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Dante tra Mosè e San Giovanni
Pietro Gibellini, Avvenire 14 giugno 2007
[Recensione su Avvenire]
Il testo e L'autore:
Lodovico Cardellino, Dante e la Bibbia,
Collana: Bibbia e Oriente - Supplementa, Con 13 illustrazioni in b/n fuori
testo, Sardini Editore, Bornato in
Franciacorta (BS) 2007
Dante ha impostato la Commedia come “poema sacro” (Pd XXV 1; “sacrato poema”
in Pd XXIII 62), a imitazione della Bibbia: i primi due regni secondo un
apparente spirito legalistico biblico (più attenuato nel Purgatorio), il terzo a
imitazione del vangelo di Giovanni; alla luce del terzo si potranno e dovranno
rileggere con diverso spirito anche i precedenti. La Commedia poi riprende e
coinvolge tutta l’attività di Dante, a partire dalla Vita Nuova, che è citata
letteralmente nel poema e che già si concludeva con la visione che sarà al
centro del poema e con l’impegno di dedicare il resto della vita a prepararsi
per cantare degnamente tale visione.
Perciò un esame del rapporto fra la Commedia e il vangelo si rivela necessario
per comprendere quello fra l’opera completa di Dante e l’intero corpo biblico,
rapporto che, esaminato nei dettagli, comporterebbe ben altra mole di lavoro,
solo in parte intrapreso programmaticamente da molti valenti studiosi in un
convegno dedicato a tale argomento vent’anni fa. Le citazioni bibliche, dirette
o indirette, sono numerosissime; ne sono state contate circa cinquecento nella
sola Commedia e sono segnalate in ogni edizione scolastica del poema; molte (se
non tutte) sono state esaminate individualmente in articoli specialistici o in
letture dantesche, ma raramente in una prospettiva che aiuti a inquadrarle nel
loro complesso. In particolare è frequente, e spesso rilevato dalla critica, il
ricorso a immagini e citazioni bibliche in Inferno, anche nei discorsi di
Virgilio, ma non mi risulta che ne sia stata data una spiegazione complessiva
convincente; in Purgatorio è vistoso il parallelismo di esempi biblici e
mitologici, mentre in Paradiso prevalgono le similitudini con episodi
mitologici.
Scopo principale di questo studio è dunque quello di riconoscere il fondamento
del rapporto stretto che c’è tra la Commedia e la Bibbia e in particolare i
vangeli; tale riconoscimento porterà a individuare alcuni aspetti centrali di
questi e di quella, di solito trascurati dalla critica. Nell’esame dei testi
biblici mi servirò solo della versione latina della Vulgata, di cui si serviva
Dante che, come tutta la sua epoca, ignorava il greco.
(Dalla Premessa dell’Autore)
LODOVICO CARDELLINO è nato ad Aosta nel 1941. Laureato in fisica teorica
(Università di Torino, tesi con Tullio Regge) a 21 anni e in filosofia
(Università Cattolica di Milano, tesi sul cinema di Fellini), frequenta corsi di
specializzazione in telecomunicazioni (Politecnico di Torino) e in giornalismo e
mezzi audiovisivi (Univ. Cattolica-Bergamo, tesi su Fellini). Dal 1969 al 1972 è
professore di ruolo di matematica e fisica nelle Scuole superiori di secondo
grado e poi preside di Istituto tecnico. Scrive saggi critici su Fellini,
Bergman e altri registi, e tiene conferenze su cinema, arte e letteratura in
Europa e America latina. Dal 1974 è addetto all’Istituto italiano di cultura di
Città del Messico. Tiene conferenze e lezioni presso varie università,
televisioni e radio dell’America latina. Dal 1977 si trasferisce a Mogadiscio
come addetto culturale. Nel 1980 rientra in Italia e si dedica a tempo pieno
alla letteratura e all'esegesi. Nel 1992 esce, per i tipi di Jaca Book, un suo
vasto studio introduttivo all’Inferno di Dante, dal titolo “Autocritica
infernale”, frutto degli studi danteschi quarantennali che da sempre sono, con
gli studi biblici, il suo principale interesse. Nel 2003 pubblica per i tipi di
Sardini il libro “La Commedia come ermeneutica biblica (I primi 14 canti del
Paradiso)”. Dal 1994 pubblica su “Bibbia e Oriente” e su “Rivista Biblica”
articoli di esegesi biblica, in particolare sui vangeli di Giovanni e di Matteo,
ispirati a criteri ermeneutici riconosciuti inizialmente nel poema dantesco ed
esaminati anche in questo saggio.
