Tutti conoscono
Gesù. Cristiani, ebrei,
musulmani. E tutti sembrano avere un’idea incrollabile di chi era, cosa ha
rappresentato, cosa ha lasciato.
Ne sa qualcosa Thomas Cahill. Lo scrittore newyorkese, noto in Italia
soprattutto per il best seller Come gli irlandesi salvarono la civiltà, sapeva
di giocare col fuoco dando alle stampe un libro sul cristianesimo. Ma non si
aspettava la valanga di precisazioni, domande, lamentele, critiche ed elogi che
la pubblicazione in America di Desiderio delle colline eterne ha suscitato. Per
questo l’uscita in Italia lo rende un po’ nervoso e lo spinge a fare una
precisazione: «Parlando di Gesù non è possibile attenersi ai fatti puri e
semplici, perché c’è sempre un filtro personale – spiega durante mezza
giornata di pausa in un massacrante tour statunitense –, ma non è mia
intenzione fornire una nuova interpretazione storica o religiosa della figura di
Gesù».
Cahill è arrivato a parlare di cristianesimo durante un viaggio alla ricerca
delle radici della civiltà occidentale, iniziato studiando il ruolo dei monaci
irlandesi nel Medioevo e passato attraverso un saggio sull’ebraismo. Il quarto
volume della serie, già nelle librerie Usa, è dedicato all’antica Grecia,
mentre è in lavorazione un’opera che l’autore per ora descrive così: «Voglio
spiegare come i romani sono diventati gli italiani».
Quale è dunque lo scopo di «Desiderio delle colline eterne»?
«Quello che ho cercato di fare è trasportare i lettori all’interno del mondo
e del tempo in cui Gesù predicava. Farli immedesimare, ricrearne il contesto
sociale, l’atmosfera. Far capire come ci si doveva sentire a essere lì ed
ascoltare le rivoluzionarie parole di quest’uomo, a essere toccati dalla sua
mano, a essere guariti da lui».
Nel libro sostiene che Gesù è la figura centrale della civiltà occidentale.
Pensa sia importante ricordarlo?
«Assolutamente sì. Noi occidentali abbiamo bisogno di guardarci indietro.
Altrimenti corriamo il rischio di diventare orfani. Tutto diventa relativo e
contingente. Chi si chiede ancora come siamo diventati ciò che siamo? E perché?
E quali valori stanno alla radice del nostro mondo?».
L’ordine dei libri nella serie non è cronologico, ma il volume su «I doni
degli ebrei» e quello su Gesù sembrano uno la continuazione dell’altro. È
così?
«Ho scritto il libro sugli ebrei con in mente un pubblico cristiano, e quello
su Gesù per un pubblico non cristiano. Voglio che sia evidente quanto abbiamo
in comune, e si capisca che le radici sono le stesse. Non ho cercato di dare una
spiegazione intellettuale di una o dell’altra religione, ma una percezione
quasi istintiva del loro valore».
Chi è il Gesù che emerge dal suo libro?
«In realtà presento diversi Gesù attraverso diversi punti di vista, prevalentemente quelli degli evangelisti. Guardo a Gesù attraverso le
testimonianze. Lo vediamo agire e parlare attraverso la bocca e gli occhi di
altri e a volte non sembra neanche la stessa persona. Il Gesù di Giovanni ad
esempio è verboso, prolisso: Giovanni lo investe di simbolismi e metafore. Ma
il Gesù che emerge attraverso gli occhi degli apostoli è sorridente, ironico,
e i suoi paradossi vincono contro le stupide forze del male».
Lei è cattolico. Pensa si capisca dal libro?
«Spero che la fede non abbia influenzato il mio punto di vista. In realtà il
Gesù che metto in luce va al di là del Gesù della tradizione cattolica. È un
Gesù che fa obiezioni, che protesta, che rifiuta categorizzazioni. Sono
convinto che la sua persona non possa essere spiegata da una sola tradizione
religiosa. Per questo ho sentito il bisogno di riavvicinarmi alla fonte e
riscoprire chi era. E di chiedermi che cosa significa veramente essere un
seguace di Gesù».
Ha trovato la risposta?
«L’ho trovata nella storia del buon samaritano. O quando Giovanni dice che si
salverà chi fa qualcosa per gli altri. Che è poi il messaggio dei profeti
ebraici: aiuta gli altri. La frase che Gesù ha ripetuto più di ogni altra, in
molte varianti, è: “Mi troverai fra i poveri”. Ma continuiamo a
dimenticarcene. Finché qualcuno ce lo ricorda. Succede in ogni epoca: emerge un
movimento di riforma, un appello alla radice del messaggio cristiano.
Nell’Italia di oggi vedo un richiamo del genere nell’attività della comunità
di Sant’Egidio. Ma nuovi pensieri emergono ad ogni nuova lettura dei Vangeli.
In epoche diverse, in contesti diversi, troviamo nuove risposte».
Forse oggi dobbiamo cercare risposte sul nostro rapporto con l’islam.
«I Vangeli ci insegnano a guardare con compassione a questo fratello minore. È
più giovane del cristianesimo di 700 anni e non ha ancora avuto una figura
riformatrice e pacificatrice come è stato per noi Papa Giovanni. Anche
nell’Occidente l’idea di tolleranza è emersa solo dopo secoli di guerre e
sangue sparso in nome di Dio. Dobbiamo dare tempo all’islam e non
intrometterci nel processo di maturazione che inevitabilmente verrà dal suo
interno».
|