La letteratura israeliana si è conquistata uno spazio sempre più vasto nel
favore dei lettori europei, e in particolare italiani, per la sua capacità di
coniugare il senso delle radici con una speciale attenzione per «l’altro»,
affrontando con coraggio i conflitti e le contraddizioni che lacerano le società
contemporanee e che si riflettono esasperate nel microcosmo medio-orientale.
Verranno a Torino scrittori che appartengono a generazioni diverse: dal «decano»
Aharon Appelfeld (di cui Guanda sta pubblicando l’opera omnia) e che terrà la
prolusione inaugurale la sera di mercoledì 7 maggio, a un altro grande
personaggio che incarna le ragioni del confronto multiculturale quale l’irakeno
Sami Michael, rifugiato in Israele nel 1949, che ha imparato l’ebraico come una
lingua straniera e ha pubblicato nel 1974 il suo primo romanzo, dal titolo
significativo: Gli uomini sono uguali, ma alcuni lo sono di più. Con loro Zvi
Yanai, la cui parabola esistenziale è molto simile a quella di Appelfeld
(l’ebraismo come lenta conquista che sostituisce l’identità europea d’origine).
Molto attesa giovedì 8 la partecipazione di Abraham B. Yehoshua con il suo nuovo
romanzo Fuoco amico.
Accanto a loro, scrittori dell’età di mezzo, come Meir Shalev, particolarmente
caro a Erri De Luca, che consiglia con calore il suo nuovo romanzo, Il ragazzo e
la colomba, Frassinelli, a «chi vuole gustare una storia con l’intelligenza del
cuore»; Alon Altaras (che insegna in Italia e si è rivelato un efficace pontiere
tra le due culture), Etgar Keret (è anche uomo di cinema, e racconta con humour
i paradossi della vita quotidiana), Ron Leshem (il suo Tredici soldati, che è
diventato anche un film, è ambientato durante guerra del Libano).
Particolarmente significativa la partecipazione delle scrittrici (molte delle
quali scrivono anche per i bambini): Savyon Liebrecht, Zeruya Shalev, Avirama
Golan, Shifra Horn, Sara Shilo, Orly Castel-Bloom, Lizzie Doron. Sabato sera un
reading di poesia con Shimon Adaf, Maya Bejerano, Ori Bernstein, Tali Latowicki,
Ronny Someck, presentati da Sara Ferrari.
La presenza degli autori israeliani alla Fiera consentirà a un autorevole gruppo
di storici e di studiosi di ripercorrere criticamente una storia tormentata, e
di mettere in luce quei gruppi e quelle iniziative che vedono ormai da tempo
israeliani e palestinesi lavorare insieme per sperimentare sul campo nuovi
modelli di convivenza. Ma anche di rivisitare le grandi esperienze culturali
dell’ebraismo (il rabbino Adin Steinsaltz, vero leader spirituale e autore di
una monumentale edizione commentata del Talmud in ebraico moderno, in dialogo
con Enzo Bianchi), della Shoah (quella italiana in specie, a settant’anni dalle
leggi razziali), anche in occasione della pubblicazione della «grande opera»
Utet) e della tormentata storia dei rapporti tra israeliani e palestinesi, con
la partecipazione, tra gli altri, di storici e studiosi quali Dan Diner, Stefano
Levi della Torre, Simon Levis Sullam, e Idith Zerthal.
Giovedì 8 l’incontro con Shlomo Venezia, cui testimonianza è particolarmente
preziosa, perché è uno dei rarissimi superstiti dei Sonderkommando, le squadre
speciali di prigionieri incaricati di eliminare i resti di chi «passava in gas»,
e che venivano a loro volta eliminate perché non raccontassero.
Sabato 10 lo storico Benny Morris incontra Sergio Romano e Antonio Ferrari in
occasione della pubblicazione presso Rizzoli del suo nuovo libro.
Claude Lanzmann presenterà a Torino l’edizione dvd del suo film-capolavoro,
Shoah, frutto di dodici anni di lavoro, che è anche diventato una primaria fonte
storiografica sull’argomento.
LO STATO DELLE COSE. DIECI FILM ISRAELIANI
AL MUSEO DEL CINEMA
Dall’8 al 13 maggio, in concomitanza con la Fiera, il Museo del Cinema ospita
una rassegna del cinema israeliano d’oggi, a cura di Grazia Paganelli. I registi
sono Amos Gitai, che sarà a Torino anche per un colloquio con il pubblico,
Eythan Fox, David Volach, Joseph Cedar (Beaufort, tratto dal romanzo di Ron
Leshem, anch’egli presente a Torino), Avi Nesher, Eran Kurilin, Ronit e Shlomi
Elkabetz, Vardit Bilu e Dalia Hager, Raphaël Najari. «Dieci film non possono
bastare a raccontare una cinematografia e neppure a mostrare le molte linee che
l’attraversano – osserva Grazia Paganelli - ma sono utili per comprendere le
tensioni e le urgenze, per avvicinarci ai temi, ai personaggi, agli attori e ai
registi, per comprenderne le difficoltà e per scoprire che anche in Israele il
cinema è l’occhio sensibile e discreto per osservare nel profondo un mondo e i
suoi microcosmi».