Dante tra Mosè e San Giovanni
Pietro Gibellini, Avvenire 14 giugno 2007
500 citazioni: tanti sono gli echi della Bibbia nella Divina Commedia Ma non
basta: tutto lo schema delle tre cantiche risulta impostato sul modello dei due
Testamenti. La tesi di uno studioso. Il poema illustrerebbe l'ascesa dalla Torah (e dai classici greci e latini) allo
Spirito: l'Inferno è il regno della legge biblica, il Paradiso quello del
Vangelo, mentre nel Purgatorio domina la misericordia. L’Alighieri rifiuta ogni
interpretazione letterale dei testi sacri e ogni morale assoluta: le leggi
riguardano solo Cesare e non devono essere attribuite a Dio. Persino la
collocazione dantesca delle anime nei gironi della pena o nei cerchi della
gloria non ha valore definitivo, ma conserva solamente un significato
spirituale.
Mezzo migliaio, uno più uno meno. Tanti sono gli echi della Bibbia nella Divina
Commedia, fra citazioni, allusioni e reminiscenze. A tacere delle molte edizioni
commentate del poema, non mancano studi dedicati ai singoli aspetti, a partire
dagli atti del convegno che vent'anni fa l'associazione «Biblia» dedicò al tema
e che furono pubblicati da Olschki.
Eppure credo che il volume di Lodovico Cardellino, Dante e la Bibbia, sia
il primo tentativo di interpretazione sistematica di quel delicato e cruciale
rapporto. L'opera cade in tempi maturi per una riconsiderazione, anche da parte
della cultura laica, della formidabile incidenza che il testo sacro ha avuto
nella letteratura e nell'arte dell'Occidente: convegni e pubblicazioni al
riguardo si vanno infittendo, anche al di là delle Alpi e dell'Atlantico. Ma
quest'opera esce vicino a noi. La pubblica infatti Sardini di Bornato
Franciacorta come quaderno a latere della rivista Bibbia e Oriente
(pp. 224, euro 24). L'autore non è un accademico: aostano, si è laureato in
fisica e in filosofia, ha girato mezzo mondo come addetto agli Istituti italiani
di cultura.
Occorrevano forse la libertà dall'accademia, l'ardore e l'ardire del dilettante
in senso nobile e una ventennale fatica per tentare un'impresa che fa tremar le
vene e i polsi. Sono vent'anni, infatti, che Cardellino pubblica ricerche su
singoli aspetti del problema, tessere ora riunite in mosaico compiuto e
complesso.
Sì, il libro è complesso (per quanto lodevolmente chiaro), ma la tesi portante
può riassumersi in breve. Il Vangelo insegna a leggere l'Antico Testamento in
senso spirituale, al di là del senso letterale. San Gregorio Magno esprimeva
questo programma esegetico nell'immagine di due ruote che si corrispondono punto
a punto: «Il Nuovo Testamento è una ruota dentro la ruota del Vecchio», svela
ciò che l'altro celava. Dante sviluppa questa immagine nel cielo della sapienza,
dove due corone di beati ruotano attorno a Beatrice (immagine del Verbo divino)
tessendo le lodi rispettivamente di Francesco, alter Christus, e di
Domenico, che sarebbe un «doppio» del Battista, ancora vòlto verso la Legge e
l'Antico Testamento.
