico
d'Ottavia, al ghetto di Roma, che da sempre
accoglie la comunità ebraica della Capitale.
L'azione dei vandali, avvenuta nella notte dei
festeggiamenti per la vittoria della nazionale ai
Mondiali, si è concentrata nei pressi del civico
n. 9 tra il ristorante Korsher «Taverna del
ghetto» ed il «Caffè del portico».
LA
SOLIDARIETA' DI NAPOLITANO - Il Presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso al
Rabbino Capo di Roma, prof. Riccardo Di Segni,
la viva solidarietà alla Comunità Ebraica di
Roma, colpita da gesti che confermano la
necessità di un impegno conseguente sul piano
della vigilanza da parte delle autorità
preposte al rispetto della legge e della
mobilitazione culturale e civile contro ogni
rigurgito di antisemitismo e razzismo. Lo rende
noto l'ufficio stampa del Quirinale.
LA CONDANNA DI AMATO E PRODI - I teppisti non si
sono limitati però a disegnare il segno della
svastica su diversi citofoni ma hanno anche
imbrattato furgoni ed auto parcheggiati nelle
vicinanze. Del fatto si è parlato anche nel
corso della visita di Giuliano Amato alla
sinagoga, dove il ministro dell'Interno ha
incontrato i rappresentanti della Comunità
ebraica. «Mi vergogno da italiano che da
ministro dell' Interno mi debba preoccupare di
queste cose», ha detto Amato. «Non ci
dovrebbero essere - ha sottolineato Amato -
queste ragioni di preoccupazione, ma, ahimè, ci
sono. Basta una notte di festeggiamenti perché
la Nazionale ha vinto i Mondiali perché qualche
imbecille arrivi nel ghetto e scriva delle cose
inammissibili». Concetti ribaditi poco dopo
anche dal premier Prodi. «Ribadisco con forza e
sdegno che simili gesti non vanno sottovalutati
e non saranno tollerati», rincara il presidente
del Consiglio in un messaggio personale inviato
al Presidente dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Claudio Morpurgo.
SCRITTE
RIMOSSE - Appena avuta notizia dei simboli
antisemiti comparsi al Portico d'Ottavia, il
sindaco di Roma Walter Veltroni ha dato
disposizione perché si provvedesse
immediatamente alla loro rimozione. «Si tratta
- ha detto il sindaco - di una provocazione
intollerabile e si deve fare il possibile per
rintracciare e punire i responsabili».
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[Fonte: Corriere della Sera 11 luglio 2006]
Antisemitismo
d'accatto. La ripetitiva banalità del male
Giorgio Ferrari, su Avvenire 12 luglio 2006
Come
ci ricorda Hannah Arendt, è la banalità del male
ad essersi incarnata in Adolf Eichmann, non uno
spirito maligno superiore. La stessa banalità
retriva, ripetitiva, forse fiera della propria
ottusa irragionevolezza che fa tracciare svastiche
e scritte antiebraiche sui muri del ghetto di Roma
la sera del dì di festa, quando a centinaia di
migliaia le persone sciamavano per le strade per
godere della gioia circense del trionfo azzurro in
Germania.
E importa davvero poco se quelle scritte, quei
segni cabalistici che rimandano alla destra
eversiva, quelle rune, quelle svastiche fossero in
numero limitato, come qualcuno ha fatto osservare:
ne basta anche una sola di svastica, un solo
accenno ai Lager, ai forni crematori per
riaccendere la coda di quella bestia mai
completamente doma che è l'antisemitismo.
Episodi
di inqualificabile intolleranza punteggiano da anni
tutta Europa: ora un cimitero devastato, ora una
lapide alla memoria, ora un'aggressione fisica.
Accade nella civilissima Francia, accade in
Germania, nella ultratollerante Olanda, accade
nella patria della democrazia, la Gran Bretagna e
purtroppo anche da noi. Qualcuno, semplificando,
tende a giustificare le manifestazioni antiebraiche
mettendole in relazione con la politica di Israele
- soprattutto durante il predominio del Likud (ora
in gran parte rimpiazzato da Kadima) - ma si tratta
quasi sempre di una falsa prospettiva:
l'antisemitismo d'accatto, quello cioè che viene
dalle viscere, dalle profondità difficilmente
sondabili del malanimo collettivo, è frutto di
retaggi antichi più che di considerazioni attuali.
Abbiamo
addirittura il sospetto che talvolta al velo
dell'ignoranza che copre come un manto opaco i
gesti e l'idiozia di chi scribacchia sui muri o
spezza le lapidi nei cimiteri si sommi una sorta di
transfert semantico, grazie al quale la
svastica, la croce celtica, il richiamo nazista Sieg
heil! non siano altro che slogan, vezzi
fonetici buoni per gli stadi, espressioni
ortografiche prive del loro senso reale.
Ma
ciò è ancora peggio. Significa cioè che la
cultura dell'antisemitismo si è fusa in
profondità con il lessico ordinario, creando una
sotterranea ma non meno pericolosa (proprio perché
spesso tollerata) intolleranza.
Ed
è su questo versante che è necessario
intervenire. La memoria - vien da dire - dovrebbe
essere la medicina permanente, perché inasprire le
pene raramente serve davvero. Ma la memoria da sola
non basta. Occorrono soprattutto le parole (le più
alte, ieri, sono venute dal capo dello Stato). Ci
piacerebbe che chi l'altro giorno ha tracciato
quelle scritte sui muri di Roma leggesse (sempre
che sia in grado di leggere) queste: «Per tutti
gli anni che ci hanno rubato, che hanno rubato a
milioni di uomini, donne, bambini - specialmente
bambini! - che sono rimasti nei campi. Quanti anni,
decine, migliaia, milioni avrebbero ancora da
vivere? Quanti anni di vita sono andati in fumo nei
forni crematori dei Lager, nel più mostruoso furto
della storia?» Sono le parole di una sopravvissuta
all'internamento a Auschwitz-Birkenau, una donna
qualunque, romana, che oggi non c'è più. Per sua
fortuna, verrebbe quasi da dire. Almeno non ha
avuto il dispiacere e l'orrore di dover leggere
quelle scritte sui muri e sentirle graffiare nel
suo cuore.
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