Benedetto XVI ha pronunciato un'omelia di una
profondità, spessore e luminosità indicibili, ricca di insegnamento e
di semi di meditazione e contemplazione. Il discorso è strettamente
intessuto delle "radici". Il mistero della vera luce portata da
Cristo è inseparabile, perché ne proviene intrinsecamente, dall'Antica
Alleanza, la quale - tuttavia - non viene sostituita, ma permane come
"'l'altra faccia della stessa medaglia"
Un
grande silenzio, pieno di attenta meditazione e preghiera ha accolto
le parole di Benedetto XVI alla fine della profonda omelia da lui pronunciata durante la messa nella basilica di san Pietro, nella solennità
dell’Epifania. È una delle novità portate da questo papa per cui la
liturgia è incontro con il mistero di Gesù, non spettacolo a cui
assistere. Benedetto XVI ha definito l’Epifania “un
mistero di luce”, quella di Cristo, che “si irradia sulla terra,
diffondendosi come a cerchi concentrici”: alla Vergine Maria e a
Giuseppe; ai “pastori d Betlemme”, rappresentanti del “resto di
Israele, i poveri, gli anawim”; e “raggiunge infine i Magi, che
costituiscono le primizie dei popoli pagani”.
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Abbiamo estratto, dal testo, il riferimento
maggiormente esplicito ad Israele ed alle radici. Naturalmente il discorso
è profondamente cristologico, ma conserva la realtà ed il valore
dell'Antica Alleanza e dell'intera Storia della Salvezza, che persistono
in tutto il loro splendore a prescindere dalla loro - per i cristiani -
ricapitolazione e compimento nel Signore Gesù.
[...]
Nel mistero dell’Epifania, dunque, accanto ad un movimento di
irradiazione verso l’esterno, si manifesta un movimento di attrazione
verso il centro, che porta a compimento il movimento già inscritto nell’Antica
Alleanza. La sorgente di tale dinamismo è Dio, Uno nella sostanza e Trino
nelle Persone, che tutto e tutti attira a sé. La Persona incarnata del
Verbo si presenta così come principio di riconciliazione e di
ricapitolazione universale (cfr Ef 1,9-10). Egli è la meta finale della
storia, il punto di arrivo di un "esodo", di un provvidenziale
cammino di redenzione. Per questo, nella solennità dell’Epifania, la
liturgia prevede il cosiddetto "Annuncio della Pasqua": l’anno
liturgico, infatti, riassume l’intera parabola della storia della
salvezza, al cui centro sta "il Triduo del Signore crocifisso,
sepolto e risorto". Nella liturgia del Tempo di Natale ricorre
spesso, come ritornello, questo versetto del Salmo 97: "Il Signore ha
manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua
giustizia" (v. 2).
Sono parole che la Chiesa utilizza per
sottolineare la dimensione "epifanica" dell’Incarnazione: il
farsi uomo del Figlio di Dio, il suo entrare nella storia è il momento
culminante dell’autorivelazione di Dio a Israele e a tutte le genti. Nel
Bambino di Betlemme Dio si è rivelato nell’umiltà della "forma
umana", nella "condizione di servo", anzi di crocifisso (cfr
Fil 2,6-8). È il paradosso cristiano. Proprio questo nascondimento
costituisce la più eloquente "manifestazione" di Dio: l’umiltà,
la povertà, la stessa ignominia della Passione ci fanno conoscere come
Dio è veramente. Il volto del Figlio rivela fedelmente quello del Padre.
Ecco perché il mistero del Natale è, per così dire, tutto una
"epifania".
La manifestazione ai Magi non aggiunge
qualcosa di estraneo al disegno di Dio, ma ne svela una dimensione perenne
e costitutiva, che cioè "i Gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a
partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere
partecipi della promessa per mezzo del vangelo" (Ef 3,6). Ad uno
sguardo superficiale la fedeltà di Dio a Israele e la sua manifestazione
alle genti potrebbero apparire aspetti fra loro divergenti; in realtà,
sono le due facce della stessa medaglia. Infatti, secondo le Scritture, è
proprio rimanendo fedele al patto di amore con il popolo d’Israele che
Dio rivela la sua gloria anche agli altri popoli.
"Grazia e fedeltà" (Sal 88,2),
"misericordia e verità" (Sal 84,11) sono il contenuto della
gloria di Dio, sono il suo "nome", destinato ad essere
conosciuto e santificato dagli uomini di ogni lingua e nazione.
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