Comunità ebraiche: è riduttivo sulle colpe degli uomini
Corriere della Sera 29 maggio 2006

Nel pubblicare questo articolo apparso sul Corriere di oggi, lo accompagnamo  con una nostra riflessione. Comprendiamo come la grave ferita provocata dalla Shoah appaia ancora oggi insanabile; per cui anche gesti grandi, di profondo significato, possano esser visti come inadeguati, ma si perda così l'occasione perché la storia esca dalle strettoie di una memoria che può far correre il rischio di rimanere bloccati invece di proiettare in un mondo rinnovato da noi e dal nostro dialogo, che può permetterci di agire-insieme, lasciando entrare D-o nella nostra storia anche attraverso la riconciliazione. Ci è dato costruire il futuro solo su un passato 'guarito', redento... aiutati dal pensiero di come anche questo Papa abbia in più occasioni e in diversi modi condannato l'antisemitismo in tutte le sue forme e origini, passate e - purtroppo - ancora presenti, da combattere e vincere insieme. (ndR).

«Il discorso sul nazismo e la Shoah, come dire, mi pare un po’ riduttivo». Claudio Morpurgo, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ha appena finito di seguire in televisione il discorso del Papa [visita e preghiera di Benedetto XVI ad Auschwitz, 28 maggio 2006 -ndr] e non nasconde la sua «perplessità». Certo, «come ebrei non possiamo non cogliere il valore altamente simbolico di questa giornata». Ma d’istinto dice una cosa che ricorre in diversi commenti del mondo ebraico, laico e religioso, parole misurate ma secche e un velo di delusione: «C’è un passaggio interessante sul silenzio di Dio, un tema assai studiato dalla stessa teologia ebraica. Però avverto un rischio di fuga dalle responsabilità: il problema non è tanto chiedersi dov’era Dio, ma dov’erano gli uomini». Ecco la questione centrale: il rabbino Giuseppe Laras è presidente dell’assemblea rabbinica italiana e docente di filosofia ebraica alla Statale di Milano, un uomo che con i problemi teologici ha una certa familiarità, però dice che «se si fa di Auschwitz un problema teologico, si rischia di distogliere l’attenzione da ciò che è accaduto: il problema sono gli uomini, la loro responsabilità, e semmai la questione è l’uso malvagio che l’uomo ha fatto della sua libertà rinnegando Dio». Laras è un uomo mite e sorride: «Nessuno vuole fare il giudice del Papa, tanto più che il suo ruolo non è affatto facile.

Ci rendiamo tutti conto della grandezza del suo gesto, di quanto sia importante che si sia posto sulla scia del suo predecessore. Però, sa com’è, sono più facili le riflessioni critiche che gli elogi, e del resto vogliono solo essere uno stimolo al dialogo». Così il rabbino non gira intorno alle parole, «ho avuto l’impressione che il suo discorso fosse piuttosto generico, talvolta reticente, sarà il carattere ma mi è parso un po’ abbottonato». Per dire: «Mi ha colpito che non nominasse mai la parola "antisemitismo". Che abbia parlato di "sei milioni di polacchi uccisi" ma non dei sei milioni di ebrei, e sì che la cifra è evocatrice, no?». E poi c’è la faccenda dei tedeschi: «Per spiegare il loro coinvolgimento nella Shoah, ha parlato di un inganno ordito da un gruppo di criminali: vorrei che fosse stato così, ma non è stato esattamente così». Lo dice pure Claudio Morpurgo, «l’antisemitismo è un fenomeno complesso, la Shoah è il punto d’arrivo di un’operazione secolare che ha diverse matrici ed è molto più ampia di Auschwitz: contiene anche le leggi razziali e l’acquiescenza di tanti». Un velo di delusione, appunto, «un discorso grande all’inizio e alla fine e problematico nel suo contenuto», riflette il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: per nulla convinto dall’interpretazione delle responsabilità tedesche, «come se il popolo tedesco fosse egli stesso vittima e non, invece, dalla parte dei persecutori».

C’è una sorta di ritiro rispetto a un disegno imperscrutabile di Dio. Ma se Dio non si può giudicare, abbiamo il dovere di giudicare la storia, perché la storia la fanno gli uomini». Pure Di Segni non usa eufemismi verso Benedetto XVI, «se è stato importante e significativo che abbia definito il popolo ebraico come testimone di Dio, non ha tuttavia colto la centralità di Auschwitz come simbolo del martirio del popolo ebraico». Resta «un difficile percorso di dialogo e il senso di una storia controversa». Ma resta anche, sorride il rabbino, l’arcobaleno apparso d’improvviso dietro il Papa in preghiera, «un segno spettacolare su cui dobbiamo riflettere... ».
Gian Guido Vecchi


v.anche
Discorso del Papa ad Auschwitz, 28 maggio 2006

| home | | inizio pagina |