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La sconcertante rivelazione di Ariel Toaff: il mito dei sacrifici umani non
è solo una menzogna antisemita
Ariel Toaff «Pasque di sangue. Ebrei d' Europa e omicidi rituali» (pp.
364, 25), Il Mulino, 2007v.anche:
[Articolo dello
storico della Chiesa trentina Iginio Rogger: «Simonino non perì per mano ebrea»]
e Lettera ad Avvenire
[Ariel Toaff ritira il volume]
Quelle Pasque di Sangue
Sergio Luzzatto, Corriere della Sera 6 febbraio 2007
Il fondamentalismo ebraico
nelle tenebre del Medioevo.
Trento, 23 marzo 1475. Vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica. Nell'
abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca, il prestatore di
denaro Samuele da Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo
cristiano: Simonino, due anni, figlio di un modesto conciapelli. La città è
sotto choc. Unica consolazione, l' indagine procede spedita. Secondo gli
inquirenti, hanno partecipato al rapimento e all' uccisione del «putto» gli
uomini più in vista della comunità ebraica locale, coinvolgendo poi anche le
donne in un macabro rituale di crocifissione e di oltraggio del cadavere.
Perfino Mosé «il Vecchio», l' ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe
del corpo appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di
Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a tortura, gli
ebrei si confessano responsabili dell' orrendo delitto. Allora, rispettando il
copione di analoghe punizioni esemplari, i colpevoli vengono condannati a
morte e giustiziati sulla pubblica piazza. Durante troppi secoli dell' era
cristiana, dal Medioevo fino all' Ottocento, gli ebrei si sono sentiti
accusare di infanticidio rituale, perché quelle accuse non abbiano finito con
l' apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo
ossessivo, virulento, feroce. Unicamente la tortura - si è pensato - poteva
spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di avere ucciso
bambini dei gentili: facendo seguire all' omicidio non soltanto la
crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di cannibalismo rituale,
cioè il consumo del giovane sangue cristiano a scopi magici o terapeutici.
Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l' esodo
degli ebrei dalla cattività d' Egitto celebrando la loro libertà e promettendo
la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di un goi katan, un
«piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia della Shoah, è
comprensibile che l' «accusa del sangue» sia divenuta un tabù. O piuttosto,
che sia apparsa come la miglior prova non già della perfidia degli imputati,
ma del razzismo dei giudici.
Così, al giorno d' oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale
poteva consentire di riaprire l' intero dossier, sulla base di una domanda
altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo - le
crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l' uso di sangue cristiano
quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa - si parla di miti,
cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla di riti, cioè di eventi
reali e addirittura prescritti dai rabbini? Il gesto di coraggio è stato
adesso compiuto. L' inquietante domanda è stata posta alle fonti dell' epoca,
da uno storico perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura
alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini gastronomiche,
oltreché della vicenda intrecciata dell' immaginario ebraico e di quello
antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in Israele, Ariel
Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e grave sin dal titolo,
Pasque di sangue. Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio
e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del
mercato. Tuttavia, va pur detto che Pasque di sangue propone una tesi
originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che dal 1100 al
1500 circa, nell' epoca compresa tra la prima crociata e l' autunno del
Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani - o forse molte -
avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia contro intere comunità
ebraiche, al massacro punitivo di uomini, donne, bambini. Né a Trento nel
1475, né altrove nell' Europa tardomedievale, gli ebrei furono vittime sempre
e comunque innocenti. In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa
fra il Reno, il Danubio e l' Adige, una minoranza di ashkenaziti
fondamentalisti compì veramente, e più volte, sacrifici umani.
