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Edith Stein una martire per due
popoli
"Pagine ebraiche" - il mensile dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane diretto da Guido Vitale - pubblica sul numero di dicembre un
articolo, qui anticipato, che replica a un intervento uscito sul primo
numero.
di Lucetta Scaraffia
Uno dei punti basilari della Dichiarazione dei diritti votata dall'Onu nel
1948 prevedeva il diritto di "avere o cambiare religione" poi trasformato
nel 1966, per pressione in gran parte islamica, in quella ad "avere o
adottare una religione" e poi, definitivamente, nel 1981, nel diritto ad
"avere una religione".
La filosofa Donatella Di Cesare, nel suo articolo su Edith Stein pubblicato
sul primo numero di "Pagine Ebraiche" - ma perché un giornale così
interessante doveva iniziare con una caduta del genere? - sembra condividere
proprio questo tipo di ostilità verso le conversioni. Tanto da scrivere che
Edith Stein, "alla disperata ricerca di un'assimilazione negata, si era
messa a scrivere di mistica, diventando cattolica, tomista e perfino
carmelitana".
E prosegue definendo la conversione "fuga assurda" e il suo essere
carmelitana "una sorta di festa in costume" con le parole di Günther Anders,
che parafrasa, ma omettendo però di scrivere che lo stesso filosofo nemmeno
si sognò di mettere in dubbio "la bona fides, se non l'optima
fides, di Edith Stein", ben diversa ai suoi occhi dalla conversione per
convenienza del comune maestro Husserl.
Insistere sul fatto che la conversione della Stein e la sua scelta di farsi
religiosa carmelitana avvennero alla fine di un percorso consapevole e
intenso anche dal punto di vista intellettuale è talmente noto da essere
inutile. Le parole con cui Di Cesare bolla la filosofa facendosi scudo con
citazioni estrapolate da Anders - che non può essere considerato l'unico
veridico testimone e interprete solo per il fatto di essere nato anche lui a
Breslavia e di averla conosciuta in gioventù - sono dunque sintomo non solo
di disinvolta approssimazione, ma di un forte pregiudizio nei confronti
delle conversioni dall'ebraismo, in questo caso poi particolarmente
infondato.
Ma se a Edith Stein viene negato il diritto di scegliere la sua vita e la
sua religione, Di Cesare attribuisce alla Chiesa cattolica colpe e poteri
che storicamente non hanno fondamento: sui silenzi di Pio xii il dibattito
può essere considerato ancora aperto, malgrado una sempre più estesa
documentazione - prodotta non solo da parte cattolica - che ha smontato
questa interpretazione, ma dal punto di vista storico è assurda la
dichiarazione che "quella ebrea", cioè la Stein, "forse non sarebbe stata
ridotta al silenzio se la Chiesa non avesse taciuto".
Di Cesare infatti sembra ignorare che della recrudescenza antisemita in
Olanda - che portò alla deportazione della religiosa e di sua sorella,
anch'essa convertita e ospitata nello stesso monastero - una delle
principali cause fu notoriamente proprio la severa presa di posizione
pubblica del clero cattolico olandese contro la persecuzione nazista degli
ebrei. Per questo Edith Stein può essere considerata al tempo stesso martire
ebrea e cristiana, come del resto lei ha sempre voluto essere, fedele al suo
popolo anche nella conversione e nella vita religiosa.
E proprio per questo si dovrebbe ritenere la Stein appartenente a entrambi i
popoli, in misura di quanto essi hanno intenzione di avvicinarsi al suo
insegnamento e ai suoi scritti. E solo l'ignoranza dei fatti, oppure un
pregiudizio non scalfibile, può spiegare l'uso di un'altra citazione di
Anders, e cioè che il Vaticano si occupa tanto della Stein "solo perché
sente l'urgenza di procurarsi un alibi". Chi ha promosso e sostenuto la
pensatrice è stato Giovanni Paolo II, Papa filosofo vicino alla
fenomenologia di Husserl e della stessa Stein, che vedeva nel pensiero e
nell'esempio femminile della filosofa carmelitana un modello per la Chiesa
moderna.
Si è trattato, in sostanza, di una scelta femminista e culturale, come
prova, del resto, l'ingente bibliografia sulle opere filosofiche e mistiche
dell'intellettuale. La morte nel campo di sterminio è stata decisiva per
dichiararla martire, e quindi rendere più rapido un percorso di
canonizzazione altrimenti destinato a essere molto più lungo - chi chiede
miracoli a una filosofa? - e per questo fortemente sostenuto da un Papa che
voleva portarla al centro dell'interesse della cultura contemporanea, non
solo cattolica.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2009)
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