Un nuovo lustro appare infine attorno alle due ruote, come nuovo «poema sacro»
(Paradiso XXIII 62 e XXV 1). Dante infatti ha impostato il suo poema per
illustrare entrambe le Scritture: l'Inferno sarebbe il regno della legge
biblica, il Paradiso brilla per l'assoluzione evangelica di tutto ciò che in
inferno era apparso condannato. E il Purgatorio? Vi regnerebbe la misericordia
biblica, concessa dopo confessione, pentimento e penitenza, secondo il richiamo
dei Profeti e del Battista. Le tre cantiche segnerebbero l'ascesa dalla Torah (e
dalla sapienza dei classici greco-latini) allo Spirito evangelico, di cui
l'autore (diversamente da quanto oggi si tende generalmente a fare) avverte più
lo stacco che la continuità con quei due Mondi antichi (ma nell'occhio
dell'aquila celeste pone equamente due beati ebrei, due pagani e due
cristiani…).
Nella costruzione del suo poderoso edificio, Dante guarderebbe continuamente al
Vangelo di Giovanni, anche se, invece di cominciare come lui «in principio» (a
imitazione della Genesi), inizia con «nel mezzo», dalla fase legalista, una fase
di transito come quella di Israele nel deserto e di Lazzaro: ha colto il senso
della risurrezione di Lazzaro e l'ha applicato a sé, riconoscendo anche il
valore di stimolo, se non del peccato in sé, almeno della consapevolezza del
peccato.
Cardellino legge così il poema come un esame di coscienza fatto da Dante,
riconoscimento autocritico essenziale alla conversione e al ritrovamento di Dio
in sé. La Commedia, come il Vangelo, si oppone a ciò che lo studioso chiama «fondamentalismo
etico ed esegetico»: rifiuta ogni interpretazione letterale delle Scritture e
l'attribuzione a Dio di leggi morali assolute, scritte nella pietra. Dunque un
Alighieri anarchico o buonista? Senz'altro no: Dante riconosce la necessità di
leggi nella società, purché queste riguardino Cesare e non siano attribuite a
Dio.
Il divieto evangelico di giudicare rivive nel poema, dove Beatrice lo sottolinea
nell'Eden raccomandando a Dante di farne tesoro. Ma allora Dante, che ha ficcato
all'inferno papi e sovrani, smentisce se stesso? Qui sta il punto per
Cardellino: come la Bibbia non va letta secondo la lettera ma secondo lo
spirito, così Dante vuole che il suo poema sacro non sia preso alla lettera: la
visione delle anime proposta sarebbe virtuale, anzi consapevolmente
inattendibile (come conferma il IV canto del Paradiso). Ma, anziché negare se
stessa o disperdersi nell'inconoscibile buio dei mistici, la visione dantesca
mantiene un preciso significato spirituale, chiarito dalla presenza in paradiso
di spiriti che ricordano comportamenti molto simili a quelli dei dannati e dei
purganti.
L'autore del saggio ne deduce che il senso di tutta la visione, e il suo oggetto
primo, è la condizione morale di Dante, e con lui di ogni lettore: egli vede
tutti in inferno quando in lui dòmina una atteggiamento «legalista» o «fondamentalista»,
mentre trova tutti in paradiso quando è davvero convertito, passato cioè dalla
scuola di Virgilio e del Deuteronomio a quella di Beatrice, cioè del Verbo
espresso nel Vangelo: la stessa escatologia proposta da Giovanni.
Certo, vari punti del saggio appaiono suscettibili di discussione, e alcuni
perfino sconcertanti: si pensi all'ipotesi di un Virgilio di cui Dante si
farebbe burla, cogliendolo in contraddizioni e svarioni: l'ipotesi collima con
l'immagine del poeta pagano inconsapevole profeta che reca la lucerna dietro la
schiena rischiarando la via a chi lo segue ma non a sé. Ma urta contro la
riverenza così spesso esibita dal mistico pellegrino al suo duca e auctor.
Ovvero all'abbondanza di figure mitologiche proprio nel Paradiso, nella cantica
cioè dove più forte dovrebbe essere la distanza dal sapere pre-cristiano (non si
tratterà dunque di una scelta retorica, da stilus tragicus?). E come
conciliare la svalutazione del senso letterale della Commedia con il concetto di
figura elaborato da Auerbach universalmente accolto? Resta un fatto: questo è un
libro che costringe a ripensare la Commedia nel suo significato complessivo. E,
con essa, anche il Vangelo di Giovanni.
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