Muovendosi con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia,
dell' antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella celebrazione
della Pasqua ebraica: il sangue dell' agnello, che celebrava l' affrancamento
dalla schiavitù d' Egitto, ma anche il sangue del prepuzio, proveniente dalla
circoncisione dei neonati maschi d' Israele. Era sangue che un passo biblico
diceva versato per la prima volta proprio nell' Esodo, dal figlio di Mosè, e
che certa tradizione ortodossa considerava tutt' uno con il sangue di Isacco
che Abramo era stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di
Pesach, il pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere,
mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le dieci
maledizioni d' Egitto. Quale sangue poteva riuscire più adatto allo scopo che
quello di un bambino cristiano ucciso per l' occasione, si chiesero i più
fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff? Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei
da consumare a scopo augurale, così da precipitare la rovina dei persecutori,
maledetti seguaci di una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a
vendicare i terribili gesti di disperazione - gli infanticidi, i suicidi
collettivi - cui gli ebrei dell' area tedesca erano stati troppe volte
costretti dall' odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie d'
Israele si vedeva imposti nel nome di Gesù Cristo.
Oltreché questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale)
aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da indurli a
sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di ingerirlo in
qualsiasi forma. Secondo i dettami di una Cabbalah pratica tramandata per
secoli, il sangue valeva a placare le crisi epilettiche, a stimolare il
desiderio sessuale, ma principalmente serviva come potente emostatico.
Conteneva le emorragie mestruali. Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto
rimarginava istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da
qui, nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi, un
andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse di pelle dal
fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica del prodotto, sangue
kasher... Risale a vent' anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, Il
sugo della vita (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del sangue
nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi in cui i
cattolici italiani del Medioevo e dell' età moderna riciclarono sangue a scopi
terapeutici o negromantici: come il sangue glorioso delle mistiche, da
aggiungere alla polvere di crani degli impiccati, al distillato dai corpi dei
suicidi, al grasso di carne umana, entro il calderone di portenti della
medicina popolare. Con le loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell'
ebraismo ashkenazita offrirono la propria interpretazione - disperata e feroce
- di un analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo enormemente più
caro.
Il tema del libro. Esce in libreria dopodomani, giovedì 8 febbraio, il libro di
Ariel Toaff «Pasque di sangue. Ebrei d' Europa e omicidi rituali» (pp. 364,
25), edito dal Mulino Il saggio affronta il tema dell' accusa, rivolta per
secoli agli ebrei, di rapire e uccidere bimbi cristiani per utilizzarne il
sangue nei riti pasquali.
DENTRO LA POLEMICA - Avvenire 8
febbraio 2007
Da Trento Diego Andreatta
Lo storico della Chiesa trentina: «Simonino non perì per
mano ebrea»
Padre Rogger: «Quel "sacrificio rituale" venne
riesaminato negli anni '60 e dopo varie ricerche si decise di abolire il
culto. Altri studi poi hanno confermato la tesi»
«Per noi, e per la scienza storica, il caso Simonino era
chiarito. Chi vuole rimetterlo in discussione, deve poter documentare
un'indagine storica dello stesso livello, altrettanto rigorosa, prima di
impugnare ciò che generazioni di studiosi hanno appurato».
È rimasto sorpreso dalle anticipazioni del libro di Ariel Toaff Pasque di
sangue (in uscita dal Mulino), ma con il distacco dello studioso onesto,
monsignor Iginio Rogger, decano degli storici trentini, accetta di ribattervi
a caldo («vorrei però leggere integralmente il libro») per documentare la
posizione della Chiesa trentina che nel 1965 aveva abolito il culto di san
Sinonimo (vittima nel 1475 di «un omicidio rituale ebreo» inesistente),
proprio sulla base della ricerca storica.
Della decisiva "Notificazione" del 28 ottobre 1965, con cui l'arcivescovo
Alessandro Maria Gottardi, sentita la Sede Apostolica, disponeva una "prudente
rimozione" del culto autorizzato ancora nel 1588 da Sisto V, monsignor Rogger
era stato principale ispiratore, proprio in nome della corretta applicazione
«della regola scientifica che non può accontentarsi dell'autenticità formale e
filologica di un documento, ma deve porsi il quesito della rispondenza alla
realtà dei fatti». Un metodo che Rogger vorrebbe ritrovare nelle
argomentazioni degli storici di oggi e che egli, aveva visto applicato già nel
1903 dallo studioso Giuseppe Menestrina proprio nell'esame del caso Simonino
in una tesi all'Università di Innsbruck.
