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Terra Santa, la lingua dell'incontro
Giorgio Bernardelli, su Avvenire 4 giugno 2008 È
stato uno dei pionieri della piccola comunità cattolica d’espressione ebraica,
che grazie a lui oggi celebra la Messa nella propria lingua. Ma è anche l’autore
del primo dizionario di arabo palestinese, l’arabo effettivamente parlato in
Israele e nei Territori, un po’ diverso rispetto all’arabo classico. Fratel
Yohanan Elihai, 82 anni, dei Piccoli fratelli di Gesù, è la dimostrazione
vivente di come il 'dono delle lingue' sia ancora un grande segno dello Spirito
a Gerusalemme. E proprio a lui questa sera l’Università di Haifa consegnerà una
laurea honoris causa in filosofia. Un riconoscimento - si legge nella
motivazione - «alla sua personalità debordante d’amore per l’uomo, per il popolo
ebraico e per la terra d’Israele» e per il suo «contributo di linguista
eccezionale alla coesistenza tra i popoli in Israele».
È l’intera vita di fratel Yohanan a parlare la lingua dell’incontro. Nato in
Francia (si chiamava Jean Leroy prima di scegliere un nome ebraico), è dal 1956
che vive in Israele con lo stile di condivisione proprio dei Piccoli fratelli di
De Foucauld. Fatto interessante: proprio la famiglia religiosa che ha nel suo
dna il dialogo con il mondo islamico, nella Chiesa ha svolto un’opera poco nota
(ma non meno significativa) a favore della comprensione del mondo ebraico.
«Di famiglia cristiana, ignorando tutto del popolo ebraico - ha raccontato di sé
fratel Yohanan nel suo libro Ebrei e cristiani. Dal pregiudizio al dialogo,
tradotto in italiano da Qiqaion - è a diciannove anni che scoprii l’orrore della
Shoah. Pellegrino a Gerusalemme nel 1947, ebbi il mio primo incontro con questo
popolo ritornato a vivere, finalmente libero, sulla terra dei suoi avi. E
pensavo: qui sta succedendo qualcosa di storico, e il mondo cristiano non lo
vede».
Che cosa significasse allora quel «non lo vede» fratel Yohanan l’ha spiegato in
maniera efficace qualche settimana fa, quando in un lungo articolo sulla rivista
Echo d’Israel ha citato un episodio di quel primo pellegrinaggio, compiuto
mentre era seminarista a Beirut: «A Gerusalemme la nostra guida, un gesuita
francese, non diceva una parola su tutto ciò che era ebreo. Quando ci rimettemmo
in viaggio per tornare in Libano gli chiesi perché non passavamo da Tel Aviv.
Lui mi rispose seccato: non ci interessa, noi siamo venuti in Terra Santa».
Proprio l’interesse per quelli che Giovanni Paolo II oltre trent’anni dopo
avrebbe definito i 'fratelli maggiori', avrebbe scandito invece la vita di
fratel Yohanan. Nel 1954 ancora studente di teologia in Francia sarebbe stato
lui - grazie a una particolare autorizzazione del cardinale Tisserant, allora
prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali - a effettuare le prime
traduzioni del rito della Messa in ebraico. Poi, nel 1956, l’arrivo in Israele
dove, come ogni membro della famiglia religiosa che si ispira a Charles de
Foucauld, anche fratel Yohanan ha sempre praticato il lavoro manuale. Per alcuni
periodi in un kibbutz, poi in un laboratorio di ceramica, infine in una
tipografia. Tutte occasioni per un incontro non teorico ma vivo con il popolo
ebraico. Non privo di sorprese.
«Un ebreo di origine polacca mi invita a casa sua - racconta il religioso nel
medesimo articolo -.
Gli spiego la nostra bella teoria: 'Vivere con i poveri, con quelli che
soffrono...'. Mi risponde soltanto: 'Se vuoi vivere con quelli che soffrono di
più non è con noi che devi stare, ma con i palestinesi'.
Gli ho spiegato che nella nostra famiglia religiosa abbiamo altri fratelli e
sorelle che vivono con i palestinesi, e che 'se una adotta un popolo, lo fa per
tutta la vita... E poi Israele non soffre più?'. Alla fine mi è sembrato
soddisfatto di non avermi convinto».
Condividere, nella Terra Santa lacerata di oggi, significa fare i conti anche
con il conflitto. Lui, che dal 1960 ha preso la cittadinanza israeliana e ha
vissuto in prima persona le paure del suo Paese, non ha comunque chiuso gli
occhi su chi sta dall’altra parte.
Proprio da qui è nata l’idea di insegnare agli ebrei l’arabo palestinese. Perché
per provare a capirsi bisogna sapere davvero la lingua dell’altro. Ma senza
essere ingenui. Di fronte al muro che oggi separa Israele dai Territori, ad
esempio, fratel Yohanan ricorda che da quando c’è gli attentati sono
drasticamente diminuiti.
«Non me la sento di discutere o di proporre soluzioni - ha scritto su l’Echo
d’Israel - . Lo si fa da lontano, in Europa. Ma qui, sul posto, uno è dilaniato.
Perché sa quanto costa tutto questo ai poveri civili, oggi soprattutto ai
palestinesi. Lo saprà Dio che cosa bisognerebbe fare, perché Lui ha sicuramente
una bussola. Ma gli uomini sono bloccati da anni e generazioni di paure e
sofferenze, e allora come sciogliere i nodi?».
Fratel Yohanan, da più cinquant’anni ormai, ci prova condividendo giorno per
giorno la vita della gente di Israele. «Oggi ha raccontato - ci sono europei
che mi dicono: 'Ma come? Tu fai parte di quel popolo?'. Io rispondo loro: 'Sì,
alcuni israeliani fanno delle cose orribili, altri protestano, si agitano. Ecco
perché qui non mi sento solo...'».
A lui si deve la prima traduzione del rito della Messa in ebraico, ma anche il
primo dizionario di arabo palestinese
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