Le conclusioni di quella ricerca investigativa - «gli ebrei non sono
responsabili dell'uccisione del piccolo Simone da Trento, ritrovato morto in
una roggia» - venne ribadita in profondità nel 1964 dagli studi del grande
storico domenicano padre Paul Willehad Eckert e poi confermata dalla
ricostruzione dell'intero meccanismo processuale da parte dell'équipe della
Facoltà di Giurisprudenza diretta dal professor Diego Guaglioni.
«Quella conclusione per me è ancora imbattibile, condivisa anche da studiosi
ebrei e protestanti», ripete oggi Rogger, 87 anni, che peraltro ricorda bene
quanto la popolazione trentina fosse affezionata a quella devozione. Con gli
anni, però, abolite le processioni (perfino l'intitolazione al santo di una
via nel centro storico di Trento, oggi "via del Simonino"), si è compresa
l'importanza di quell'intervento pastorale: «Proprio l'argomentazione
razionale - commentava Rogger in un intervento pubblico lo scorso anno - ha
contribuito a vincere il sospetto, da più parti insinuato, che l'abolizione
fosse determinata da simpatie filo ebraiche divenute di moda all'indomani
dello sterminio nazista».
Ebbe anche l'effetto di togliere di mezzo un'insanabile frattura che
sussisteva anche fra i cittadini di Trento e le comunità ebraiche, oltreché a
facilitare anche ad alti livelli, in Germania ma non solo, il dialogo fra
ebrei e cristiani. È significativo che Trento ospitò già nel 1979 una sessione
della Commissione Vaticana per i rapporti con l'ebraismo e nel giugno 1992
autorevoli rappresentati ebraici scoprirono una targa sul palazzo dove sorgeva
la sinagoga cittadina, a ricordo della riconciliazione dopo l'abrogazione del
culto al Simonino.
Ma perché allora il libro di Ariel Toaff va a ripescare il caso di Trento?
«Non c'è dubbio che nella panoramica dei vari omicidi in Europa attribuiti
agli ebrei quello del Sinonimo si presenta come il più attestato, provvisto di
una massa ingente di documenti contemporanei ai fatti, mentre gli altri casi
si perdono generalmente nella leggenda», osserva Rogger. «Ma proprio perché
episodio ben preciso, esso presenta nomi, dati e circostanze ben chiare, sulle
quali è stato fatto - non da me, tengo a precisarlo - un lavoro di ricerca
storica molto accurato. Vedo, insomma, una sproporzione fra le tesi generiche
annunciate finora nel libro di Toaff e la ricchezza di studi molto seri
prodotta in tanti anni, anche dietro stimoli provenienti dagli ebrei. Resto
peraltro disponibile - conclude pacatamente Rogger - a prestare attenzione
alle conclusioni che uno studioso, ebreo o non ebreo, presenterà sulla base di
un'indagine storica corretta, che tenga conto della bibliografia già
esistente».
Lettera ad Avvenire 10 febbraio 2007
Da
ebreo, non la penso come voi ma vi ringrazio
Gentile Direttore sono ebreo e ho vissuto la Shoah durante tutta l’infanzia.
Debbo la mia vita ai Salesiani che mi hanno protetto e nascosto durante il
1944 nel Collegio di Cavaglià (Torino), insegnandomi, nella persona del
Rettore don Cavasin, a fingere di essere cattolico senza mai, dico mai,
accennare neppure a una mia eventuale conversione al Cattolicesimo. Di questo
miracolo del XX secolo ho sempre manifestato la mia riconoscenza con ogni
mezzo, e ne ho scritto.
Tuttavia, come cittadino italiano mi sono trovato assai spesso, e mi trovo, su
posizioni diametralmente opposte a quelle del vostro quotidiano, e sono sicuro
che non me ne vorrete.
Detto ciò, sento il dovere, come ebreo, di rendere onore allo storico della
Chiesa Iginio Rogger, al giornalista di Trento Diego Andreatta e al vostro
giornale per l’articolo a pagina 30 di giovedì 8 febbraio 2006, intitolato:
"Lo storico della Chiesa trentina: Simonino non perì per mano ebrea".
In questo difficile momento della mia vita, avete fatto risorgere dentro di me
l’indomabile spirito cristiano di don Cavasin.
Grazie anche a nome di mia figlia Lina e di mio nipote Mario Davide che senza
quei preti non esisterebbero neppure loro, e che oggi, per merito vostro,
possono continuare a essere contenti di essere ebrei.
Con commozione
Aldo Zargani
Ariel Toaff decide di ritirare il libro.
Ariel Toaff ha chiesto alla società editrice Il Mulino di Bologna, che ha
pubblicato il suo libro «Pasque di sangue», di ritirare il controverso volume dalle
librerie
Già Toaff aveva dichiarato l’intenzione di riscrivere alcuni capitoli della
seconda edizione; oggi l’annuncio di quella che appare come una completa
sconfessione del proprio lavoro, pure se fatta obtorto collo.
Dopo giorni di minacce, pressioni, insulti, tonnellate di fango da cui è stato
sommerso, dopo una convocazione da parte di Moshe Kaveh, presidente
dell’ateneo dove insegna, per spiegazioni sulla tesi del saggio, dopo che
personalità non accademiche, come pure lettori di altre università, ne hanno
chiesto il licenziamento e dopo che i finanziatori esteri hanno minacciato di
tagliare i fondi all’Ateneo, Ariel Toaff si è arreso.
Al giornale Maariv aveva nei giorni scorsi raccontato le settimane passate in
Italia, che «negli ultimi giorni si sono trasformate in un incubo».
A Menachem Gantz, corrispondente del quotidiano da Roma, ha letto una delle
mail ricevute:
«Se nei secoli è stato versato tanto sangue ebreo, ora ne verrà versato
ancora, il tuo».
Dall’altro ieri Toaff aveva cercato di minimizzare e alla domanda del
Jerusalem Post, se riteneva «che le comunità ebraiche possano aver commesso
omicidi rituali», il professore aveva risposto con un «no»,
definito «risoluto» dalla giornalista.
Peccato che nei giorni precedenti, invece, avesse dichiarato: «alcuni
omicidi rituali potrebbero esserci stati».
A chi glielo aveva fatto notare, il professore aveva risposto, cercando ancora
di sdrammatizzare: «La mia dichiarazione è stata una provocazione
accademica ironica, una premessa per infrangere il tabù delle ricerche attorno
all’atmosfera anticristiana in alcune comunità ashkenazite europee, nel
Medioevo».
Riportiamo uno stralcio dell'intervista del padre a La Repubblica, in cui l'ex
Rabbino capo di Roma ha definito la decisione del figlio di ritirare il libro
«un gesto opportuno, necessario. Vuol dire che mio figlio Ariel ha capito.
Ma significa anche che le critiche che sono state fatte nei confronti del suo
libro sono state giuste…
È
bene che questa storia sia finita così».
E poi ha commentato: «Mangiare il pane azzimo mischiato al sangue di
bambini cristiani uccisi? Aberrante! Un insulto all’intelligenza, alla
tradizione, alla storia in generale e al vero senso della religiosità ebraica
- commenta con forza il rabbino -
e dispiace che a sollevare sciocchezze simili sia stato mio figlio. Ma forse
lo ha fatto senza rendersi conto della gravità di certe affermazioni e che
queste tematiche, da secoli già condannate dalla storia e dalla tradizione, e
non solo di quella ebraica, possono diventare subito argomenti per rilanciare
pericolosi sentimenti di antisemitismo e voglie di negazionismo
dell’Olocausto.
È un errore. Ma nella vita tutti possono
sbagliare».
Così Ariel Toaff ha alzato bandiera bianca, chiedendo alla casa editrice di
ritirare il libro dal commercio.
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